16 Ottobre 2016 Matteo Salvini sul Financial Times: “La Brexit è stata una bella boccata d’ossigeno, ci libereremo dell’euro”. Come aspirante leader ha un cv fantastico. Il bello deve ancora arrivare.

Brexit e Catalogna, il filo rosso che lega gli autonomisti è un impoverimento generale

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ECONOMIA.Mentre la regione di Barcellona fa ancora i conti con la fuga delle imprese, secondo uno studio di alcuni ricercatori della London School of Economics, saranno proprio le aree che per la maggior parte avevano preferito il remain, senza evidenziare alcun vantaggio complessivo per il Regno Unito: per lo stesso studio, al netto dell’inflazione, il cittadino medio britannico ha già perso circa 600 sterline in potere di acquisto a causa del crollo della moneta post voto.
Brexit e Catalogna, il filo rosso che lega gl’indipendentisti: un impoverimento generale. Dopo il quinquennio di bolla immobiliare, fra il 2008 ed il 2015, che ha visto crollare i prezzi delle case, -35% negli anni bui. Proprio questo trascinò il sistema economico nel gorgo delle insolvenze dei mutui, dei cantieri abbandonati sul nascere, dei grandi fallimenti. Le banche, trascinate nella crisi dall’eccesso di passività, hanno rivelato uno straordinario istinto di conservazione, grazie alla richiesta di soccorso di Rajoy verso l’Ue. I prezzi sono risaliti, e così il valore degl’immobili sottostanti ai mutui ipotecari. Questo, insieme alla fiducia da parte degl’investitori stranieri ed al riacquisto delle sofferenze bancarie, ha rimesso in sesto i quattro istituti nazionali (Caixa, BBVA, Santander, Sabadell), facendo recuperare nell’ultimo anno un 20% nel valore patrimoniale. Godono poi d’ottima salute altre due perle dell’economia spagnola alle prese con nuove dirigenze: Telefònica sperimenta il carisma innovatore di Alvarez-Pallet, successore di Cesar Alierta, come sta facendo con Pablo Isla anche la Inditex, oggi il primo gruppo d’abbigliamento al mondo. Cresce, come nel resto d’Europa, anche il comparto auto, + 11%, che ha soppiantato le costruzioni per incidenza sul Pil, ed è oggi al 2° posto per le esportazioni in Europa, dopo la Germania. Anche questo comparto non può dormire sonni tranquilli, visto che in Catalogna sono state prodotte nel 2016 più di 500mila automobili.
Anche questo comparto però non può dormire sonni tranquilli, visto che in Catalogna sono state prodotte nel 2016 più di mezzo milione d’automobili, il 19,17 per cento della produzione nazionale, al secondo posto dopo la Castiglia. Proprio nella cittadina di Martorell, vicino a Barcellona, c’è il distretto auto innovativo che nel 2018 produrrà l’Audi A1 di seconda generazione, e che attualmente sforna le novità di casa Seat. Si producono componenti Seat sempre nell’area di El Prat de Llobregat e nella Zona Franca di Barcellona. Oltre alla nazionale Seat, sono altri nove i marchi internazionali che hanno scelto la Spagna, ed in particolare la Catalogna per la produzione (Mercedes, Nissan, Renault, Peugeot, Citroën, Iveco, Ford, Audi e Volkswagen). Intanto, sul fronte finanziario, c’è da registrare l’estrema volatilità negli ultimi mesi dell’Ibex 35, l’indice azionario spagnolo con i 35 titoli a maggiore capitalizzazione, che sembra ormai il tracciato d’un cuore in fibrillazione. In realtà, notano gli analisti, non siamo ancora arrivati alla drammatica vendita a catena di titoli, perché la risposta istituzionale è stata rassicurante e tempestiva. I capitali stranieri resistono e la sensazione è che la borsa tornerà a crescere quando, e se, il conflitto politico verrà definitivamente risolto. Merito della sostanziale stabilità economica di cui sopra. Ma se il caos separatista non rientrerà, secondo i più pessimisti, il risorgimento spagnolo e catalano tramonterà prima del tempo.
La fuga delle imprese è un fatto ormai assodato, che i catalani stanno iniziando a conoscere bene, poiché l’instabilità politica della regione iberica non trova ancora soluzione, ma ha già provocato la fuga di oltre 2.000 imprese. Una dinamica che sta creando enormi difficoltà ai centri economici e sociali di riferimento, visto che la maggior parte delle aziende che hanno lasciato la Catalogna, sono pesi massimi dell’economia della regione. Il vicepresidente Oriol Junqueras, quando i trasferimenti avevano toccato quota 1.000, aveva bollato la cifra come ridicola, rispetto alle oltre 200mila imprese che conta la regione. Tuttavia, a trovare una nuova sede nelle varie Valencia, Alicante, Palma, Saragozza o Madrid, sono state aziende e banche dai volumi rilevanti, come La Caixa, Sabadell, Aguas de Barcelona, Allianz, Gas Natural Fenosa, Abertis, Colonial: tutte rappresentano più del 30% del Pil catalano, e nelle nuove comunità verseranno una parte delle imposte, oltre a creare nuovi posti di lavoro ed a favorire l’indotto. Si tratta di società fino a oggi operanti nel centro più attrattivo della regione, ovvero Barcellona. Proprio laddove i risultati del referendum si sono dimostrati più freddi. Nella provincia della capitale, si è registrata infatti una prevalenza del sì con l’87,9% su una base però di votanti del 41,2 per cento. Partecipazione ancora più bassa nella provincia di Tarragona, ferma al 40,6 per cento. Alla Catalogna centro-meridionale non interessa l’indipendenza.
Se dal Regno Unito sono molte le realtà che stanno operando una transizione verso le aree continentali, a partire dai nodi nevralgici del mondo finanziario e farmaceutico, che vedevano Londra sede dell’Agenzia europea del farmaco e dell’Autorità bancaria europea. Sam Woods, direttore generale della Prudential Regulation Authority, autorità della BoE, responsabile della supervisione di banche, assicurazioni e società d’investimento, ha dichiarato pochi giorni fa alla commissione parlamentare della Camera dei Lord che nel giorno d’attivazione della Brexit, si perderanno 10.000 posti di lavoro nella City, e nel lungo periodo, in assenza d’un accordo con Bruxelles, tale cifra potrebbe realisticamente toccare le 75.000 unità. La European Medicines Agency in un report di pochi mesi fa suggeriva alle società Uk del pharma, di trasferire ruoli e funzioni in un Paese Ue, in vista dell’ufficializzazione della Brexit, per preservare i propri diritti nel mercato unico. Che farà la piccola realtà catalana in confronto alla Gran Bretagna!? L’esperienza catalana si dimostra in linea con quanto accaduto nel referendum Brexit, quando il voto londinese s’era espresso contro il risultato complessivo. Ed a soffrire gli effetti dei nuovi confini, secondo un recente studio di alcuni ricercatori della Scuola d’Economia di Londra, sugli effetti economici di Brexit, saranno proprio le aree che per la maggior parte avevano preferito il remain, senz’evidenziare alcun vantaggio complessivo per il Paese.
La stessa agenzia del farmaco (EMA) è in lista di sbarco, e Milano è in prima fila con Amsterdam, Vienna e Copenaghen fra le pretendenti, per aggiudicarsi la nuova sede, mentre Barcellona, seppur molto gradita dai funzionari, sarebbe stata scartata proprio per l’instabilità politica interna catalana. Il governo britannico, invece, per il momento si rifiuta di rendere pubblici i propri studi gl’impatti regionali della Brexit, in quanto dati sensibili nelle sedi di negoziazione con l’UE, a Bruxelles. Ma da voci di stampa, non risultano certo positivi per il Regno Unito. La contrazione degl’investimenti esteri è un fenomeno che il Regno Unito post Brexit, sta già conoscendo negativamente. Secondo Fdi Markets, osservatorio del Financial Times, nei dieci mesi trascorsi tra il referendum e lo scorso aprile, sono stati annunciati 728 nuovi progetti esteri nel regno Unito, per un valore complessivo di 28 miliardi di dollari, il 34% in valore in meno rispetto agli 862 nuovi progetti per 43 miliardi di dollari, registrati nello stesso periodo nell’anno precedente. Un risultato che sarebbe stato ancor peggiore senza l’improvvisa ripresa del settore immobiliare, favorito dal calo della sterlina dopo il voto. Che potrà invece contrapporre il moscerino Catalogna, di vantaggioso agl’investitori europei ed internazionali, come americani e cinesi, che hanno acquistato a forte sconto, circa 10 miliardi di dollari di proprietà, portando gl’investimenti esteri al 35% del totale nel Regno Unito!?
Le tensioni autonomiste, che pulsano maggiormente nelle aree più lontane dagli affari, Italia inclusa, impoveriscono tutti: è un dato economico ben conosciuto, in realtà. Un recente studio ha stimato in 600 sterline la perdita di potere d’acquisto del cittadino medio britannico, a causa del calo della valuta subito dopo il voto favorevole alla Brexit, confermando sia l’ipotesi prevedibile nel Regno Unito, che la tesi prevista dall’economia, che su macroscala è ben più competitiva. Nel Regno Unito del dopo giugno 2016, la fuga delle imprese è un fatto ormai assodato, che i catalani stanno iniziando adesso a conoscere, anche se piuttosto in fretta in verità, ed in proporzione numericamente elevata: l’instabilità politica della regione iberica non trova ancora soluzione, ma ha già provocato la fuga di ben oltre 2.000 imprese. Una dinamica che sta creando enormi difficoltà ai centri economici e sociali di riferimento, visto che la maggior parte delle aziende che hanno lasciato la Catalogna, sono pesi massimi dell’economia della regione. E l’accesso al mercato unico europeo, in caso di un’indipendenza formalizzata non sarebbe automatico, ma dovrebbe passare per l’approvazione di tutti gli Stati membri, compresa la Spagna. Guardate un po’ che bel vantaggio economico-sociale, ne trarrebbero la Catalogna e la sua popolazione, da un’eventuale persistente instabilità politica da un’affermazione elettorale dei partiti indipendentisti! Intanto l’EMA non s’accasa a Barcellona, ed è male.
16 Ottobre 2016 Matteo Salvini sul Financial Times: “La Brexit è stata una bella boccata d’ossigeno, ci libereremo dell’euro”. Come aspirante leader ha un cv fantastico. Il bello deve ancora arrivare.ultima modifica: 2017-11-20T09:09:49+01:00da bezzifer
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