Il sorpasso del Pd sul M5S farebbe traballare il governo.

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Intervista all’editorialista de La Stampa. “Non credo che il Pd possa rassegnarsi a un’alleanza – tutta da verificare – col M5S. Anche perché tra Di Maio e Salvini c’è fiducia anche se fanno finta di litigare (distrazione di massa), tra Di Maio e il Pd no” PER FORTUNA.

Siamo in pieno gioco delle parti da campagna elettorale ma io mi fermo a quello che vedo: due leader –Matteo Salvini e Luigi Di Maio – che dicono di non volere la crisi di governo“. Marcello Sorgi non crede affatto che la vicenda di Armando Siri possa mettere a rischio la tenuta dell’esecutivo. Anzi, l’editorialista della Stampa è convinto del contrario, che la decisione di Giuseppe Conte fosse stata concordata preventivamente con il ministro dell’Interno. “A prescindere dalle sue colpe effettive, Siri era diventato un impaccio per tutti: le accuse nei suoi confronti, piovute nel bel mezzo della campagna elettorale, erano diventate un problema pure per la Lega“, ha affermato l’ex direttore del Tg1 in questa conversazione con Formiche.net nella quale ha anche affrontato il tema della tanto dibattuta, possibile – o impossibile – alleanza tra Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle.

Quindi nessuna decisione autonoma di Conte come certe reazioni in casa leghista potrebbero indurre a pensare?

Escluderei che si sia mosso da solo. Penso, al contrario, che avesse concordato con Siri le dimissioni alla fine di una lunghissima trattativa durata per giorni. Dopodiché l’esponente leghista, per evitare di essere dimissionato dal presidente del Consiglio, ha provato ad anticiparlo con la versione delle dimissioni in 15 giorni. E Conte, inevitabilmente, si è irritato come è emerso in conferenza stampa. Ma sono convinto che il premier avesse raggiunto un accordo con la Lega, naturalmente non solo con Siri ma anche con Salvini.

C’è chi ha letto questo episodio come il segno dell’ulteriore avvicinamento tra M5s e Conte o, addirittura, della volontà del premier di impostare una partita per così dire autonoma. Che ne pensa?

Trovo che Conte risponda sempre più al movimento ma d’altronde è stato così fin dal primo momento: gradito anche alla Lega ma scelto dai cinquestelle. Nessuno ha mai pensato che Conte fosse una sorta di tecnico, a metà strada tra Di Maio e Salvini. Non c’è dubbio che sia più vicino ai pentastellati, mai è stato in discussione, prima della formazione del governo, che il movimento esprimesse il presidente del Consiglio.

E intanto si parla di un crescente malcontento di una parte non irrilevante della Lega nei confronti degli alleati di governo. È così a suo avviso?

La Lega è un universo complicato ma è un partito, il più anziano tra quelli oggi presenti in Parlamento. Ed è composto di varie identità tra le quali ce n’è una storica, bossiana, del Nord, dove la base elettorale soffre. Per il decreto dignità, per il reddito di cittadinanza, per il blocco delle opere pubbliche e dei cantieri. Però sono convinto che quella stessa base – il corpaccione nordista del movimento di Salvini – soffra pure per il caso Siri. Penso che per la Lega lombarda e veneta, per fare due esempi, questa vicenda sia qualcosa di incomprensibile. E da qui sorge un’altra domanda.

Quale? 

La composizione dell’identità di un pezzo del partito del Nord è chiara: il partito dei sindaci, degli assessori, degli amministratori locali, il partito che vorrebbe di nuovo le province, il partito che vuole l’autonomia. Il partito di Giorgetti, di Fontana, di Zaia. Di questa Lega sappiamo tutto mentre non è affatto chiaro che cosa sia nel Lazio, in Campania o in Calabria. Che sia anche un partito di riciclati che vengono dal vecchio centrodestra è possibile, ma non basta. Chi lo sta costruendo? E com’è fatta la sua ossatura? Credo che la Lega del Nord soffra di tutto questo.

E allora che ne sarà al governo dopo le europee?

Molto dipenderà dall’esito delle elezioni. La strategia della lite quotidiana, aggiungo io della finta lite, non sta funzionando: nei sondaggi Lega e cinquestelle non stanno crescendo. Mi aspetto che queste ultime tre settimane di campagna elettorale siano non dico di armonia, ma quantomeno all’insegna del fare. Il governo tenterà di ottenere qualche risultato, come avviene sempre in vista di elezioni importanti.

E dopo?

Dipende dal risultato delle europee, appunto. Se i cinquestelle arrivassero sotto il Pd e addirittura sotto il 20%, il governo traballerebbe. Se invece Di Maio riuscisse a guadagnare uno o due punti e a piazzarsi sopra i dem, ci sarebbero meno problemi.

In casa Lega, invece, qual è l’obiettivo?

Salvini punta a un risultato più ambizioso: diventare non il principale partito del centrodestra ma diventare il centrodestra. E cioè creare una forza politica così forte e radicata da rendere marginale Forza Italia. Il 35% o anche più, insomma. Una base elettorale che possa consentirgli di fare bottino pieno in occasione delle prossime politiche. Questo è l’obiettivo di Salvini fin da quando ha lanciato la sua Opa sul centrodestra.

A suo avviso può riuscirci?

In teoria sì. Ma di cosa ha bisogno in tal senso? Innanzitutto di vincere largamente al Nord e sono convinto che accadrà. E poi di conquistare almeno una parte delle roccaforti rosse del centro, e già qui ci sono meno certezze. Ma poi, dal Lazio in giù, non mi pare che Salvini possa fare quel 30 0 32% che gli consentirebbe di consolidare il 35% a livello nazionale. L’obiettivo politico è potenzialmente realizzabile ma non è detto che lo sia concretamente.

Quindi?

Potremmo avere Salvini vincitore e Di Maio sconfitto ma anche Salvini non abbastanza vincitore e Di Maio non abbastanza sconfitto. In questa seconda ipotesi credo che tornerebbero ad abbracciarsi e che l’idea di andare a elezioni anticipate scomparirebbe. Soprattutto nell’ipotesi in cui Nicola Zingarettidovesse riuscire ad arrivare secondo. A quel punto ci sarebbe una stabilizzazione dell’alleanza.

Dunque niente elezioni anticipate? Peraltro, calendario alla mano, sembra complicato che a questo punto si possa tornare al voto prima del 2020. 

Per esperienza dico che per sciogliere anticipatamente le Camere è necessario un accordo politico. Certo, occorre una decisione in tal senso del Capo dello Stato ma serve soprattutto l’unità di fondo della classe politica come dimostra quanto accaduto in passato nella storia italiana. Ma stavolta è diverso, dopo le elezioni di marzo 2018 ci sono voluti tre mesi per formare un governo, perché la volontà delle forze politiche non era affatto chiara e tra loro non c’era alcuna unità. Hanno provato fino all’ultimo a farsi lo sgambetto. Immagino che un presidente serio e prudente come Sergio Mattarella, prima di sciogliere le Camere e mandare il Paese alle urne, ci rifletterà non poco. E poi Salvini e Di Maio le vorranno le elezioni anticipate? Anche perché, peraltro, a uno potrebbero convenire e all’altro no.

Pure perché, almeno in teoria, ci sarebbe sempre la possibilità di una maggioranza parlamentare diversa, tra Pd e movimento. Possibile a suo avviso?

Che vantaggio avrebbe il Pd a sostenere un governo con i cinquestelle, per di più chiamato ad approvare una manovra economica pesantissima? Zingaretti afferma di non voler affatto questa alleanza, ma, a parte questo, è difficile che il Pd possa rassegnarsi a uno scenario del genere. Diversa sarebbe la soluzione tecnica ma pure in questo caso rimarrebbe da capire chi appoggerebbe un governo di questo tipo. Di sicuro non la Lega, e penso neppure i cinquestelle.

Neppure nel caso di una forte moral suasion in tal senso sul Pd da parte del presidente della Repubblica?

Onestamente non ci credo, non perché la moral suasion di Mattarella non sia convincente ma perché il Pd è un partito svenato che sta cercando rilanciarsi: non ha alcun interesse ad andare a sostenere un governo con i cinquestelle, senza l’appoggio di tutti.

E dopo il voto, quando si tornerà alle urne per le politiche? Altrimenti il Pd potrebbe rischiare una sorta di perenne isolamento, osservano alcuni.

Sarà il risultato elettorale a stabilirlo. Purtroppo non siamo più ai tempi del maggioritario. Siamo tornati all’epoca del proporzionale in cui si vota, si contano i voti e poi si verifica in Parlamento la possibilità di stringere eventuali alleanze. Se alle prossime politiche – che escluderei si possano svolgere prima del 2020 – il Pd e i cinquestelle otterranno un buon risultato e il centrodestra non avrà una maggioranza autonoma, si porrà il tema di questa alleanza. Però, aggiungo, nel momento in cui dovesse profilarsi, Salvini farebbe di tutto per riagganciare i cinquestelle. Esattamente come ha fatto dopo le elezioni dell’anno scorso e dopo che Di Maio, in modo spudoratamente tattico, tentò di fare l’accordo con il Pd.

Un’ipotesi mai stata veramente sul tavolo secondo lei?

Un leader nella sua vita gestisce una politica, non due o tre. Di Maio è l’uomo dell’alleanza con Salvini. Punto e basta. Non potrebbe fare un accordo con il Pd. Certo, non è escluso possa verificarsi uno stato di necessità ma non ci sono i rapporti né la fiducia e la conoscenza reciproca. Mentre con Salvini tutto questo c’è. Poi fanno finta di odiarsi ma intanto da un anno governano insieme.

Perché ci possa essere un governo di questo tipo, sarebbe dunque necessario che i pentastellati avessero un altro leader? Penso a Roberto Fico oppure ad Alessandro Di Battista. 

E’ molto difficile che possa accadere: un cambio di leadership è possibile nei partiti con una struttura in qualche modo democratica. Penso al Pd che dopo la stagione di Matteo Renzi ha scelto Nicola Zingarettie penso pure alla Lega che oggi ha Matteo Salvini ma che in passato ha avuto Umberto Bossi e Roberto Maroni. Non mi sembra sia successo niente di tutto questo in Forza Italia dove da 25 anni a comandare è sempre Silvio Berlusconi.

E il MoVimento 5 Stelle?

Non mi pare abbia una struttura democratica, all’ultima votazione su Rousseau hanno partecipato 17.000 persone. Mi riesce difficile pensare che possano esprimere una leadership differente. Certo, può sempre accadere che Davide Casaleggio – che è il padrone – scelga qualcuno di diverso da Di Maio ma perché dovrebbe preferire un accordo con il Pd anziché con la Lega? Al momento non risulta tutto questo, anzi si sono convintamente alleati con Salvini. Poi in campagna elettorale se ne dicono di tutti i colori, ma la sostanza è che governano insieme. Quelle sono parole ma quello che conta è la sostanza del potere.

Il sorpasso del Pd sul M5S farebbe traballare il governo.ultima modifica: 2019-05-06T09:50:25+02:00da bezzifer
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