TRUMP ALTRO POPULISTA AL CAPOLINEA Molti incidenti e sbagli grossolani. E forse il peggio deve ancora arrivare.

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E possibile che in questi giorni sia iniziata la fine della carriera politica di Donald Trump?   E sempre difficile riconoscere i momenti chiave della storia quando questi non si presentano sotto la forma di eventi ben specifici, ma risultano invece dal combinarsi in un breve periodo di vari piccoli incidenti o altri fattori.   Per di più, è difficile riconoscere i momenti chiave quando le valutazioni sono inquinate dai propri pregiudizi.   Riconosco di voler tanto vedere Donald Trump uscire di scena da non essere un analista imparziale.

Ma gli ultimi giorni – che per caso ho vissuto negli Stati Uniti essendo esposto ad una dose massiccia di televisione – hanno fatto conoscere molti elementi che dovrebbero preoccupare seriamente i sostenitori dell’attuale presidente americano.

Mercoledì mattina ho visto la diretta televisiva della conferenza stampa congiunta di Donald Trump e del nostro presidente della Repubblica.   La rete si sta divertendo con i video della faccia attonita dell’interprete della nostra ambasciata di fronte alle cose sconclusionate dette da Donald Trump e che lei doveva poi tradurre (cosa che ha comunque fatto in maniera impeccabile).   Ma l’elemento più importante di questa conferenza stampa non sono state le assurdità storiche e logiche pronunciate da Donald Trump, ma la sua faccia stravolta e il suo comportamento da persona che, di fronte alle difficoltà, ha perso il controllo di sé.   Questo è apparso chiaramente nelle risposte che ha dato ad alcune domande dei giornalisti.

Il presidente aveva di che essere preoccupato.   La House of Congress aveva appena votato una risoluzione di condanna della decisione di Donald Trump di ritirare le truppe americane dalla Siria (aprendo quindi la via all’attacco turco contro i curdi) con una maggioranza schiacciante: 354 voti a favore e 60 contrari.    Questo voto significa che la maggioranza dei membri repubblicani del congresso ha appoggiato la risoluzione contro la politica del presidente in Siria.

Subito dopo l’incontro con il presidente Mattarella, il presidente Trump ha incontrato alla Casa Bianca una delegazione di parlamentari democratici guidati dalla presidente della House of Congress, Nancy Pelosy.   Il linguaggio tenuto da Donald Trump fin dall’inizio dell’incontro (ingiurie personali contro Nancy Pelosi) è stato tale da provocare l’abbandono della riunione da parte di tutta la delegazione democratica.   Hanno dichiarato alla stampa che il presidente aveva perso il controllo di se (“He had a meltdown“).

Giovedì le cose sono continuate ad andare male per il presidente.   Gordon Sondland, l’ambasciatore americano presso l’Unione europea, ha dichiarato di fronte al comitato del Congresso che prepara l’impeachment che, durante un incontro alla Casa Bianca il 23 maggio scorso, il presidente aveva dato istruzione ai diplomatici americani che avevano a che fare con l’Ucraina di “parlarne con Rudy“; ossia di parlare della linea da tenere con l’Ucraina con l’avvocato personale di Donald Trump, Rudy Giuliani.   L’ambasciatore Sondland ha detto di aver capito solo successivamente (dopo la pubblicazione a fine settembre della trascrizione approssimativa della telefonata tra Donald Trump ed il presidente ucraino Volodymir Zelensky) cosa quest’istruzione implicasse.   Ha dichiarato per iscritto che “invitare il governo di un altro paese ad iniziare un’inchiesta per influenzare un’elezione in America è sbagliato“.   Ha aggiunto anche che “ritardare il versamento di aiuti economici promessi per esercitare una pressione su di un governo straniero perché faccia queste cose è sbagliato“.  

Queste dichiarazioni sono acqua al mulino dell’impeachment   Ma la cosa più interessante è che Gordon Sondland è repubblicano, è stato uno dei più grossi raccoglitori di fondi per la campagna elettorale di Donald Trump ed è stato ricompensato per il suo contributo con il posto di ambasciatore presso l’Unione europea.

Giovedì mattina, il capo di gabinetto di Donald Trump, Mick Mulvaney, ha tenuto una conferenza stampa per cercare di calmare le acque.   Ma nella conferenza stampa ha detto che il ritardo nel versamento degli aiuti all’Ucraina c’è stato.   Secondo lui, il ritardo deliberato di alcuni versamenti internazionali per esercitare un’ulteriore pressione politica sarebbe una pratica costante di tutti i governi.   Ha invitato i giornalisti a rendersi conto di come stanno le cose e a smetterla di fare un caso dei ritardi nei versamenti all’Ucraina (“Get over with it“).

Poco dopo, fonti della Casa Bianca hanno fatto sapere che i servizi legali della Casa Bianca erano molto preoccupati dalle dichiarazioni di Mulvaney.   Avrebbero dichiarato di non avere avuto nulla a che fare con la preparazione della sua conferenza stampa.    Il presidente ha sempre negato che ci sia stato un ritardo nel versamento degli aiuti per esercitare pressioni sulle autorità ucraine.   Nella serata, la CNN si è divertita a mostrare i video delle dichiarazioni di Mick Mulvaney e quelli di tre dichiarazioni recenti di Donald Trump nelle quali affermava il contrario di quanto detto dal suo braccio destro.

Il ministro dell’Energia, Rick Perry (ex governatore del Texas e vecchio amico di Donald Trump), ha annunciato oggi le sue dimissioni, lascerà il suo incarico alla fine dell’anno.   Come ministro dell’Energia, Rick Perry aveva avuto molto a che fare con l’Ucraina ed era visto sempre più come una persona forse coinvolta nello scandalo.   I motivi delle sue dimissioni non sono stati indicati nella lettera di commiato, ma il momento scelto per l’annuncio sembra poco dovuto al caso.

E, per finire, il senatore Mitt Romney – il candidato repubblicano battuto da Barack Obama nelle elezioni del 2012 – ha pronunciato un discorso in cui ha definito la decisione di Donald Trump di abbandonare i curdi “una macchia di sangue negli annali della storia americana“.  Si è perfino chiesto se Donald Trump non si sia semplicemente piegato ad una imposizione del presidente Erdogan alla quale non avrebbe avuto il coraggio di resistere.

Un recente sondaggio Economist/YouGov mostra che il 52 per cento degli americani non sarebbe d’accordo con la posizione presa sulla Siria dal presidente Trump, mentre solo il 28 per cento la condividerebbe.   Ma tra gli elettori repubblicani queste posizioni sono ribaltate: il 57 per cento è favorevole alla politica del presidente su Siria/Curdi, mentre solo il 26 per cento non la condividerebbe.

Nonostante alcune posizioni individuali, il partito repubblicano non sembra quindi orientato a cambiare cavallo per le elezioni del 2020.   Questa posizione è giustificata anche dalla situazione nel campo democratico dove non si vede ancora chi possa essere uno sfidante serio.   Sono ancora in corsa ben 12 candidati con i tre “favoriti” – la senatrice Warren, Bernie Sanders e l’ex vice presidente Joe Biden – con poche possibilità di vittoria.   La senatrice Elizabeth Warren ha posizioni molto estreme e poco chiare dal punto di vista della compatibilità finanziaria di alcune sue proposte, Bernie Sanders ha un’età avanzata e ha appena avuto un problema cardiaco non trascurabile e Joe Biden porta con se il peso che ha affossato Hillary Clinton: è visto come un rappresentante di quell’establishment responsabile dei guai attuali.

L’elemento che più mi fa pensare (sperare?) in una rapida uscita di scena di Donald Trump è il suo carattere incontrollabile.   Potrebbe regalarci alcune uscite talmente inappropriate e sconvenienti da portare ad un numero critico di defezioni nel partito repubblicano, nella stampa e tra i commentatori.  Il nucleo dei suoi sostenitori gli rimarrà fedele qualunque cosa dica e faccia.   Ma spero che il peso relativo di questo gruppo nel totale dell’elettorato americano si riduca.

Le prossime settimane ci offriranno sicuramente molti altri sviluppi interessanti.   Nel valutarli dovremo però tener presente una distinzione fondamentale che è stata ben formulata da Nancy Pelosi.   L’impeachment riguarda la difesa della Costituzione e delle istituzioni e quindi una eventuale violazione di norme.   Questo è quindi un problema giuridico da decidere attraverso la verifica dei fatti anche se il giudizio è affidato in ultima analisi a degli organi politici: i due rami del Parlamento.    Il disaccordo sulla posizione di Donald Trump sulla Siria (cosi come il disaccordo su tanti altri temi, dall’immigrazione ai tagli delle tasse per i ricchi passando per le politiche ambientali) è una questione politica da dirimere con le elezioni.

TRUMP ALTRO POPULISTA AL CAPOLINEA Molti incidenti e sbagli grossolani. E forse il peggio deve ancora arrivare.ultima modifica: 2019-10-19T18:10:13+02:00da bezzifer
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