ALLO STATO ITALIANO PIACE VENDERE ARMI A PAESI IN GUERRA

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L’Italia è uno dei principali esportatori di armi del mondo, soprattutto in Medio Oriente e lo Stato ci guadagna, tanto.

Bloccare la vendita di armi alla Turchia. Questo il pensiero del Ministro degli Esteri Luigi Di Maio: “chiederò a nome dell’Italia [alla UE] di assumere ogni misura possibile affinché la Turchia fermi la sua offensiva in Siria contro il popolo curdo, incluso un blocco europeo dell’export di armi verso Ankara”. Embargo peraltro già confermato – prima della richiesta italiana – da Francia, da Italia, Olanda, Norvegia, Svezia, Finlandia e Germania, ma bloccato – a livello europeo – da Ungheria, Bulgaria e Regno Unito. Sì, proprio da quel paese che vorrebbe – e dovrebbe – uscire dalla UE.

Prima di condannare – giustamente – la decisione di Boris Johnson, occorre, però, sottolineare che se la Francia ha deciso di bloccare ogni vendita presente e, la Germania ha (per ora, ma la recente apertura della Farnesina sembra essere solo di facciata) solo sospeso il rilascio di future licenze di vendita e lo stesso – come denuncia Annalisa Cuzzocrea su la Repubblica – ha fatto l’Italia.

Entrambi hanno di conseguenza confermato gli ordinativi già in essere, ovvero le navi SARS prodotte da Fincantieri per Roma e circa il 33% dell’intero export militare per Berlino. La guerra rimane un brutto affare, ma vendere armi è proficuo soprattutto per lo Stato italiano che con il gruppo Leonardo e quello Fincantieri realizza ottimi guadagni dalla vendita di armi.

TURCHIA, MA LO YEMEN?

Alla luce di quanto detto nell’introduzione, sospendere la vendita delle armi alla Turchia risulta essere un atto tanto giusto quanto totalmente ipocrita. Nessun embargo sugli armamenti – se non in rarissimi casi – è fatto per reali motivi umanitari, ma segue logiche squisitamente politiche.

Prendiamo il caso dell’Arabia Saudita su cui vige un embargo stavolta totale da parte della Germania contestato, però, dal Regno Unito e dalla Francia per cui “l’embargo ai Sauditi danneggia i progetti comuni di sviluppo”. Infatti, nel 2018, Parigi ha aumentato le vendite di armi verso la penisola arabica del 50%.

Allo stesso tempo, la stessa Italia che vorrebbe bloccare le (future) vendite di armi a Erdogan, continua a venderle ai sauditi anche se questi sono coinvolti in una guerra che ha già causato 100.000 morti, quella dello Yemen fra il governo e le milizie Houthi. Per la Francia, Arabia Saudita fa rima con 9 miliardi di vendite soprattutto in navi militari, quelle che Riyad fa produrre dai cantieri francesi. Per l’Italia fa rima con i 108 mln di euro di vendite del 2018 o gli oltre 700 del triennio 15/-17.

Per paradosso, alla luce della palese disparità di trattamento nei due casi considerati, la decisione britannica di non appoggiare alcun tipo di embargo alla Turchia, è – cinicamente – più lineare: nel 2018 le aziende britanniche hanno venduto armamenti per 14 mld di sterline, l’80% dei quali provenienti dal Medio Oriente (Oman, Qatar, Arabia Saudita, etc.). Sospendere le vendite alla Turchia, per dirla come direbbe un broker della City, “is bad for business”.


IL PARADOSSO

Eppure, Francia e Italia vendono anche alla Turchia, quindi perché ai Sauditi sì e a Erdogan no?

Il motivo è, come già accennato, meramente comunicativo. Negli anni, i curdi della Rojava – e i curdi in generale, anche se gli iracheni sono velocemente usciti dai radar dopo la fine dell’ISIS – hanno voluto e sono riusciti a comunicare le proprie ragioni al mondo occidentale riuscendo ad avere un impatto sull’opinione pubblica, in particolare europea. Questa è l’arma segreta dei curdi e, forse, l’unica speranza di salvezza di fronte all’avanzata dell’esercito turco, oltre a quello che distingue il caso Rojava dal resto della Siria e, appunto, dalla guerra in Yemen.

Può sembrare una frase cinica, ma non lo è, essa denuncia l’ignavia dei media e dell’opinione pubblica occidentale, evidentemente troppo pigri e disinteressati per interessarsi agli altri conflitti della regione che, di regola, interessano gli Stati sovrani solo quando toccano i loro interessi.

Anche perché, come dimostreremo a breve, vendere armi rende bene, soprattutto se, come Italia, Germania, Francia, Gran Bretagna, etc., lo si fa in zone di crisi come il Medio Oriente o l’Africa del Nord. Perché vendere armi fa bene all’economia, l’importante è che gli italiani non sappiano a chi le vendiamo. Funziona un po’ come ENI che sebbene agisca esattamente come tutte le compagnie petrolifere mondiali, normalmente giudicate come neocolianliste, è, per principio, sempre santa agli occhi degli italiani.

ALLO STATO ITALIANO PIACE VENDERE ARMI A PAESI IN GUERRAultima modifica: 2019-10-21T11:01:29+02:00da bezzifer
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