LA FATICA DELLA DEMOCRAZIA Un sistema perfetto non esiste. Dipende tutto dai cittadini.

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Democracy Dies in Darkness, campeggia sulla testata del Washington Post.
Ma la democrazia può uccidere sé stessa.
Non è una novità: lo ha già fatto tante volte, con ciò dimostrando di essere tutt’altro che priva di difetti. Winston Churchill riferiva che “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora”. E pare proprio così: non abbiamo niente di meglio.
La vicenda di Orbán, al quale una grande maggioranza del parlamento (la minuscola non è casuale) ungherese ha conferito pieni poteri a tempo indeterminato, compreso il potere di chiudere il parlamento stesso (sempre minuscolo), è solo l’esempio più recente. Mussolini e Hitler furono “nominati” dittatori dai rispettivi parlamenti, a loro volta eletti con, almeno in apparenza, libere elezioni.
La democrazia non garantisce sé stessa.
Anche perché dire “democrazia” è dire un po’ poco.
Non ci sono al mondo due sistemi democratici uguali, o anche simili. Ogni Paese sedicente democratico ha interpretato il concetto autonomamente e, dopo quasi duecentocinquanta anni di storia (parto dalla Rivoluzione Americana nel 1776), nessuno ha trovato un insieme di regole che abbia dimostrato maggiore funzionalità e sufficienti garanzie di tenuta rispetto agli altri.
Democrazia parlamentare, semi parlamentare, semi presidenziale, presidenziale, bicameralismo, monocameralismo, elezioni proporzionali, maggioritarie, miste, con o senza primarie, separazione dei poteri realizzate in modi differenti, sistemi di controllo variamente organizzati, federalismo, accentramento, insomma, è evidente che non esiste un “ottimo” (il cosiddetto “telaio della bicicletta”) riconosciuto da tutti.
Per non parlare delle democrazie finte, le “democrature”, o democrazie illiberali, dove il popolo conferisce ad un leader un potere quasi assoluto e di tanto in tanto fa finta di rieleggerlo (Russia, Turchia, …).
Adesso pure l’Ungheria, nel mezzo dell’Europa, e la Polonia, bene avviata su quella strada (e si attende con impazienza un cenno di reazione dalle istituzioni europee, che per il momento guardano e tacciono…).
 
Si dice che le democrazie più forti sono quelle nate da una lotta, dal sangue dei cittadini, da rivoluzioni e resistenze; ma non è sempre vero, e gli esempi sono tanti, Ungheria in primis.
Il problema a me pare essere riconducibile ad un fatto più di fondo: la democrazia è forte, e pure funzionante ed efficiente, quando la maggior parte dei cittadini è cosciente, è informata, è vogliosa di vivere in un ambiente organizzato, solidale, tendente al bene comune. Sarà banale, ma è così, essendo la democrazia il governo del popolo.
Questo può avvenire in certi momenti, in certi Paesi, e non c’è garanzia di continuità: la democrazia non garantisce sé stessa, si diceva.
Quasi (ripeto: quasi) tutti i Paesi moderni hanno sperimentato momenti di autentica vita democratica, anche l’Ungheria, o la Turchia, o la Polonia. Poi cambiano le condizioni ed ecco che possono ripiombare indietro. È successo anche in Italia, nel Regno Unito, in Spagna, ogni qualvolta si perde lo spirito “sociale” e prevalgono egoismi, localismi, ignoranza civica, populismi demagogici in luogo del libero dibattito, della voglia di costruire un futuro aperto e di sviluppo.
Mi spiace dirlo, ma questa non è questione di sinistra o di destra: certo, la destra ha qualche remora in più con la sua congenita predilezione dei diritti del singolo rispetto a quelli della collettività, ma anche la sinistra spesso si è lasciata andare a massimalismi egualitari che hanno favorito reazioni controproducenti.
Questo è un discorso “a monte”, come si diceva nel ’68, preliminare alla distinzione politica. E quindi investe la società nel suo complesso, il modo con cui essa si predispone a vivere la comunità.
Una cosa a me pare dirimente, fra tante altre che sicuramente ci sono: la cultura, ovvero la formazione, la conoscenza, la scienza, il valore del merito e della competenza, il civismo, la solidarietà. Credo di poter affermare che se in una società prevalgono e si diffondono questi valori, allora la democrazia, qualunque sia la sua tipologia (purché non sia finta), può dare prestazioni eccellenti. Come minimo, la maggioranza dei cittadini cercherà di migliorarla e non peggiorarla, cercherà di affinarla e non brutalizzarla, cercherà di renderla ancora più funzionale ed efficiente, perché solo così essa è capace di dare soddisfazione alle aspettative dei cittadini stessi.
Almeno per un po’ di tempo. Perché poi può succedere che arriva una crisi imprevista, un accidente come il virus, uno squilibrio di poteri non compensato tempestivamente, oppure capita di incappare in una generazione di classe dirigente non proprio all’altezza, o infine la tensione civile si allenta per mancanza di motivazioni, e si ricasca indietro. Il problema è che a quel punto bisogna ritrovare le condizioni per risollevarsi e riprendere il cammino. Sembra il mito di Sisifo, vero?
Oppure è solo una applicazione del terzo principio della termodinamica, dove si prescrive che per mantenere una situazione ordinata bisogna spendere energia, altrimenti essa degrada naturalmente nel caos.
E l’energia è la nostra capacità di rimanere svegli, vigili, informati, reattivi, mai rilassati. È una faticaccia, non c’è dubbio.
La democrazia, inutile illudersi,  è un sistema faticoso, impegnativo, molto coinvolgente. Se viene voglia di riposarsi un po’, allora sono guai seri.
L’automazione, i computer, l’intelligenza artificiale, potranno liberarci di molte fatiche, ma difficilmente ci libereranno dalla fatica di essere umani. Salvo che non decidiamo di lasciar governare i robot, e metterci noi al loro servizio …
Per questo: restiamo umani.
E per ora restiamo anche a casa.
LA FATICA DELLA DEMOCRAZIA Un sistema perfetto non esiste. Dipende tutto dai cittadini.ultima modifica: 2020-04-02T10:42:10+02:00da bezzifer
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