Macron come Renzi, ma Matteo ha preferito tenersi il Pd e i suoi guai interni.

Macron è un Renzi prima maniera. Se verrà eletto presidente nel ballottaggio del 7 maggio è un fatto rivoluzionario per la Francia. Un giovanotto di trentanove anni, senza alcuna esperienza politica, nemmeno come consigliere di quartiere, con una parentesi di ministro dell’economia, indipendente, nel governo Socialista di Valls, entra all’Eliseo.

Se avrà anche il doppio mandato uscirà dalle stanze presidenziali sui cinquantanni. Ma quello che più colpisce sono alcuni particolari non secondari.

Il primo. Macron è un senza partito. Ha costruito un movimento, in poco tempo, come una start up. Nel territorio non c’è nulla. Un problema per la formazione del prossimo governo che sarà una sorta di Grosse Koalition alla tedesca. Nelle prossime legislative riuscirà eleggere qualche deputato? Già si parla di coabitazione. Con la legge elettorale che c’è e non c’è in Italia dopo alle elezioni avremmo uno scenario simile alla Francia e alla Germania. Non sono similitudini di poco conto tra paesi chiamati a rimettere in piedi l’Unione europea.

Secondo. Il giovane politico Macron è chiamato a difendere la grandeur socialista ma soprattutto i valori dell’Europa. È proprio l’immagine di leader alla Macron che serve a invertire la rotta europea, leader che stridono moltissimo con l’immagine dello “stanco” Juncker. Ma a Bruxelles, dove le famiglie politiche tradizionali contano, dove si appoggerà il futuro presidente della Repubblica?

Terzo. Colleghiamoci all’ultima considerazione. Mai nella Repubblica di stampo gollista era successo che i due tradizionali partiti del paese, socialisti e repubblicani, fossero esclusi dal ballottaggio. Al 7 maggio vanno due candidati contro la tradizione che sommati a Melechon danno la temperatura di un sommovimento, la volontà di cambiare il molto che non va.

Non facciamo l’errore di definirlo populismo, qualunquismo o chissà altro. Marine Le Pen, il solo leader che ha un programma veramente strong, di rottura, dagli immigrati a no euro, non ha ottenuto una valanga di consenso: tanto, certo, ma senza sfondare.

Attenti però alle percentuali di Melechon e Fillon: le dichiarazioni dei leader verso un candidato o l’altro non contano. I voti dei cittadini si muovono e vanno per loro conto e può darsi che molti arrabbiati si posino sulla Le Pen. A quel punto la già forte destrutturazione dell’Europa, che già con questo ballottaggio ha preso un bel colpo, è un’altra cosa. Diventerebbe una realtà travolgente. Straordinaria che, sommata a Brexit e Trump, aprirà scenari anche improvvidi: dubito, però, che i francesi abbraccino con entusiasmo un salto nel buio.

Lo svolgimento della grand route francese è qualcosa che a noi cugini italiani interessa da vicino. Le similitudini Macron – Renzi ci sono. Con una differenza evidente: di sistema elettorale e di elezione (presidenziale). Ma diventano dettagli se calati nello stravolgimento in corso.

Il dato di fondo è che in Francia, come in Italia, contano le leadership non i partiti, con buona pace dei “compagni”, pro domo loro, della ditta bersaniana. I partiti non ci sono più. Scomparsi. Insieme alle ideologie di complemento.

Il candidato socialista in Francia ha preso il 6% a fronte di una sinistra che è spalmata ovunque fino a Macron, a la Le Pen, passando per Melenchon. Il Pd è sistemato meglio ma la sinistra è andata in mille rivoli. E alla fine della fiera il Pd è, e rimane, una scatola vuota. C’è e vive perché in mano a un leader forte e identitario come Renzi. In mano ad altri, il Pd, sarebbe ridotto a lumicino, aprendo una ulteriore diaspora e divisione.

Non reggono gli inviti di Orlando alla reunion del centrosinistra: una idea come la sua parte da principi minoritari del Pd, ridotto alla funzione di pronto soccorso per raccattare qua e là dei pezzi che alla prova del governo diverrebbero incendiari.

Per questo, e altro, Renzi doveva fare come Macron: un suo movimento, uno spin off dai partiti su alcune idee forti e correre. Ha preferito tenersi il Pd che gli ha procurato solo guai. Prima Bersani&C., con un Vietnam spaventoso nei confronti della leadership renziana – quella era la funzione dichiarata dell’ex segretario del Pd; poi una volta finita la loro campagna di Russia se ne sono andati e hanno lasciato Renzi a un altro destino bellicoso.

Il copione è questo: Renzi sarà eletto segretario del Pd e un minuto dopo il marinaro Orlando e il neoborbonico Emiliano inizieranno il fuoco incrociato cercando di condizionarlo e scalfire ulteriormente la sua immagine.

La domanda che si dovrebbe porre Renzi è: il gioco vale la candela? Stare a guardia di un fortino-carcassa come il Pd per quale scopo? Se le cannonate in corso, per esempio sulla scarsa affluenza alle primarie, sopra o sotto i due milioni, sono motivo di polemica da parte di Orlando – rappresentante principe della oligarchia del vecchio Pci e di qualche bersaniandalemiano che non è proprio uscito ma che sta con il piede in due scarpe per mandato ricevuto e vedere l’effetto che fa -, innescando discussioni sul nulla, immaginate quando entrerà, nel ruolo arrabbiato (perché non ha vinto) di minoranza.

Caro Renzi, lo spettacolo di questi tre anni, e più, è stato deprimente. Mai in nessun partito al mondo una minoranza delle minoranze si è assunta il dovere di denigrare, peggio di un partito della peggior opposizione, il partito del proprio segretario-presidente del Consiglio.

Pensare, ora, a tante campagne elettorali, e sentire su ogni scelta l’eco di Orlando &C. che dicono che nulla va bene, tutto è da rifare, sarà l’ennesima tortura bondage senza senso. A danno di una risorsa quarantenne come Renzi arrostita a puntino e senza alcuna chance per il futuro.

D’altronde chi vota Renzi, non il Pd, vuole un leader forte, che corre e decide e non un bollito della prima Repubblica che sta lì a mediare le parole di un comunicato stampa che va finire nelle brevi alle ventesima pagina di un quotidiano.

Macron come Renzi, ma Matteo ha preferito tenersi il Pd e i suoi guai interni.ultima modifica: 2017-04-24T09:47:27+02:00da bezzifer
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