Se questa esigenza di superare la progressiva ignoranza politica si impone nella discussione è segno che il problema comincia ad affacciarsi prepotente.

 Il fascismo del Terzo millennio si trova nelle piazze virtuali.

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E’ la decadenza del sapere politico che ha fatto scattare un meccanismo di rifiuto di massa, come è avvenuto lo scorso 4 marzo, quando metà del paese ha respinto l’offerta delle cosiddette forze politiche tradizionali.

E’ tipico dei grandi processi della storia: spesso le popolazioni sanno esattamente ciò che non vogliono senza ancora avere consapevolezza di ciò che vogliono. E la storia ci insegna che lungo questo percorso di rifiuto di massa ciò che arriva dopo è spesso molto peggio di ciò che si è rifiutato.

Ma questa è la lezione della storia, che non può far sottovalutare il rischio immanente dell’inadeguatezza politica sul terreno della democrazia e della tenuta sociale ed economica del paese.

Nella stagione di internet il rifiuto, così come qualsiasi altra cosa, si propaga in maniera epidemica. Una piazza virtuale, ma pur sempre vera, nella quale le individualità di ciascuno si diluiscono sino a scomparire in quella “moltitudine senza volto” che nella storia ha sempre prodotto guasti, violenza e morte.

La piazza è un elemento democratico quando chiede o protesta per qualcosa, ma diventa autoritaria quando assume direttamente o indirettamente il ruolo di governo.

Non a caso nei paesi autoritari le piazze osannano i governanti laddove nelle democrazie le piazze protestano. Ecco dunque l’altro rischio, quello cioè che l’inadeguatezza politica ci porti al dominio della piazza e quindi dei demagoghi.

E’ ciò che è accaduto nelle ultime elezioni politiche nelle quali la piazza ha riassunto in sé il governo del paese.

Detto questo, però, le tesi del professore Jason Brennan della Georgetown University non sono nuove.

Il suffragio universale è un elemento ormai non più discutibile nelle democrazie moderne.

D’altro canto, il governo delle competenze è un errore culturale gravissimo, rievoca le camere dei fasci e delle corporazioni. Diceva Guido Carli che il governo dei tecnici o era una illusione o era un’eversione rispetto al governo della politica.

La competenza di cui oggi l’Italia è affamata è la competenza politica: cioè la capacità di avere una visione generale della società in grado di ricomporre interessi e bisogni, limandone le asperità di ciascuno in un solo progetto nel quale la maggior parte di un paese si possa riconoscere.

Questa “competenza” non la si apprende sui libri – anche se la cultura ne è una delle precondizioni – ma nasce da una passione che può giungere sino al sacrificio della vita.

Strumento essenziale nel passato sono stati i partiti, i loro organi e le loro articolazioni collegiali, e continuano a esserlo in larga parte delle democrazie.

Ma i partiti per esser tali hanno bisogno di una cultura di riferimento, di un’identità e di una vita democratica al proprio interno in cui libertà di pensiero e disciplina di partito siano due facce della stessa medaglia.

Da 25 anni tutto questo è largamente smarrito, con partiti personalizzati nei quali la collegialità è solo un ricordo. Cresce la malapianta dell’autoritarismo, che cambia vestito a secondo delle stagioni.

Lasciamo da parte allora le fantasie “epistocratiche” e i governi delle competenze e cerchiamo invece di rivitalizzare il sistema dei partiti. Per farlo diventa urgente far vivere l’articolo 39 della Costituzione e un’offensiva culturale capace di spazzar via la forza di quelle moltitudini senza volto delle piazze virtuali di cui vagheggia Casaleggio, ritenendole le nuove frontiere della democrazie, mentre altro non sono, ahimè, che le nuove forme dell’autoritarismo del Terzo millennio.

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Se questa esigenza di superare la progressiva ignoranza politica si impone nella discussione è segno che il problema comincia ad affacciarsi prepotente.ultima modifica: 2018-04-10T16:24:51+02:00da bezzifer
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