IL PASSO INDIETRO AGITA I 5 STELLE: INUTILE FARE I DURI SE POI TI CALI LE BRAGHE

Risultati immagini per TI CALI LE BRAGHE1. SALVINI, DI MAIO E CONTE AVEVANO FATTO I BULLETTI, DICENDO CHE NON SI SAREBBERO MOSSI DI “UN MILLIMETRO” DAL DEFICIT AL 2,4 E POI HANNO DOVUTO ABBASSARE LA CRESTA…
2. GLI ELETTORI GRILLINI E LEGHISTI IN RETE HANNO SPERNACCHIATO IL GOVERNO CHE SI E’ VANTATO CON L’EUROPA DI AVERCELO DURO E POI HA TIRATO FUORI LO STRACCHINO: DIFFICILE FAR DIMENTICARE I PROCLAMI SBRUFFONISTI, PIÙ CHE SOVRANISTI, RIPETUTI PER 80 GIORNI
3. ORA E’ CHIARO A TUTTI CHE: 1) CON IL DEBITO CHE ABBIAMO, MEGLIO STARE CALMI; 2) NON C’E’ GOVERNO CHE POSSA PIEGARE L’UE; 2) CHE CI SARA’ SEMPRE UN ESTONE O FINLANDESE A DIRCI COSA FARE; 3) NELL’EUROPA CONTABILE UN GOVERNO NON SERVE, BASTANO BRAVI RAGIONIERI.

 «Il 2 per cento? Nessun problema, era quello che volevamo, c’ è stata una trattativa e abbiamo ottenuto il 2,04. Quindi lo 0,4 in più dell’ obiettivo». Il deputato 5 Stelle, scherzi a parte, è convinto che alla fine si porterà a casa il reddito di cittadinanza con le misure previste dal contratto. Ma non tutti la pensano come lui e il timore, che in rete sfocia nella solita ondata di critiche e sarcasmi, è che la trattativa sia sostanzialmente fallita e che il passo indietro sia stato evidente.

Uno smacco per i leader – Luigi Di Maio, ma anche Matteo Salvini e Giuseppe Conte – che hanno ripetuto fino allo sfinimento che non si sarebbero mossi di «un millimetro» dalla ridotta del 2,4 per cento. Ma anche un pericolo concreto, quello di disorientare una platea elettorale che sembra già confusa (gli ultimi sondaggi registrano ulteriori smottamenti). Tra i parlamentari c’ è un po’ di disillusione: «Inutile fare la faccia dura se poi dobbiamo calare le braghe», riassume uno.

Ma soprattutto il timore è che il reddito di cittadinanza si riveli un flop. Le spiegazioni dei vertici – «non è cambiato nulla» – non convincono tutti. E lasciano ampi margini di incertezza sulla reale efficacia della misura. Roberto Fico, da Parigi, avverte: «Due pesi e due misure significherebbe un’ Europa non equilibrata, con figli e figliastri. Non ci voglio e non ci posso credere».

Al termine dell’ incontro con il presidente dell’ Assemblea nazionale, Richard Ferrand, aggiunge: «Della Tav non ne abbiamo parlato, ma se avessi dovuto parlarne, avrei chiarito i miei dubbi rispetto a quest’ opera ormai antistorica». Avvertimento lanciato sul fronte grandi opere, che resta punto debole per i 5 Stelle, costretti a subire l’ iniziativa della Lega e a fare i conti con il principio di realtà (ovvero con le penali dei contratti).

 La minoranza resta sul piede di guerra. Gregorio De Falco, ieri, ha postato la storia del piccolo Victor, «che aiuta a comprendere la crudeltà che si nasconde dietro il decreto “sicurezza”». I vertici minimizzano e rilanciano. A questo scopo è prevista la celebrazione, annunciata da Nicola Morra, dello «spazzacorrotti day», il 22 dicembre. Si cerca di ricompattare la testuggine (copyright Di Maio).

 

 A questo serviva la festa andata in scena in una discoteca romana la notte di mercoledì.Duecento peones a fare il trenino, con il ministro Elisabetta Trenta e qualche strascico polemico. Più di uno non ha partecipato, spiegando che a poche ore dalla strage di Strasburgo danze e cotillon decisamente sembravano fuori luogo.

 QUANDO SPERGIURAVANO: IL 2,4% NON SI TOCCA LO SPREAD CE LO MANGIAMO.Il sacro «2,4%», simbolo della sfida a Bruxelles, Di Maio lo gridava dal balcone, Salvini lo agitava sul web come un drappo rosso. Dopo la bandiera bianca alzata a Bruxelles dal governo, i due leader si defilano e lasciano a Conte l’ ingrato compito di sussurrare il «numerino» della resa, il più mite 2,04%. Così si è passati da «me ne frego» a «se indietreggio uccidetemi».

Difficile ora far dimenticare i proclami sbruffonisti, più che sovranisti, ripetuti per ottanta giorni e ribaditi fino a poche ore prima del dietrofront. Luigi Di Maio ha dato il via alla gara propagandistica il 27 settembre con la sceneggiata sul balcone di Palazzo Chigi che, guarda caso, ora è incerottato, causa restauro, come un’ arto fratturato nel braccio di ferro con la Commissione europea. Tutto è partito con la foto dei ministri grillini affacciati dal balcone, i volti deformati dall’ entusiasmo per quel patto d’ acciaio simboleggiato dal 2,4% di deficit/Pil che, aveva sparato Di Maio, significa «l’ abolizione della povertà».

Qualche leghista, più navigato l’ aveva sussurrato a mezza bocca che quella sceneggiata era un po’ troppo, ma ormai la sfida celodurista era partita. E anche Salvini si era scatenato: «I mercati se ne faranno una ragione».

I mercati invece hanno iniziato subito a rispondere a colpi di spread. Ma niente poteva fermare la spirale degli slogan battaglieri. Salvini il 30 settembre: «Lo spread ce lo mangiamo a colazione». Di Maio il primo ottobre: «Non c’ è nessuna motivazione per tornare indietro da quel 2,4». Borse a picco, Btp con il fiato corto? Il leader leghista il due ottobre: «Noi non arretriamo di un millimetro». E Conte, obbediente, il 3 ottobre si prestava anche lui a dismettere l’ aplomb leguleio per mettere il sigillo del premier alla campagna del «2,4 o morte»: «Confermiamo ufficialmente il rapporto deficit/Pil, il governo è compatto».

 Un mantra ripetuto all’ infinito, mentre Alberto Bagnai e Claudio Borghi, gli economisti euroscettici della Lega, per un mese si affannavano nelle trasmissioni tv e su twitter a ribadire che «il 2,4 per cento è intoccabile», spiegando come i miracoli economici innescati da reddito di cittadinanza e quota 100 avrebbero fatto crescere l’ Italia a ritmi cinesi, smentendo le profezie di sventura della Commissione.

 Eppure i segnali erano tutti lì in bella vista, incluso il rallentamento del Pil arrivato puntuale a smosciare l’ ottimismo di governo. Niente da fare: per due mesi abbiamo visto il povero Tria-Penelope tessere la tela della moderazione di giorno, per vedersela scucire di sera nei vertici dei leader che si susseguivano sempre più frequenti man mano che la realtà irrompeva nei proclami gialloverdi.

Perfino il 23 ottobre, quando la bocciatura europea era ormai palese, Conte insisteva: «La legge di Bilancio non è stata improvvisata. Dire oggi che la rivediamo non avrebbe senso». Come no. E ancora il 14 novembre Salvini scandiva: «Se all’ Europa va bene siam contenti se all’ Europa non va bene tiriamo dritti lo stesso». Tiè, perfida Bruxelles. E Di Maio: «Le minacce dell’ Ue non ci fermano».

Di lì a poco l’ odore acre della ritirata cominciava a intuirsi: «Non ci attacchiamo allo zero virgola in più o in meno».

Ma la giravolta è stata nascosta così bene che ancora due giorni fa Bagnai dava il 2,4% come indelebilmente «scritto con inchiostro». Non sapeva che Tria ci aveva già messo una croce sopra. Senza gridarlo dal balcone, ovviamente.

IL PASSO INDIETRO AGITA I 5 STELLE: INUTILE FARE I DURI SE POI TI CALI LE BRAGHEultima modifica: 2018-12-14T09:29:47+01:00da bezzifer
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