Teresa Bellanova spiega, in maniera molto chiara ed esauriente, la sua scelta di non appoggiare nessuno dei candidati in vista del Congresso PD che si concluderà il 3 Marzo con le Primarie.

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In un altro periodo forse sarebbe stato diverso. Avrei perfino potuto dire che sei o sette o otto candidature, alcune svanite magicamente nel raggio di poche ore, garantivano sullo stato di salute del PD, sulla nostra democrazia interna. Adesso questa è una narrazione che non mi sento più di avallare e che non voglio fingere di sottoscrivere.
Per questo, poiché non ho da iscrivermi a nessuna tifoseria né contrattare posizionamenti, non sosterrò nessuno dei candidati in campo. Non voterò nessuno, non lascerò il partito. Continuerò, se ci saranno le condizioni, a lavorare come ho sempre fatto. E sono a disposizione fin d’ora, come lo sono stata in tutti questi mesi, di chiunque, candidato alle europee o alle amministrative non fa differenza, abbia bisogno di una mano e di un ragionamento con i cittadini e gli elettori sul bisogno enorme che questo Paese ha di riformismo e sulla pericolosità sempre più evidente di un Governo che mette a rischio il presente e il futuro dell’Italia.
In questi mesi ho ricevuto decine e decine di richieste a candidarmi. Persone che non conoscevo, militanti, iscritti, donne e uomini mai visti che ho incontrato nelle tantissime (oltre sessanta) iniziative politiche cui ho partecipato, raccontando il lavoro fatto, mettendo al centro non me stessa ma il Pd, il riformismo, il Paese, il bisogno di politica che c’è, esiste, e va raccolto. Li ringrazio uno per uno. Se ho deciso di no, non è dunque per mancanza di coraggio ma per un dovere di serietà. Possiamo moltiplicare i nomi quanto vogliamo, anche quelli migliori, ma così non si affronta né si risolve l’esilio della politica e questo è un gioco a cui non voglio prestarmi, che non voglio legittimare.
Ho detto più volte che non ritenevo prioritario, in questo momento così difficile per il nostro Paese e così complicato per l’Europa, un Congresso concentrato a discutere solo ed unicamente di noi e ridotto a una conta interna. Che ad essere decisivi non saranno i candidati alla segreteria piuttosto la proposta politica che riusciamo a mettere in campo e sulla quale ci confrontiamo con gli elettori a partire dagli appuntamenti della prossima primavera. E, ancora più determinante, la compattezza delle forze democratiche, riformiste e progressiste, che sapranno indicare un orizzonte diverso, al Paese e all’Europa, nella complessità degli scenari internazionali, per nulla semplici da decifrare e comprendere senza le giuste lenti. L’ho detto in tempi non sospetti e adesso registro che sono in molti tra noi, ormai, a pensarlo e a scriverlo.
Non ho bisogno di sapere con chi sto, o chi sta con chi, ma ho bisogno di politica e di un luogo dove al centro ci sia la politica. 
Non posso sostenere chi ritiene prioritario abiurare, rifarsi verginità, rivendicare la discontinuità (ma quale?) quasi fosse una medaglietta da appuntarsi, prendere distanze da quello che siamo stati fino al giorno prima con la condivisione di tutti. Mi sarebbe interessato confrontarmi con la mia comunità politica e discutere, in modo ampio, competente, rigoroso, su quanto siamo stati in grado di fare al Governo in questi anni, su come abbiamo spostato in avanti l’asse di una politica riformista necessaria come il pane qui e in Europa, sugli eventuali errori commessi, su quello che restava da fare.
Le candidature avrebbero dovuto essere l’esito di questa discussione, incarnando le differenti opzioni – muovendo dallo stesso impianto – sul Partito e sul Paese.
Avrei avuto bisogno, e con me credo tantissimi militanti e iscritti, di una discussione franca e leale che toccasse i punti salienti del nostro lavoro. Dalla Riforma del lavoro alla Riforma della Scuola, dalle leggi sui diritti civili a quella contro la povertà, dal nuovo welfare che abbiamo messo in campo e che adesso pian piano viene smantellato alla riforma del terzo settore, alle politiche industriali: se è vero, come è vero, che mai nessun Governo ha prodotto così tanto, e così tanto di buono, in pochi anni, allora sarebbe stato nostro dovere e nostro compito non solo difenderlo ma soprattutto assumerlo come nostro, rivendicarlo, spostarlo in avanti. 
Che dovesse addirittura crearsi una cosiddetta “area” per sostenerlo, francamente è il massimo… 
E’ accaduto infatti esattamente il contrario: dopo il 4 marzo, e una campagna elettorale dove pochissimi hanno messo l’anima e hanno scommesso fino in fondo, nessuno conosceva più nessuno. E tutti sono stati alla ricerca delle connessioni sentimentali perdute. Insopportabile. 
Come è stato insostenibile non sapere più a un certo punto se il tuo partito pensava, come te, che l’Ilva dovesse essere rilanciata oppure no. Per me non era solo possibile: la sfida complessa in un territorio dimenticato, stuprato e mai rispettato, era proprio questa. Tenere insieme lavoro e salute, occupazione e ambiente. Scrivere una pagina al giorno che parlasse del domani in una città alla quale era stato negato anche l’oggi. Non ignorando, per niente, che quello era un pezzo della politica industriale necessaria al Paese e alla seconda manifattura che ancora l’Italia è.
Ancor più insostenibile essere al Governo, giorno e notte affrontando questioni irrisolte da anni, assumendo il pesantissimo onere dell’urgenza di trovare soluzioni su temi delicatissimi e oltremodo sensibili, mentre qualcuno del tuo stesso partito – e, peggio, nella tua stessa regione e nei ruoli di massima responsabilità – si divertiva, quotidianamente, ad attaccare te e il Partito, demolendone il lavoro e buttando fango, utilizzando nel modo più bieco e indecente temi e questioni di tale serietà e dolore che solo ridurli a poltiglia mediatica fa venire la pelle d’oca. 
Su questo, come su altro, non siamo riusciti nemmeno ad accennare mentre è accaduto il fuggi fuggi e la gara a prendere le distanze. Da cosa? E cosa distingue oggi i candidati visto che su uno convergono i ¾ del Governo a guida PD e l’altro è stato Ministro dello stesso Governo, già vicesegretario e segretario uscente, con in tandem il portavoce di Matteo Renzi?
Per paradossale coerenza, allora, dovrei sostenerli entrambi o avere il coraggio di dire che nulla li apparenta a un nuovo che non vedo all’orizzonte ma molto li confonde con il déjà vu.
Questo Congresso si è già consumato ma a vincere non sarà l’idea di un partito plurale né inclusivo né di donne e di uomini. Sì, di donne e di uomini come è necessario e vitale che sia, perché solo così una forza politica è viva ed è capace di generare il nuovo necessario, anche quello che ancora non si profila all’orizzonte, anche quello che non siamo ancora capaci di pensare.
Ho detto: dalla prima o dall’ultima fila, il mio impegno per il partito non verrà meno. Ben sapendo, per antica esperienza, che se non sempre le prime file consentono lo sguardo lungo, meglio le ultime. Sarà così. C’è l’esigenza di un lavoro costante, di una resistenza civile, ci sono ragioni che premono con forza, che vanno difese e sostenute, il lavoro e il Mezzogiorno – per me – sopra tutte.
Sono le mie ragioni. E’ questo il mio campo. 
C’è ancora spazio nel PD per pensieri lunghi? 
Contro ogni evidenza, io credo di sì.

Quanto esprime Teresa Bellanova non solo mi trova del tutto d’accordo, ma mi rincuora perché mi fa pensare che dentro il PD c’è cuore e cervello, coerenza.La sensazione è che ci siano ormai due veicoli che viaggeranno paralleli, qualcuno si deve occupare del vecchio, una specie di bed company e qualcun’altro aspetta la new company. Normalmente è un processo temporaneo.La questione dei contenuti sarà il catalizzatore e la bussola per la maggioranza. Al momento non si vedono contenuti in grado di rovesciare le sorti nel confronto con la propaganda sovranista

Teresa Bellanova spiega, in maniera molto chiara ed esauriente, la sua scelta di non appoggiare nessuno dei candidati in vista del Congresso PD che si concluderà il 3 Marzo con le Primarie.ultima modifica: 2018-12-15T10:04:35+01:00da bezzifer
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