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Regionali a Cinque StellePer il Lazio, ora Conte vorrebbe candidare Bianca Berlinguer o Luisella Costamagna.Orsini no? SIAMO AL RIDICOLO O SU SCHERZI A PARTE.

Secondo l’edizione romana di Repubblica, le due giornaliste sono nel totocandidature dei grillini. L’ex premier difese pubblicamente la conduttrice di Cartabianca quando invitò Nadana Fridrikhson, volto della tv del ministero della Difesa russo, a parlare della guerra in Ucraina. I 5S dovrebbero ufficializzare il nome il prossimo 17 dicembre.

Bianca Berlinguer o Luisella Costamagna. Secondo l’edizione romana di Repubblica, le due giornaliste sono nel totocandidature del Movimento Cinque Stelle per le elezioni regionali del Lazio. Giuseppe Conte starebbe pensando a una donna con un profilo civico, vista l’intesa impossibile con il Partito democratico. E i nomi delle due giornaliste televisive sono entrate in lizza.

«Giuseppe Conte ci sta provando, poi chissà se ci riuscirà. Un conto è parlare di politica, anche conoscendone ogni segreto, e un altro è farla», dicono fonti grille. L’idea del Movimento, specie se si dovesse riuscire nell’impresa di convincere Berlinguer, è di proporre una candidatura in grado di parlare al popolo del centrosinistra e quindi strappare voti al Pd.

Quello della conduttrice di Rai Tre è un nome che piace (e non poco) a Giuseppe Conte già da tempo. Il leader Cinque Stelle – ricorda Repubblica – la difese pubblicamente lo scorso maggio, quando a Cartabianca invitò Nadana Fridrikhson, volto della tv del ministero della Difesa russo, a parlare della guerra in Ucraina. Dopo il richiamo dell’amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes, arrivò la difesa dell’ex premier via Instagram: «Il Movimento dice giù le mani da Bianca Berlinguer».

L’alternativa a Berlinguer sarebbe Luisella Costamagna. Che, però, ha già detto «no» a una possibile candidatura alle Europee nel 2019. «Politicamente un’era geologica fa» , si dice tra i Cinque Stelle, che considerano la giornalista una dei loro, da sempre vicina alle battaglie grilline.

Sul nome dovrebbe esserci più chiarezza intorno a sabato 17 dicembre, quando si incontrerà ancora una volta il Coordinamento 2050, la sinistra di Paolo Cento, Loredana De Patris, Stefano Fassina e Alfonso Pecoraro Scanio. L’obiettivo dell’assemblea è tirare giù i primi punti del programma per le Regionali, riunendosi nel nono Municipio romano, quello che ospiterà il termovalorizzatore nei piani del sindaco Roberto Gualtieri. L’opera su cui è nata la frattura tra Pd e Cinque Stelle a livello nazionale e poi nel Lazio.

Alla fine della prossima settimana anche Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia potrebbero aver sciolto la riserva. I nomi attualmente in corsa per la candidatura sono Fabio Rampelli e Paolo Trancassini. Per il centrosinistra invece correrà Alessio D’Amato, ex assessore alla Sanità di Nicola Zingaretti.

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Verso il partito liberal democratico È nata la Federazione tra Azione e Italia Viva

Matteo Renzi e Carlo Calenda hanno diffuso il testo del documento che dà inizio al percorso per la costituzione di una nuova forza politica contro il bipopulismo

 

Accordo di Federazione tra Azione e Italia Viva,
tra il Senatore CARLO CALENDA, Segretario e legale rappresentante di Azione, munito dei necessari poteri a norma di statuto, e il Senatore MATTEO RENZI, fondatore e delegato dell’assemblea di Italia Viva, munito dei necessari poteri a norma di statuto.

Premesso che:
– Azione e Italia Viva si sono presentati insieme alle elezioni politiche del 25 settembre 2022 con la lista “Azione-Italia Viva-Calenda” e un contrassegno elettorale che contiene i simboli dei due partiti, il nome del leader della coalizione e il riferimento a Renew Europe;
– durante la campagna elettorale Azione e Italia Viva hanno promesso agli elettori di formare dei gruppi unici alla Camera e al Senato e di dare immediatamente vita ad una federazione e per arrivare in seguito alla costituzione di un partito unico;
– con l’avvio della legislatura, Azione e Italia Viva hanno costituito gruppi unici alla Camera e al Senato, dando quindi attuazione al primo degli impegni assunti davanti agli elettori;
– con il presente accordo, Azione e Italia Viva intendono dare attuazione al secondo dei punti promessi agli elettori, dando vita a una federazione che costituisca la base per la realizzazione del partito unico entro il minore tempo possibile;

Tanto premesso, si conviene quanto segue:

Costituzione della Federazione
Azione e Italia Viva, con il presente atto, danno vita a una federazione (la “Federazione”), attraverso la quale partecipare in modo coordinato all’attività politica, con l’obiettivo di arrivare entro il tempo più breve possibile alla costituzione di un partito unico dei liberaldemocratici che sia aperto a tutte le forze e le erergie liberali, riformiste e popolari che si riconoscano nar valori della Repubblica e respingano ogni forma di populismo di destra e di sinistra.

Alleanze e linea politica
– Le alleanze, le modalità di partecipazione alle elezioni nazionali, amministrative ed europee e la linea politica della Federazione saranno definite di comune accordo tra Azione e Italia Viva.
– Le Parti promuoveranno un costante coordinamento dei rispettivi rappresentanti nelle due camere, per assicurare l’uniformità della linea politica e la condivisione della presentazione di emendamenti, proposte di legge e altre iniziative programmatiche di rilievo.
– Azione e Italia Viva promuoveranno, dove possibile e tenendo conto delle specificità dei diversi territori, la creazione di gruppi unitari territoriali e si assicureranno che i gruppi locali svolgano in modo quanto più coordinato e unitario possibile la propria attività politica.

Coordinamento politico
– L’attività della Federazione sarà coordinata da un Ufficio di Coordinamento Politico costituito da quattordici membri: il Presidente, nella persona di Carlo Calenda, il Vice Presidente, che sarà designato da Italia Viva, i capigruppo di camera e senato, designati, rispettivamente da Azione e da Italia Viva, e cinque membri per parte designati, rispettivamente, da Azione e da Italia Viva. II Presidente sia il capo politico della Federazione.
– L’Ufficio di Coordinamento Politico avrà il compito di dare attuazione alle previsioni del presente accordo e di promuovere quanto più possibile il coordinamento e la collaborazione tra i due partiti. Eventuali designazioni per nomine esterne saranno discusse nell’Ufficio di Coordinamento Politico, su proposta congiunta del Presidente e del Vicepresidente. L’Ufficio di Coordinamento Politico si adopererà, inoltre, per replicare anche a livello territoriale la costituzione di organi di coordinamento congiunti, con partecipazione paritetica.
– L’Ufficio di Coordinamento Politico:
a) si riunirà almeno una volta al mese, su convocazione del Presidente o del Vice Presidente;
b) delibererà a maggioranza semplice dei presenti e avrà il compito di dare esecuzione ai contenuti del presente Accordo;
c) resterà in carica fino alla costituzione del partito unico, ferma la possibilità di ciascuno dei partiti di sostituire membri da questo designati.

Costituzione del partito unico
– Azione e Italia Viva daranno vita al percorso per la costituzione di un partito unico da completarsi al più presto.
– Quanto prima, l’Ufficio di Coordinamento Politico darà vita a un gruppo di lavoro, costituito di membri dell’ufficio stesso, di altri iscritti di Azione e Italia Viva e/o di soggetti esterni di area, per definire una proposta di regole e percorso per arrivare al partito unico. Una volta approvata dall’Ufficio di Coordinamento Politico, la proposta sarà sottoposta per l’approvazione agli organi competenti dei rispettivi partiti.

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Siamo alle solite.Chi occupa lo spazio vitale della Ditta, seguiranno guai,parlo del PD

Andrea Orlando, Gianni Cuperlo o chi per loro potrebbero scendere in campo per estromettere la giovane candidata dalle primarie, per poi arrendersi a una sconfitta onorevole con Bonaccini.

Gli eredi della Ditta soffrono Elly Schlein. Prima di rassegnarsi a sostenerla ci penseranno non una ma dieci volte. Prima bisogna verificare se è possibile scendere in campo direttamente nella speranza di tagliarle la strada. Come? Puntando ad arrivare secondi nella votazione degli iscritti, quella che seleziona i due che poi si sfideranno nelle primarie aperte del 19 febbraio, dando per scontato che nei circoli Partito democratico vincerà Stefano Bonaccini.

Si ristabilirebbe così una competizione più “domestica” tra la sinistra dem e il “centro” del partito, con imprevedibili appoggi e spostamenti di ruolo e con l’estranea Schlein che in questo schema farebbe la parte che ebbe Ignazio Marino nelle lontane primarie del 2009, quando l’illustre chirurgo nelle sezioni finì appunto terzo dopo Pier Luigi Bersani e Dario Franceschini (ai tempi però anche il terzo poteva partecipare alle primarie aperte, ora come detto vanno solo i primi due).

Sarebbe un bel colpo di scena se in campo scendesse Andrea Orlando, che sin qui è parso piuttosto incerto sul da farsi, o Gianni Cuperlo, che parlando con La Stampa non ha escluso di poter correre lui o un altro esponente della Ditta che fu (Peppe Provenzano si è chiamato fuori, ma allora chi?), tenendo conto la sinistra resta malgrado tutte le peripezie una corrente ancora abbastanza strutturata nella base del partito.

La Ditta – dicono i malevoli – deve difendere il suo spazio che è seriamente minacciato da Schlein, i cui contenuti pure non sono lontani da quelli di Orlando o Cuperlo, sebbene agli occhi di questi ultimi (e in generale dei dalemiani-bersaniani) sembrino meno “politici” di come li affrontano loro. Torna qui un’antica diffidenza “di pelle” che gli eredi del Partito comunista nutrono nei confronti di una eterodossa che secondo loro maneggia la politica senza la Politica con la “P” maiuscola, un po’ la versione aggiornata dell’idiosincrasia dei comunisti verso i “gruppettari” di una volta: Elly per loro naviga troppo in superficie, non coglie la complessità, si sarebbe detto un tempo.

Non è un caso se finora da Orlando o da Goffredo Bettini per non parlare direttamente di Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema non sia venuto un fiato in favore di Elly Schlein della quale pure condividono la radicalità della critica al “neoliberismo”, qualsiasi cosa voglia dire, cioè all’idea, come ha detto la candidata alla segreteria, che «il modello di sviluppo neoliberista si è dimostrato assolutamente insostenibile per le persone e per il pianeta». Una visione che la filosofa Claudia Mancina ha definito «millenaristica» e che per gli eredi della Ditta non è roba da appaltare a un’estranea ma che al contrario va portata avanti direttamente dalla sinistra dem.

Come sempre, poi, c’è dietro tutto questo anche il fatto piuttosto antipatico che il partito di Bersani e Speranza, Articolo Uno, avrebbe fatto tutto un percorso per rientrare nel Partito democratico vedendo alla fine il proprio spazio naturale occupato da Elly e dai suoi: tanta fatica per niente! Ecco perché i Bersani e i D’Alema stanno pensando a scendere in campo attraverso un loro candidato.

Sia Cuperlo che Orlando hanno già perso in due primarie diverse, nel 2013 il primo e nel 2017 il secondo, entrambi battuti da Matteo Renzi. Il che non esclude che ci riprovino, uno dei due o qualcun altro. Ma devono mettere in conto il rischio di perdere persino tra gli iscritti, superati dalla “estranea” Schlein e dal favorito Bonaccini: che alle primarie se la vedrebbero tra di loro, senza la Ditta.

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Aggiotaggio giudiziario.Le riforme di Nordio, le indagini sulla Juventus e il problema tutto italiano dell’inquinamento delle informazioni.

FRODI calcistiche & $ocietarie Vs frodi PROCESSUALI entrambi un «inestricabile CLASSICO italiano e italiota – Risibile quanto onanistico, in un “Paese finito” come questo, anche l’augurarsi «che vinca il migliore». “Migliore”, chi?? COSA??

Le proposte del Guardasigilli, non così garantiste come sembrano, sono state bocciate dal solito circo giornalistico-giudiziario, proprio mentre i giornali riportano intercettazioni sul club bianconero diffondendo solo le tesi dell’accusa. Una vera piaga, mai risolta, della nostra democrazia.

Il Guardasigilli Carlo Nordio ha esposto alla Commissione giustizia della Camera una sorta di personale “libro dei sogni” in cui sono contenute quelle “riforme minime” – dalla separazione delle carriere alle intercettazioni, al rispetto concreto ed effettivo del principio di legalità – che sarebbero appunto il “minimo sindacale” per un paese degno di qualificarsi come governato come uno stato di diritto.

Per questo motivo, l’ex magistrato veneziano ha subito il solito trattamento che il partito giornalistico delle procure riserva a chiunque osi mettere sul tavolo questi temi, vale a dire un indifferenziato pestaggio mediatico e la “fatwa” dei giustizialisti nostrani.

Da ultimo, l’immancabile Gustavo Zagrebelsky ha unito in un unico tratto le critiche al presidente della Repubblica, a Bankitalia e alla magistratura come un complessivo disegno d’assalto alle istituzioni di garanzia mosso dalla destra italiana.

Chi scrive ha avuto modo, su questo giornale, di esprimere la personale diffidenza nei confronti del nuovo Guardasigilli, in particolare sottolineando come la sua visione sia sostanzialmente autoritaria perché, a fronte di massime garanzie per i “galantuomini” nel processo, egli sostiene massimo controllo e chiusura nella fase di prevenzione dei crimini e di esecuzione della pena.

Dunque, per Nordio, le intercettazioni sono da restringere come fonte di ricerca della prova durante l’indagine, ma vanno invece abbondantemente usate prima e a prescindere da ogni controllo giudiziario di legalità come strumento di contrasto sociale alla criminalità.

Così il ministro della Giustizia teorizza che le forze di polizia, in segreto e senza controllo della stessa magistratura, e senza mai darne pubblico conto, possano intercettare i sospetti di ipotetiche illecite attività ancora da accertare. Un modello di stampo ungherese da rigettare in toto.

Nessuna misericordia inoltre per i condannati, con qualche rara eccezione per i responsabili di reati minori. In questa visione, come dimostra il recente decreto anti-rave, i “ladri di Stato” corrotti e corruttori sono equiparati a mafiosi e trafficanti, per cui nessuna alternativa vi può essere al marcire nelle più vergognose carceri europee.

Per questa idea di giustizia chi scrive non ha nessuna simpatia, al contrario delle tante cheerleader di Nordio tra insospettabili organi di stampa e politici sedicenti garantisti.

Tuttavia il vero scandalo è lo squadrismo mediatico che si abbatte su chi osa toccare i fili, a partire dalla famosa e “limacciosa “ commissione bicamerale di Massimo D’Alema di fine millennio.

In ragione di ciò, a oggi è problematico finanche eleggere i membri laici per il Consiglio superiore della magistratura dove concorrono personaggi che la magistratura non ama come gli avvocati Gaetano Pecorella e Mauro Anetrini, garantisti e pure autorevoli e per questo invisi alle toghe.

Tuttavia il vero problema non è solo una magistratura arroccata sui suoi privilegi, bensì una diffusa sottocultura che la protegge e accompagna nei suoi vizi, magari per interessi di bottega.

Il mercato delle intercettazioni indiscriminatamente pubblicate sulla stampa, ad esempio, non è una fisima di Nordio ma una piaga reale che inquina la democrazia.

Tramite esso si colpisce un principio di civiltà come la presunzione di innocenza vanamente ribadito da una legge di recente introdotta in mezzo agli strepiti del partito filo-procure dei Travaglio, Bianconi, Bonini e Giannini e non se ne abbiano a male alcuni destinatari (“Amicus plato sed magis veritas…”).

La legge impone ai magistrati la prudenza e la riservatezza sulle indagini, una cosa ovvia, ma non impedisce di surrogare le vecchie conferenze stampa di pm e carabinieri con estesi editoriali sui giornali amici. E dunque basta passare le carte per avere le solite vecchie sentenze anticipate di condanna.

Tale sorte accomuna potenti e cittadini comuni, cardinali, imprenditori e vecchi pregiudicati, dagli Agnelli a Massimo Carminati.

Ultimamente è capitato anche ai proprietari di Gedi, il più importante gruppo editoriale italiano, a proposito del procedimento penale che coinvolge una delle loro più rilevanti partecipazioni, la Juventus, di cui va evidenziato un curioso quanto significativo episodio.

Raccontano le cronache che Cristiano Ronaldo, ex calciatore bianconero negli anni oggetto di indagine, abbia fatto richiesta di accesso agli atti del processo che sono stati depositati per le parti al termine delle indagini, quale soggetto interessato.

Richiesta legittimamente respinta perché il contenuto del fascicolo, ancorché non più coperto dal segreto d’indagine, non può comunque essere pubblicato almeno fino al termine dell’udienza preliminare e la copia dei singoli atti addirittura sino al processo vero e proprio a norma dell’articolo 114 del codice di procedure penale.

Il punto è che invece le gazzette hanno riportato pezzi interi di intercettazioni, alcune con soggetti non coinvolti e hanno diffuso le tesi dell’accusa.

Quasi nessuno ha illustrato le ragioni della difesa e ha correttamente spiegato che l’unica volta in cui è intervenuto un giudice “terzo e imparziale” ha dato torto all’accusa non solo respingendo la solita richiesta di misure cautelari ai danni dei principali imputati, ma addirittura ponendo in dubbio la rilevanza penale delle strombazzate plusvalenze che costituiscono la polpa delle accuse di falso in bilancio e aggiotaggio informativo.

Stiamo parlando di una società quotata in Borsa ma lo stesso discorso ormai è ricorrente in svariati casi. L’aggiotaggio e l’inquinamento dell’informazione giudiziaria sono un grosso problema di democrazia non ancora risolto e duro a morire.

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Il piano della Commissione.L’Italia prima in Europa per evasione dell’Iva

CHE BEL RECOR ITALIANO! PRIMI IN EVASIONE SUL IVA

Il costo annuo per il nostro Paese è di 26,2 miliardi. «Non possono certo dire che pure questo è colpa nostra», avrebbe detto Giorgia Meloni. Gentiloni ha spiegato: «Le finanze pubbliche hanno bisogno di solide entrate fiscali». Bruxelles ha proposto una serie di provvedimenti, tra cui una piattaforma per le operazioni transfrontaliere. Il giudizio sulla manovra italiana arriverà la prossima settimana: nel mirino resta la norma sull’obbligo del Pos.

«Non possono certo dire che pure questo è colpa nostra». Sarebbe stato questo il commento della premier Giorgia Meloni – secondo quanto riportato oggi in un retroscena della Stampa – davanti al report della Commissione Europea sull’evasione dell’Iva in Europa, che vede l’Italia al primo posto nel Vecchio Continente con un costo annuo di 26,2 miliardi. In termini assoluti si tratta del peggior dato tra i Paesi dell’Ue, dove il conto dell’Iva non riscossa è di 93 miliardi l’anno. In termini percentuali, vuol dire che in Italia oltre un quinto dell’Iva dovuta non viene pagata. Soltanto Romania e Malta hanno performance peggiori. La Grecia invece è migliorata e ha superato l’Italia, scendendo sotto il 20%.

Il report di Bruxelles e le critiche alla manovra
Il report è stato presentato da Paolo Gentiloni, commissario all’economia a Bruxelles. I dati annuali diffusi da palazzo Berlaymont dicono che l’Italia resta prima tra i Ventisette per l’evasione in termini assoluti. È seguita dalla Francia, dove le perdite valgono 14 miliardi di euro. E dalla Germania, che registra una mancata riscossione di 11,1 miliardi. L’Italia è anche terza per il divario tra gettito previsto e riscosso con il 20,8 per cento. Dietro solamente a Malta (24,1%) e Romania (35,7%).

Questi numeri assumono un significato particolare alla luce delle recenti proposte del governo, che nella legge di bilancio ha deciso di eliminare le sanzioni per i commercianti che si rifiutano di accettare pagamenti con carta sotto i 60 euro. «In tempi difficili come questi», ha sottolineato Gentiloni, «le finanze pubbliche hanno bisogno di solide entrate fiscali, sia per sostenere i servizi pubblici, sia per sostenere gli investimenti». Gentiloni non ha voluto sbilanciarsi sulle misure contenute nella manovra, ma ha ribadito che «i princìpi sono abbastanza evidenti: per noi la fatturazione elettronica e la lotta all’evasione sono le grandi priorità».

«Gentiloni sa benissimo che se il sistema fiscale non funziona la responsabilità è dei governi precedenti, noi siamo appena arrivati», racconta una fonte alla Stampa. E infatti, Palazzo Chigi e il Tesoro contano di prendere in mano la situazione e portare in Parlamento, tra gennaio e febbraio, una nuova delega fiscale. La tesi del vice ministro Maurizio Leo, il tributarista di Fratelli d’Italia a cui Meloni e Giorgetti hanno delegato tutta la partita fiscale, è che la repressione non basta per far pagare le imposte. La riforma nel cassetto punta a rivedere Irpef, Ires e anche Iva. Le imprese non devono essere più vessate, ha spiegato Leo, «occorre cambiare la logica dell’accertamento, favorendo il rapporto tra amministrazione finanziaria e contribuenti». L’obiettivo è dialogare con le imprese, introdurre una “cooperative compliance” con le grandi aziende e un concordato preventivo biennale con le piccole e medie imprese, scrivendo accordi a tavolino con gli imprenditori sulle tasse da pagare negli anni successivi. E la fatturazione elettronica è uno strumento che favorirà questo processo, proprio come chiede la Commissione europea.

Nel mirino di Bruxelles, però, resta ora la norma sull’obbligo di Pos che potrebbe segnare un passo indietro nella lotta all’evasione fiscale e che sembra in contrasto con gli obiettivi del Pnrr. Diverso il discorso sul tetto all’uso del contante, che il governo Meloni ha deciso di alzare a cinquemila euro. La misura sembra essere in linea con gli standard Ue, tanto che ieri il Consiglio ha dato il suo sostegno alla proposta della Commissione che prevede di fissare un tetto massimo a 10mila euro per i pagamenti in contanti.

La peculiarità italiana, però, dovuta proprio all’elevato tasso di evasione, rappresenta un fattore di preoccupazione. Gentiloni ha spiegato che la Commissione non intende lanciare alcun allarme sulla manovra (il giudizio arriverà la prossima settimana) e ha assicurato che da parte del governo italiano «c’è l’impegno a voler rispettare gli obiettivi e le scadenze del Pnrr in modo serio».

Ma intanto l’avvocato e professore di diritto tributario Franco Gallo dice in un’intervista alla Stampa che il governo Meloni sta rinunciando alla lotta all’evasione. Gallo racconta che il sottosegretario all’Economia Maurizio Leo è stato un suo allievo: «Quando ero ministro delle Finanze lui era un giovane molto bravo che ho preso con me. Mi ha aiutato e l’ho spinto ad andare avanti». Ma il ragionamento del sottosegretario sulla sanzione penale da cancellare per la dichiarazione infedele e l’omesso versamento «sinceramente non lo capisco», dice Gallo. «Con il penale c’è un tipo di dolo che va punito anche con l’arresto e la reclusione. Invece l’amministrativo è un’altra cosa. Si può anche pensare di voler applicare sanzioni meno punitive, lo si è fatto in passato. Ma sostenere che c’è una equiparazione tra la sanzione penale e quella amministrativa per cui l’una è alternativa all’altra mi sembra una fesseria. Basta aver fatto l’università per sapere che non è così».

Gallo critica anche lo stralcio delle cartelle esattoriali fino al 2015 e inferiori a mille euro: «È il solito vecchio discorso. L’amministrazione finanziaria non riesce a fare la lotta all’evasione. E allora dopo cinque, sei, sette anni ricorre a questo escamotage. Le cartelle vengono stralciate con la scusa che tanto sono pochi soldi e difficili da riscuotere». Ma con questa logica al contribuente conviene non pagare: «Intanto evade e poi aspetta il giorno in cui cancelleranno la punizione. La lotta all’evasione va fatta tutti i giorni, chi non paga deve essere subito colpito e punito».

Le proposte della Commissione Ue
E la piaga è ancor più grave se vista dalla prospettiva del Vecchio Continente impegnato a far fronte al caro energia. Per cercare di tamponare l’evasione di Iva non incassata, la Commissione ha proposto una serie di provvedimenti che potrebbero permettere di recuperare fino a 18 miliardi di euro a livello Ue. Circa un quarto dell’Iva che sfugge alle casse degli Stati Ue è legato a frodi per le operazioni transfrontaliere, per questo motivo l’esecutivo comunitario vuole introdurre un sistema per rendere obbligatoria la fatturazione elettronica per tutte le transazioni transfrontaliere, in modo da consentire una comunicazione dei dati «in tempo reale» anche attraverso una banca dati europea. Le imprese che vendono prodotti o servizi a consumatori in un altro Stato potranno registrarsi una sola volta ai fini dell’Iva in tutta l’Ue e adempiere ai loro obblighi attraverso un unico portale. C’è poi un’altra novità che riguarda le piattaforme che gestiscono il trasporto di persone e le strutture ricettive a breve termine, come Uber e Airbnb. In base alle nuove norme, le piattaforme saranno responsabili della riscossione e del versamento dell’Iva «quando i fornitori dei servizi non lo fanno, ad esempio perché sono una piccola impresa o un singolo fornitore».

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Impiccato il primo manifestante.Il regime iraniano imploderà come il Sudafrica davanti alla sfida di Mandela, dice Azar Nafisi

«Ci sono migliaia di persone che scendono in piazza e non puoi certo ucciderle tutte. E anche se ne uccidi qualcuna ce ne sono ancora altre», spiega la scrittrice. «Per il regime come per il popolo è una lotta per la sopravvivenza. Se fosse stata solo una rivolta politica, sarebbe stato facile prendere i leader dei gruppi politici e ucciderli». Teheran ha annunciato di aver giustiziato Mohsen Shekari, 23 anni, arrestato durante una protesta.

«L’Iran di oggi è come il Sudafrica dell’apartheid, da noi il razzismo è contro le donne ma il regime perderà anche questa volta». Azar Nafisi, scrittrice iraniana in esilio e autrice di best seller come “Leggere Lolita a Teheran”, spiega in un’intervista a Repubblica il senso delle proteste contro Teheran e l’importanza delle iniziative di solidarietà in Occidente. «Se l’opinione pubblica nei Paesi liberi parla di loro, compie l’opera più decisiva, importante»

Il regime ha annunciato di aver eseguito la prima condanna a morte di un manifestante. Mohsen Shekari, 23 anni, è stato impiccato. Era stato arrestato durante le manifestazioni, accusato di aver bloccato una strada il 25 settembre scorso a Teheran e di aver estratto un’arma con l’intenzione di uccidere. L’udienza si è tenuta il 10 novembre e l’imputato — secondo quanto riportato dalla magistratura iraniana — «ha confessato». Il tribunale rivoluzionario lo ha dunque riconosciuto colpevole di «inimicizia contro Dio».

Secondo le testimonianze di un gruppo di medici iraniani raccolte dal Guardian, le forze di polizia di Teheran sparano alle manifestanti donne, mirando al viso, al seno e ai genitali.

«Ci sono migliaia di persone che scendono in piazza e non puoi certo ucciderle tutte. E anche se ne uccidi qualcuna ce ne sono ancora altre», dice Nafisi. «E in questo modo il regime sta spingendo sé stesso contro il muro. Non può farcela. Imploderà come avvenuto con il Sudafrica davanti alla sfida di Nelson Mandela», dice Azar Nafisi. Però «non è una lotta politica, ma esistenziale. Per il regime come per il popolo è una lotta per la sopravvivenza. Se fosse stata solo una rivolta politica, sarebbe stato facile prendere i leader dei gruppi politici e ucciderli».

Tutto è partito dalle donne, dal simbolo del velo. Ma poi le proteste sono andate ben oltre. Prima della Repubblica Islamica, il governo non si occupava del velo o di cosa indossavano le donne, spiega la scrittrice. «Eravamo libere. Mia nonna era una musulmana ortodossa e mia madre non indossava mai il velo. Eppure vivevano fianco a fianco. Mia nonna diceva che il vero Islam non forza le donne a indossare il velo». Ma per la teocrazia iraniana il velo obbligatorio è così importante perché è «un efficace mezzo di controllo. In pratica ci dicono “non possiedi te stessa”, “non possiedi il tuo corpo: siamo noi i tuoi padroni, ti diciamo cosa fare”. È una lotta per il potere. Questo è il motivo per cui oggi indossare il velo è diventato un simbolo, una dichiarazione a favore o contro il regime. Il regime è un sistema totalitario, che impone una divisa ai suoi cittadini, che controlla attraverso la repressione e ci porta via la nostra identità nazionale e individuale».

Per cui «quello per cui stiamo lottando non è a favore o contro il velo, ma libertà di espressione e libertà di scelta». Una rivolta che ora continua perché – dice Nafisi – «questa generazione, paradossalmente è quella dei figli della rivoluzione. Non hanno visto come era prima. Eppure le loro mamme, nonne e bisnonne lo ricordano bene. E a casa vedono che ci sono due Iran, quello privato e quello pubblico imposto dalla Repubblica Islamica. È questa giovane generazione che non vede futuro per sé stessa all’interno del sistema».

E il regime non riesce a domare le proteste con la repressione proprio perché «l’unica lingua che usa è la forza. Per questo regime, come per qualunque altro regime totalitario, riforme significa rivoluzione. Non possono cedere di un millimetro perché poi si vorrà di più e di più. Non puoi essere un po’ conciliante, devi essere totalitario. Vedono la loro sopravvivenza nell’eliminazione delle voci del popolo iraniano».

Le contraddizioni certo «ci sono state fin dall’inizio all’interno del regime e con le proteste delle donne ci sono state anche defezioni interne al regime. Anche queste crepe ricordano il Sudafrica dell’apartheid, quando l’élite bianca iniziò a dividersi».

Ora le democrazie posso aiutare aiutare le donne iraniane «parlando di loro. Perché il regime gli dice in continuazione che sono sole, nessuno al mondo si interessa a loro. È una guerra psicologica. Se l’opinione pubblica nei Paesi liberi parla di loro, compie l’opera più decisiva, importante. Non farle sentire sole. Per questo sono importanti eventi di solidarietà come quello in programma domenica al Teatro Parenti di Milano che voi avete organizzato».

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Inchiesta Open, assist della Consulta a Renzi: ammissibile il conflitto di poteri tra Senato e magistrati di Firenze.

Finalmente qualcosa si muove in questa palude, non è un assist ma l’applicazione delle leggi vigenti. Ha ragione Renzi quando dice che anche se in ritardo la verità riesce sempre a venir fuori.

del resto il nuovo ministro di giustizia dott. Nordio auspicava la reintroduzione dell’immunita parlamentare, si dovrà pur dare un segnale a questa giustizia malata, gli appelli del presidente della Repubblica hanno finito per non avere neanche l’eco, andando a finire nel vuoto assoluto.Avanti tutta caro Matteo Renzi,ti stai battendo solo contro tutti ma come dici tu il tempo è sempre galantuomo e la verità verrà fuori, e speriamo che prima o poi vengano fuori anche i nomi di chi da anni sta manovrando ai tuoi danni

Inchiesta Open, assist della Consulta a Renzi:

Importante vittoria per Matteo Renzi nell’ambito del procedimento sulla Fondazione Open, che lo vede indagato assieme a esponenti del cosiddetto “giglio magico” come Maria Elena Boschi, l’ex deputato del Pd Luca Lotti, ma anche all’ex presidente della Fondazione, Alberto Bianchi, e all’imprenditore Marco Carrai, in quanto membri del consiglio direttivo della Fondazione, per finanziamento illecito dei partiti.

Questa mattina la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile il conflitto tra poteri dello Stato sollevato lo scorso 22 febbraio dal Senato contro i magistrati di Firenze che indagano su Renzi: la stessa Consulta dunque dovrà stabilire se i pm fiorentini del procedimento Open hanno violato i diritti di parlamentare di Matteo Renzi, allegando agli atti dell’inchiesta e-mail e chat di quando lui era già senatore senza chiedere l’autorizzazione preventiva di Palazzo Madama.Il conflitto ritento ammissibile dai giudici sarà dunque deciso nel merito dalla Corte a seguito dell’udienza pubblica. Una decisione, quella odierna della Consulta, che potrebbe avere riflessi anche sul processo in corso contro Renzi: il gup, sottolinea l’Ansa, potrebbe decidere di sospendere l’udienza preliminare in corso a Firenze.

Il ricorso alla Consulta era stato deliberato il 22 febbraio scorso dall’Aula del Senato con 167 voti, 76 contrari e nessun astenuto, approvando la relazione della Giunta delle immunità. Secondo la relazione approvata a Palazzo Madama, i magistrati fiorentini che indagavano su Open e su Renzi (all’epoca il procuratore capo Giuseppe Creazzo e i sostituti procuratore Luca Turco e Antonino Nastasi) avrebbero dovuto chiedere prima una formale autorizzazione al Senato per l’acquisizione delle chat private e delle mail di Renzi.

Magistrati che hanno chiesto per Renzi e company il rinvio a giudizio. Processo e inchiesta che Renzi ha sempre definito “uno scandalo assoluto”. In una delle ultime enews il leader di Italia Viva era tornato proprio sulla questione Open, annunciando che il 25 novembre avrebbe consegnato “l’ennesima denuncia a Genova contro i magistrati fiorentini”.

Ne hanno combinata una talmente grossa che è incredibile come non si voglia procedere nei loro confronti! Nel frattempo chissà che succede all’indagine genovese sui PM del caso David Rossi, uno dei quali – ricordo – è uno dei miei grandi accusatori nel processo. Accusatore sicuro, grande non credo. Nel libro dimostro perché“, scriveva il senatore fiorentino.

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Il sale del opposizione fertile e democratica mette il seme quando serve.Legge di Bilancio, Renzi: “Noi facciamo emendamenti, Calenda più serio di Conte”

“La manovra non funziona. Noi discutiamo, facciamo emendamenti e c’è chi fa spot – prosegue Renzi -. Conte se ne va a fare tutto ciò che funziona a livello di comunicazione così invece di andare alla prima della Scala va a fare una roba a favore di telecamera. Se fai politica e ti pagano 15mila euro al mese, perché Conte non rinuncia a quello per prendere lo stipendio da povero, il Reddito di cittadinanza, devi fare gli emendamenti alla legge di bilancio. Calenda è stato molto più serio di Conte. Ha studiato, ha presentato alla Meloni cinque proposte, poi vediamo se le accoglie o no. C’è da prendere il Mes, sono 37 miliardi di euro”. Così il leader di Italia Viva, Matteo Renzi.

Altro esempio sul. Il sale del opposizione fertile e democratica mette il seme quando serve. Non solo quando fa comodo solo fa comodo a qualcuno,raccontando balle, e portando il popolino condizinabile co le FAKE in piazza.

Diritto di cronaca, tutela delle fonti, querele bavaglio, dignità del lavoro, lotta al precariato: giornalisti in piazza a Roma il 14 dicembre

No è concepibile portare in piazza per, tabulati telefonici di due giornalisti della trasmissione di Rai3 al fine di risalire all’identità della professoressa che ha dato alla redazione la notizia dell’incontro fra Matteo Renzi e l’allora funzionario dei servizi segreti Marco Mancini, in un autogrill alle porte di Roma.

Il Consiglio nazionale della Fnsi ha deciso di aprire i lavori della riunione di mercoledì 14 dicembre 2022 con un presidio nei pressi della redazione di Report. L’appuntamento è per le 9.30 a Roma, nei pressi del Centro di produzione Rai di via Teulada. L’assemblea si sposterà poi all’hotel NH Villa Carpegna per proseguire i lavori. Insieme ai delegati veneti ci sarà anche una rappresentanza di giornalisti precari e di cococo. SCUSATE UN ASSURDITA SOLO ITALIANA, E POI CI LAMENTIAMO SE IL RESTO DEL MONDO CI DERIDE!

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Il sale del opposizione fertile e democratica mette il seme quando serve.E! Nordio prova a riformare la giustizia come non c’è mai riuscito nessuno

Paita : “Sosterremo iniziativa riformatrice di Nordio”.

“Ci piace. Perché finalmente dopo tanti anni va nella direzione di una concezione garantista della giustizia e devo dire che il ministro Nordio sta davvero facendo bene e noi lo sosterremo in questa sua iniziativa di riforma della giustizia in senso garantista”.

Il governo Meloni ci prova, aggiungendo anche la riforma istituzionale, per rinsaldare la maggioranza, tenere aperto il dialogo con il Terzo Polo, dividere l’opposizione e governare cinque anni. Auguri.

La riforma della giustizia che il ministro Carlo Nordio ha delineato in Parlamento in questi ultimi due giorni sta agitando i Pm e incentivando Cinquestelle e Partito Democratico a serrare i ranghi, si sentno messi al muro non avendo più la magistratura che faceva e tuttora fa il gioco sporco che loro chiedevano ad essa,per fare il gioco sporco per i loro giochi politici sporchi . La parte civile della riforma rientra nelle priorità del Pnrr. La riforma del Codice penale ha un risvolto costituzionale che complica il passaggio parlamentare, ma allo stesso tempo crea un’opportunità politica.

Sarà una battaglia durissima che il centrodestra storicamente non ha mai vinto, neanche quando Silvio Berlusconi mostrava i denti contro le toghe rosse e caricava come un ariete. A questo giro, con la destra meloniana trainante e i leghisti senza forca, ha buone possibilità di farcela. Su questo terreno, e non solo, la maggioranza non ha avversari coesi, mentre sulla carta potrebbe contare sui voti del Terzo Polo. Una strada pericolosa che Carlo Calenda e Matteo Renzi potrebbero attraversare, bruciandosi i ponti alle spalle con gli altri oppositori e aiutando Giorgia Meloni a realizzare un progetto più complessivo che non si limita alla giustizia.

È un passaggio, anzi sarà un passaggio (siamo ancora alle enunciazioni di principio, nessuna proposta di legge scritta nero su bianco) che porta tutta la destra a suonare lo spartito tradizionale di Forza Italia dopo aver chiuso nel baule della memoria i cappi agitati in aula e le monetine lanciate contro Bettino Craxi. Preistoria politica.

Il merito delle intenzioni del Guardasigilli sono note. A proposito delle intercettazioni, il ministro dice di non volere eliminare ma regolamentare per evitare il ludibrio e la gogna della divulgazione mediatica. Superare le fattispecie dell’abuso d’ufficio e del traffico di influenze, considerate «reati evanescenti» che paralizzano gli amministratori e usate per uccidere le cartiere politiche dei nemici. Tra le altre cose, si salirà di livello e si arriverà a nuove norme sull’obbligatorietà dell’azione penale e sulla separazione delle carriere. È soprattutto qui che bisognerà mettere mano alla Costituzione, «senza che questo significhi assoggettare i magistrati all’esecutivo», sostiene Nordio. «Chi sostiene che questo sia il mio obiettivo – sostiene il ministro della Giustizia – mi offende personalmente, dopo 40 anni di magistratura, e fa speculazione politica per non dire che il problema esiste».

Ma l’ex magistrato, che negli anni ’90 a Venezia portò alla sbarra il ministro democristiano Carlo Bernini e quello socialista Gianni De Michelis e polemizzò con i colleghi di Milano (li accusò di essere mossi da intenti politici), vuole aprire un confronto: «l’opposizione è il sale della fertilità». Una pia illusione se pensa al Pd o ai Cinquestelle. Discorso diverso, come dicevamo, se gli interlocutori saranno quelli del Terzo Polo.

In sostanza, Giorgia Meloni aprirà una fase costituente con una parte della Parlamento che potrebbe sommare la riforma della giustizia e quella istituzionale. Una riforma della Costituzione che apra la strada anche al presidenzialismo, da affiancare all’autonomia differenziata. La presidente del Consiglio ha sempre detto che le due cose devo marciare insieme perché il presidenzialismo rende equilibrato il progetto leghista. È scritto nel programma con cui il centrodestra si è presentato e ha vinto alle elezioni del 25 settembre.

Sarebbe la classica quadratura del cerchio. Silvio Berlusconi vedrebbe coronato il sogno di spuntare le unghie ai magistrati. Matteo Salvini quello dell’autonomia regionale. Meloni blinderebbe la sua maggioranza negli anni necessari per fare le lunghe letture parlamentari e approvare la riforma costituzionale. Meloni arriverebbe al 2024 sull’onda lunga che potrebbe regalarle un voto europeo scoppiettante e il 30% che oggi i sondaggi assegnano a Fratelli d’Italia.

Un sogno o un incubo? Dipende dai gusti politici. Se il sogno si realizzerà, questo governo guiderà l’Italia fino alla fine della legislatura. Poi si porrà il problema dell’elezione diretta del capo dello Stato, a tre anni dalla scadenza del mandato di Sergio Mattarella. Meloni è giovane e determinata: potrebbe aspettare ancora qualche anno al governo, un nuovo governo, e correre lei stessa per il Quirinale. Un altro record, una donna per la prima volta a Palazzo Chigi e poi sul più alto Colle.

Il punto è se i suoi compagni di viaggio, contenti di avere fatto la grande riforma, consentiranno di aprire una lunga era meloniana. Sempre che nel frattempo siano capaci, tutti insieme, di gestire anche l’economia e spendere la montagna di miliardi del Pnrr.

Sempre che quel pezzo di opposizione disponibile a essere il sale della fertilità abbia la lucidità di sottrarsi al disegno politico altrui o di parteciparvi consapevolmente.

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La bussola spuntata del Pd che invece di guidare la base, la confonde ancora di più

Il Comitatone che dovrà riscrivere il nuovo Manifesto del Partito democratico chiede agli iscritti di compilare un questionario a risposta multipla. Una mossa di marketing politico che si imbroglia nelle astrattezze filosofiche.

Un questionario da agenzia pubblicitaria, «indichi quali priorità», con il «lei» – ma a sinistra non ci si dava del tu? – un lunghissimo elenco di domande ai poveri iscritti per capire chi siamo e cosa vogliamo: ecco l’ultimo marchingegno del Nazareno chiamato sportivamente la Bussola – fin troppo facili le ironie sul disorientamento della ciurma dem – uno strumento elaborato con l’aiuto dei compagni tedeschi della Fondazione Ebert della Spd (Science Po non era il caso…) per capire cosa vogliono realmente gli iscritti al partito.

Un tempo c’erano gli attivi, i gruppi dirigenti che avevano le mitiche antenne per sentire i desiderata del popolo, c’erano le sezioni e le parrocchie, le riunioni e pure le tavolate tra amici e compagni, era lì che si capiva cosa chiedevano gli iscritti, qual era il loro orientamento, i congressi con i documenti e gli emendamenti, oggi c’è il cervellotico questionario i cui risultati verranno elaborati da Ipsos e tramessi al Comitato Costituente, il Comitatone che deve riscrivere il nuovo Manifesto del Pd da sottoporre a un’Assemblea nazionale vecchia ed evidentemente delegittimata essendo stata eletta ai tempi della elezione di Nicola Zingaretti,  quel “Comitatone” che sta litigando su capitalismo e dintorni, dal quale, en passant, si è già dimesso un intellettuale esterno di prestigio come Mauro Magatti.

Hanno costruito una specie di musiliana Azione parallela nella quale ci si imbroglia nelle astrattezze filosofiche e s’inciampa in questa brutta copia di marketing politico, questa Bussola che rischia di confondere più che indicare la rotta.

È la seconda fase del labirintico Congresso, la prima era quella della Chiamata nella quale in teoria sarebbero dovute arrivare forze nuove e invece non si è visto nessuno, formalmente finora neppure Articolo Uno e nemmeno Elly Schlein che comunque è già candidata al soglio di Enrico Letta.  Ma tornando al questionario inviato agli iscritti si tratta di oltre venti domande anche a risposta multipla e abbastanza complicato: c’è un po’ di tutto, quale mission, quali valori, come si deve governare, il territorio, l’organizzazione.

Le questioni sono divise in tre parti. La prima è quella dei «perché»: serve per «indagare sulle ragioni profonde del perché vogliamo il Pd e su quale debba essere la sua missione principale». Priorità, battaglie, orientamento sui governi di larghe intese, ragioni di orgoglio e problemi del partito. Tutto, insomma.

La seconda sezione è quella dei «come», ovvero «con quali strumenti e procedure il partito persegue la sua missione». Si chiedono  gli ingredienti per il successo del Pd, la modalità di elezione del segretario, l’opinione sulla doppia leadership uomo-donna, le correnti, sul finanziamento, sul ruolo stesso del partito, su cosa rende credibile un dirigente o un gruppo dirigente, sui canali di comunicazione interna e all’esterno.

La terza sezione riguarda la sostanza dei problemi ed entra nel «contenuto specifico dell’offerta politica» del nuovo Pd. Viene chiesto di barrare le priorità generali, dalla lotta alla precarietà al Mezzogiorno, ai diritti civili al salario minimo, fino alla transizione ecologica; quelle territoriali (ad esempio i trasporti o la lotta alla criminalità). Più di venti domande che talvolta si ripetono e inevitabilmente semplificano scelte complesse alle quali è complicato rispondere barrando un quadratino come quando uno sceglie una casa di vacanza chiedendo che abbia il giardino e sia vicina alla spiaggia, con l’aria condizionata e il Wi-Fi.

È sempre difficile infatti scegliere fino a cinque risposte su 11 opzioni su cosa sia più importante tra il ruolo internazionale dell’Italia, difendere gli svantaggiati, difendere le conquiste sociali, quelle civili, l’ecologia, la società aperta agli stranieri, promuovere la crescita eccetera: forse alla fine vincerà l’ultima risposta, «non saprei». Che può andare essendo una linea in continuità con quella attuale.

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