In politica è cambiato tutto. Ma bisogna capire da che parte stare: con Orban o con l’Europa.

Lanciato una provocazione intelligente al PD: per fare opposizione è necessario avere delle idee. Ne abbiamo?

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In questo momento, guardandosi intorno, verrebbe purtroppo spontaneo rispondere: no, non ne abbiamo.

Perché non è possibile, in termini di onestà intellettuale, spacciare per idee quelle tre o quattro frasi rimasticate che ci vengono riproposte con un confuso balbettio dal giorno dopo le elezioni, semmai sono una efficace testimonianza della crisi irreversibile in cui si è avvitata la sinistra in preda ad un cupio dissolvi che finirà di inghiottirla.

Ed è molto significativo che, appena si è accennato alla costituzione di un Fronte repubblicano, le vestali del sacro fuoco ormai ridotto a cenere abbiano immediatamente riproposto l’unico argomento di cui sono capaci, ovvero l’esame del DNA che garantisca l’assoluta purezza dei partecipanti. Perché la casa è bruciata, tutto è perduto, ma non sia mai si possa alzare lo sguardo e provare a guardare oltre il cadente steccato ideologico.

Ecco, se vogliamo trovare idee da cui ripartire, la prima cosa di cui dovremmo liberarci è proprio l’ideologia, non solo perché insistere a tenerla in vita si configura come accanimento terapeutico su un feticcio morto con il Novecento, ma perché è qualcosa che non contiene alcuna chiave di lettura del presente né tantomeno strumenti per costruire il futuro.

Abbiamo appena assistito alla formazione di un governo che nasce dalla convergenza di due forze politiche non ideologiche e per di più totalmente sradicate dal passato.

I Cinquestelle sono un prodotto di marketing privo di qualunque connotazione, hanno la forma dell’acqua, cosa che permette loro di dire tutto e il suo contrario senza minimamente scalfire la cieca fiducia del proprio elettorato, conquistato con una sapiente quanto anestetica miscela di odio sociale, revanchismo d’accatto e promesse consolatorie.

Anche la Lega, a dispetto delle apparenze, non ha alcuna ideologia di riferimento. Nata come rivendicazione di indipendenza di una terra che non esiste, la Padania, in realtà esprimeva le pulsioni razziste e anti stataliste di un certo Nord, profondo, ricco e chiuso, contro un Sud vissuto solo come un peso di cui sbarazzarsi e contro uno stato troppo invadente soprattutto dal punto di vista fiscale. Sparito il Nord dal nome del partito, il nemico si è spostato in Europa, quella occidentale, mescolando ragioni economiche con una spruzzata di banalità identitarie buone a mantenere il legame con le origini, ma additando come parassiti di cui liberarsi non più i meridionali ma gli immigrati.

In entrambi i casi, quindi, due partiti non ideologici fondati sulla necessità di avere dei nemici – Europa, Poteri forti, immigrati, banche, kaste varie – creati ad hoc per stimolare da una parte le paure e dall’altra le piccole avidità di un popolo mai avvezzo a prendersi le proprie responsabilità e sempre prontissimo a rovesciarle addosso a qualcun altro.

Dunque, non è certo con la purezza ideologica o con vaghe formule del secolo passato che si può pensare di costruire una credibile alternativa al nuovo fronte sovranista e populista che si è saldato e insediato al governo del paese.

E per dirla tutta, non si può condurre questa battaglia neanche con la vecchia forma partito così come è stata fin qui vissuta, perché in un sistema politico dove sono saltati tutti i vecchi blocchi, e dove soprattutto si sono disegnati nuovi fronti di appartenenza, la contrapposizione non può più essere destra-sinistra, dunque ideologica e ormai superata dalla storia, dagli eventi ma soprattutto dagli elettori.

È cambiato il terreno di gioco e sono cambiate anche le regole e, cosa fondamentale, con loro è cambiato anche il linguaggio.

Oggi dobbiamo chiederci chi siamo e dove vogliamo stare, e poi essere capaci di dirlo con parole nuove e senza paura di dire la verità.

Siamo in Europa, o vogliamo invece finire nell’abbraccio di Orban e di Putin?

Siamo per il libero mercato o vogliamo rifugiarci nel vecchio protezionismo dei dazi?

Crediamo nella crescita prodotta dal lavoro o nella rovinosa idea dell’assistenzialismo statale?

Possiamo coniugare la crescita con un maggior rigore nei conti pubblici, ed entrambi con l’aiuto a chi è rimasto indietro?

E soprattutto, siamo in grado di uscire dalle banalità di vecchi riti per tornare a stabilire un contatto concreto, un confronto anche ruvido, ma costante e dialogante con i cittadini?

Queste sono le idee da cui ripartire, senza farsi affossare dal passato. Che è, appunto, passato, sta lì a testimoniare un cammino ma è alle nostre spalle e non può invece stare davanti a noi come un macigno che ci impedisca di guardare avanti.

In politica è cambiato tutto. Ma bisogna capire da che parte stare: con Orban o con l’Europa.ultima modifica: 2018-06-04T19:07:04+02:00da bezzifer
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