Tutto sembra stia per cambiare.QUALI? Gli errori da evitare.

L’ECONOMIA, AI TEMPI DEL “GOVERNO DEL CAMBIAMENTO”

Risultati immagini per L'ECONOMIA, AI TEMPI DEL "GOVERNO DEL CAMBIAMENTO"Ci sono momenti, nella storia, in cui vi è la percezione che tutto (o quasi) stia per cambiare. Ed è proprio in questi momenti, che occorre tenere ferma la barra sulla razionalità: cercando di discernere fra (false) aspettative e (cruda) realtà. Cerchiamo di fare il punto, a “domande e risposte”, dunque, e poi anche di aggiungervi qualche spunto di riflessione.

Serve una riduzione delle imposte, all’Italia? Sì.

Quindi serve la flat tax? No, non necessariamente; non certo facendo un salto nel buio senza coperture; serve ridurre le imposte, ma puntando a maggiore equità ed evitando di creare nuove distorsioni. Però serve una “pace fiscale”? Sì, ma non si realizza attraverso dei “condoni”, bensì attraverso maggiori tutele del contribuente. Quindi va tolta l’inversione dell’onere della prova? Non proprio; in realtà è più una questione di prassi applicate, che di norme, poiché il diritto tributario già ora la limita a specifiche situazioni. Allora, magari togliere lo spesometro e gli studi di settore? Già previsto, da norme approvate allo scadere del precedente Governo.

Bisogna ridare fiato alla domanda interna, quindi rilanciare i consumi, questo è innegabile, no? In realtà sono più gli investimenti, ad essere mancati dallo scoppio della crisi, mentre le esportazioni e (pur un filo meno) i consumi sono ritornati al livello pre-crisi. Ma per contrastare la crisi serve il reddito di cittadinanza! In realtà, servirebbe di più migliorare la produttività e ridurre il cuneo fiscale sui salari, per rendere più competitivo il sistema-imprese e incentivare così le assunzioni. E, peraltro, quella proposta sembrerebbe già “ricondotta” a un semplice sussidio temporaneo condizionato alla ricerca di reimpiego. Occorre separare le banche commerciali dalle banche di investimento, così ci sarà più credito e meno speculazione! In realtà, le banche italiane sono votate più al credito (e al retail) e sono andate in crisi soprattutto per colpa della riduzione dei margini di interesse e dall’esplosione delle insolvenze sui prestiti, non per le attività speculative.

Ma allora, per rilanciare l’economia, bisogna stampare moneta? Non si può fare, senza uscire dall’Euro. Allora usciamo dall’Euro! La reazione dei mercati sarebbe insostenibile (almeno nel primo periodo, ne abbiamo appena visto solo un assaggio), dato il nostro debito pubblico (quindi metteremmo a rischio le banche, prima, e i risparmi delle famiglie, di conseguenza). Persino il ministro Tria, nella sua prima uscita pubblica, lo ha escluso (almeno fino a che non rispunti il famoso “piano B”). Ma il debito pubblico non si deve ripagare, guarda il Giappone! Vero solo in parte; il debito si può ripagare anche rifinanziandosi nel tempo, certo, ma solo finché si resta credibili sui mercati (quindi niente Italexit), senza eccessivi deficit (quindi rispetto delle coperture) e con buoni tassi di crescita economica (da rilanciare). Rilanciamola con più investimenti pubblici, allora! È una delle ricette (di stampo keynesiano), per sfruttare il cd. “effetto moltiplicatore” (quando cioè – non me ne si voglia per l’ennesima semplificazione – il ritorno dato dalla crescita del PIL, e anche delle relative imposte, è superiore al valore degli investimenti pubblici). Ma è dubbia la sua quantificazione (che varia al variare del ciclo economico e dei livelli di deficit/debito/tassazione etc. etc.), su cui discutono, divergendo nelle conclusioni, fior di economisti. Anzi, i più concordano nel fatto che, nelle attuali circostanze, l’effetto sia inferiore a uno.

Il deficit è dato da corruzione ed evasione! Anche; e va detto, sul punto, che questi due fenomeni (circa il 14% del PIL) generano altresì distorsioni delle dinamiche di mercato (concorrenza, prezzi) a scapito dei cittadini onesti. Solo, l’aver innalzato, in passato, la pressione tributaria a livelli eccessivi (iniziata a scendere solo in piccola parte più recentemente) ha alimentato l’acuirsi dei fenomeni evasivi. Allora, aumentiamo le sanzioni e togliamo la prescrizione? Le sanzioni amministrative lo sono già, alte; ricorrere ad inasprimenti penali (tornando alla fallimentare esperienza della cd. Legge “manette agli evasori”) o, ancor più, allungando la prescrizione – seppur apparentemente sia una possibile soluzione – genererebbe, in un sistema come il nostro, dove larga parte delle dispute tributarie sono dovute a interpretazioni e/o a semplici presunzioni di evasione, un disincentivo agli investimenti economici e, quindi, a detrimento del PIL. E se abolissimo i contanti e digitalizzassimo il fisco e i sistemi di fatturazione? Funzionerebbe (fatto salvo l’impatto, non di semplice gestione, degli aspetti organizzativi e burocratici a carico delle imprese, in termini di costi operativi), ma solo se venissero applicate entrambe le misure, poiché – è di tutta evidenza – l’evasore non fa fattura, né cartacea e né elettronica. Va però fatto notare che talune di queste misure (tipo la fatturazione elettronica, soprattutto se collegata alla stretta – impressa dagli ultimi due governi – alle compensazioni tra crediti e debiti fiscali) rischiano di gravare più sui contribuenti onesti che sui veri evasori, con l’effetto di sottrare ai primi liquidità e di incrementare la pressione tributaria complessiva.

Ma le imposte dobbiamo diminuirle! Sì, detto all’inizio; ma è il percorso per arrivare a questo obiettivo, che deve essere (e tanto) migliorato, rispetto a quanto sin qui annunciato (e per la verità, anche rispetto ai risultati – sia pur esistenti, ma non eccelsi – dei precedenti governi, su questi temi).

E allora, cosa si potrebbe fare? Già, cosa?

Intanto, a giudizio di chi scrive, non farsi prendere dal “tifo”, ma restare ancorati alla realtà. Che, di tutta evidenza, comporta (anche per questa maggioranza) sotterrare l’ascia di guerra (e i “piani B” vari) seguendo le parole (importanti, tanto quanto auspicabilmente non biforcute) dell’attuale ministro dell’Economia. Si discuta cioè tranquillamente di “come” realizzare il “cambiamento” promesso – anche rinegoziando le regole dei trattati – ma rispettandole fin quando in vigore; si implementino le proposte governative, ma nel rispetto delle coperture (costituzionalmente previste) e all’interno della UE e della moneta unica; si ottengano miglioramenti con la credibilità dei numeri, quindi; non “subendo imposizioni” ma nemmeno “rovesciando il tavolo”.

Poi, sempre a giudizio di chi scrive, di quello che si dovrebbe fare molto è già detto nelle pieghe delle risposte prima elencate (e quindi magari meno gradite a questo Governo). Ma un paio di cose – trasversali, quindi oggettivamente realizzabili da chiunque – potrebbero essere fatte (e che, sì, chi mi legge da più tempo già conosce): una sulla equità fiscale ed una sul sostegno finanziario alle imprese. La prima è la costituzione di un’Authority fiscale terza che agisca come (vero) contrasto alla (potenzialmente distorsiva) concentrazione di interessi in mano al Ministero dell’Economia e all’Agenzia delle Entrate, che oggi scrivono i testi delle norme, le interpretano, accertano i contribuenti, escutono le cartelle, mediano, transano e coordinano (quelli che dovrebbero essere) i garanti del contribuente. Attribuendo ad essa competenza in materia di interpello preventivo (principio della certezza delle scelte), competenza in materia di adesione e mediazione (principio della terzietà degli accordi prima della fase processuale) e competenza in materia di coordinamento dei (prima citati) garanti, a tutela dello Statuto dei diritti dei contribuenti. La seconda, sinteticamente, è l’istituzione dei “finanziamenti attestati”, ovvero linee di credito agevolate (anche con garanzia pubblica centrale) in presenza di piani di sviluppo d’impresa “certificati” dai professionisti del settore e corredati da stress test uniformi. Si ridurrebbe l’alea per le banche; otterrebbero maggior credito a minor costo, le imprese; si creerebbero occasioni di lavoro specialistiche per i professionisti, diffondendo così una più attenta cultura della pianificazione finanziaria nelle pmi italiane.

Certo, realizzare tutto ciò presupporrebbe meno slogan e più testi legislativi; cosa che, ad ora, resta solo auspicabile.

Tutto sembra stia per cambiare.QUALI? Gli errori da evitare.ultima modifica: 2018-06-14T10:23:57+02:00da bezzifer
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