K.O. tecnico del Pd.È un destino ineluttabile per un partito della sinistra che sceglie la via del riformismo: il suo insediamento sociale finisce per farsi fagocitare da una destra radicale che ormai ha preso il posto di quella che Tony Blair definiva la ”sinistra reazionaria”.

K.O. tecnico del Pd

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Il 29 maggio 1453 d.c. cadde Costantinopoli, ultimo baluardo dell’Impero romano che aveva governato il mondo per secoli. Edward Gibbon, lo storico inglese che ci ha lasciato, nel XVIII secolo, uno dei saggi fondamentali sul declino e la caduta dell’Impero romano, descrisse così i giorni che precedettero quell’evento:

“Molto diverse erano le condizioni dei cristiani, che con forti e impotenti lamenti piangevano le loro colpe o la punizione dei loro peccati…I cittadini accusavano l’imperatore per aver rifiutato ostinatamente di arrendersi al momento opportuno, prevedevano gli orrori della loro sorte e desideravano la tranquillità e la sicurezza della servitù turca”.

Se alla lotta politica si applicassero le regole del pugilato, l’arbitro – a fronte dell’inerzia dei ”secondi” nel gettare la spugna – sospenderebbe il match per ko tecnico del Pd. I dem stanno collezionando una sequela di sconfitte che non risparmiano più neppure le ”zone rosse” dell’Emilia Romagna (il caso di Imola è clamoroso), della Toscana e dell’Umbria.

Sembra ormai un processo implacabile che mette a repentaglio l’esistenza stessa di un partito che, unendo gli ex comunisti alla sinistra democristiana, ha consentito ai protagonisti della fusione di celebrare quel matrimonio a lungo desiderato, ma che per tanti decenni nel XX secolo non avevano potuto consumare.

Eppure, nel Pd non succede nulla. Nessuno fino a ora si è preso la briga di interrogarsi sui motivi di un’emorragia di voti tanto consistente e apparentemente inarrestabile. Intervistato dai giornalisti dopo il voto amministrativo di giugno, Ettore Rosato si è affidato ad un commento degno di Canche, il protagonista del film ”Oltre il giardino”: ”in politica – ha detto – a volte si vince, a volte si perde. Questa volta abbiamo perduto; in una prossima occasione vinceremo”.

I dirigenti più avvertiti – a ogni dèbacle – si limitano a invocare lo svolgimento al più presto di un congresso di rifondazione, in cui siano definiti il programma, l’identità e la nuova leadership del partito. Non si capisce bene se questa palingenesi congressuale sia una fuga in avanti o all’indietro. Ovvero se sia soltanto un modo per parlare d’altro, per rinviare a un futuro prossimo quelle risposte che il partito non è in grado di dare adesso.

Poiché non è concesso a nessuno, si tratti di un leader singolo o di un collettivo, manifestare – per dirla con Francis Bacon – l’attitudine dei ragni, che traggono dalle proprie interiora il filo della tela, non si vede all’orizzonte un Cid Campeador in grado di mettere da solo in fuga i nemici. Ma soprattutto non è permesso al principale partito di opposizione di fermare l’orologio della azione politica, rimanendo in soupless nell’attesa dell’autodafè congressuale.

Il governo e la maggioranza combinano tutti i giorni dei guai, che devono essere contrastati, prima che sia troppo tardi. L’imbarazzo del Pd è evidente; avverte che il Trio Lescano di Palazzo Chigi gioca spudoratamente sul facile consenso di un paese che il 5 marzo si è svegliato con forti sintomi di parafascismo.

Così, si stanno facendo troppe concessioni a quell’energumeno di Matteo Salvini sulla questione dei migranti; si consente a un premier venuto dal nulla e telecomandato dai suoi sodali, di isolare l’Italia nel contesto europeo, soltanto per fare bella figura con i frequentatori dei Bar Sport (finalmente ci facciamo sentire! Dio stramaledica la Francia!) di cui è cosparsa la Penisola.

Si abbozza sulla porcata del taglio dei vitalizi degli ex deputati soltanto perché la misura – figlia dell’odio e del rancore e voluta dall’ayatollah Roberto Fico – è popolare. Ma c’è di più: che cosa pensa il Pd della bozza del decreto dignità di Luigi Di Maio o degli anatemi che vengono propinati quotidianamente contro la riforma delle pensioni di Elsa Fornero, nonostante le preoccupazioni della Bce sull’equilibrio dei conti pubblici?

E come valuta lo svilimento in corso delle norme più innovative della legge sulla ”Buona Scuola”? Viene il sospetto che i dem si sentano impotenti nei confronti di queste misure del governo, perché avvertono che, tutto sommato, quella che fu la loro base di riferimento (la stessa che vogliono recuperare) le condivide.

Ecco, allora, che ritorna la domanda sul perché il Pd non ha il coraggio di interrogarsi sulle ragioni delle sconfitte: i dem si sono convinti di aver fatto nella XVI legislatura delle politiche del lavoro e sociali troppo rigorose e temono che, se si aprisse il dibattito interno, questi sentimenti verrebbero a galla, al punto da essere – loro – i primi a ripudiare se stessi.

È un destino ineluttabile per un partito della sinistra che sceglie la via del riformismo: il suo insediamento sociale finisce per farsi fagocitare da una destra radicale che ormai ha preso il posto di quella che Tony Blair definiva la ”sinistra reazionaria”.

Negli anni mi sono abituato a giudicare gli argomenti degli altri a prescindere dalla biografia politica di chi li sostiene. Cazzola fa un’analisi onesta e impietosa della crisi della sinistra, senza stropicciarsi le mani come un avversario politico. Anzi. Mi sembra che sia diventato chiaro anche a lui che l’Italia corre pericoli seri non solo per l’ascesa al potere dei reazionari di destra e di sinistra (una categoria che esiste, badate bene), ma per l’evanescente risposta del riformismo democratico ed europeista rappresentato dal PD. E pone questioni che attendono una risposta: in che cosa consiste la discontinuità di cui tutti parlano nel PD, senza che nessuno dica rispetto a chi, a che cosa, con chi e per che cosa. E’ francamente incredibile che a porre queste domande sia un avversario, che ha evidentemente più lucidità politica di tanti Chancey Gardner che stanno nel PD soltanto perchè c’è posto.

Analisi impeccabile!
E’ vero, il disagio di molti dirigenti (e della base che ci si riconosce) è che vorrebbero essere loro, insieme a M5S a cambiare il Jobs Act, la Buona Scuola, la riforma delle pensioni, insomma tutto ciò che il governo Renzi ha fatto e che loro hanno subito.
I vari Orlando, Franceschini, Cuperlo, Emliano etc., insieme a chi li vota, avrebbero ben volentieri accettato lo strapuntino offerto da M5S per distruggere queste riforme che hanno consentito alla barca dello Stato di stare in piedi e riprendersi, dopo il governo Monti e l’immobilismo di Letta, non per niente da questi rimpianto, come da Prodi.
Zingaretti attende e Gentiloni sembra su questa strada, certo, non è facile andare contro se stessi e lo si avverte nelle dichiarazioni molto blande che vengono fatte in Parlamento.
L’unico che sembra tacere è Renzi, ma i suoi suppports sono combattivi e animano il WEB, vedermo se, alla Leopolda 9, sapranno dare vita a un vero Partito in grado di ripartire avendo come base il fatto e obiettivo il da fare!

PS:Nel Novecento la sinistra politica ha creduto nel superamento del capitalismo. Ne era certa, che prima o poi, i nodi del capitalismo sarebbero venuti al pettine, e la rabbia dei proletari avrebbe spazzato via i ricchi e i borghesi brianzoli. Invece, il capitalismo si è mostrato duttile, elastico, capace di assorbire difficoltà, abile, rimane il sistema economico, tra mille problemi, meno peggiore di altri sistemi. Per questo, la socialdemocrazia, la parte più realista della sinistra, ha lavorato per mitigare gli effetti negativi del capitalismo. Ma ciò, alla sinistra radicale, ai comunisti non basta, non li fa volare, sognare. Vogliono la luna, per ingenuità, per stupidità, per vanità (fra i vanitosi c’è un bel gruppo di benestanti, colti, che si dichiarono comunisti per sfoggio, per piacere estetico). Così la sinistra politica non ha fatto altro che litigare, farsi la guerra, dividersi in tanti partitini, guardarsi in cagnesco, dimostrando che più che le idee sono determinanti le simpatie, i sogni che poi si trasformano in incubi, l’arrivismo, il proprio ego, la mancanza di umiltà. I soldi. Il potere. Per la destra politica tutto questo non pone problemi. Il cinismo del pensiero di destra sa bene che siamo tendenzialmente ruffiani, corrotti, un miscuglio di bene e male, con umori imprevedibili, che vanno tenuti a bada con un potere forte,che reprime. Quando la sinistra politica, sul finire del Novecento, ha capito che il sole dell’avvenire non spunterà, ha perso entusiasmo, passione, voglia di battersi. I successi delle socialdemocrazie europee, soprattutto quelle nordiche, non interessavano più di tanto. I comunisti facevano spallucce. In Italia il tentativo dell’Ulivo è franato tra tradimenti, le ambizioni di D’Alema, i giochi di potere di Mastella e il non ci sto di Bertinotti e di altri comunisti, con la classica frase: tanto peggio, tanto meglio. Norberto Bobbio con un bellissimo editoriale, pubblicato su “La Stampa” segnalava che non era finito niente: che le diseguaglianze restavano, che le sofferenze degli svantaggiati continuavano, che bisognava continuare la lotta per migliorare le condizioni di vita di chi non aveva accesso ai privilegi.  I proletari non erano scomparsi: tutt’altro. Niente da fare: alla sinistra politica, il crollo dei sogni, li ha portati a considerare l’attività politica un funzionariato, e la scelta di dove collocarsi, non fondamentale. Non uno spartiacque ideale. Se il capitalismo ha vinto, tanto vale adattarsi: ai giochi di potere, alla legge della giungla, alle raccomandazioni, al farsi largo in qualunque modo, tanto il socialismo non arriverà. La perdita di entusiasmo, di passione ha permesso di dare in pasto il potere ai partiti di sinistra a personaggi che hanno scelto la sinistra come si tifa per una squadra di calcio, piuttosto che per un’altra. Loro non lo ammetterebbero mai. Ma i fatti lo dimostrano. E’ naturale che poi la destra dimostra maggiore duttilità, mitigando certi fanatismi, i pensieri bigotti, bene in pasta con la cultura all’americana, che addomestica, addormenta. Sotto bolle sempre il disprezzo, l’odio, che se esplode dimostra il vero volto, nascosto, della destra politica, ma il più delle volte rimane contenuto, perché alla maggioranza dei conservatori, anche quelli che una volta si chiamavano reazionari, interessa una vita tranquilla, una via cittadina pulita dove fare quattro passi la sera, marcire lentamente senza troppi scossoni, avere quel po di soldi per provocare invidia al vicino di casa. Per questo i migranti diventano un problema; per questo, la paura, le tensioni verso gli estranei sono alle stelle, e ogni furto, violenza di uno straniero migrante sarà altri voti certi per chi urla:chiudiamo i porti, le frontiere, cacciamoli fuori, teniamoli a distanza. Povera sinistra, che rischia una fine malinconica.

K.O. tecnico del Pd.È un destino ineluttabile per un partito della sinistra che sceglie la via del riformismo: il suo insediamento sociale finisce per farsi fagocitare da una destra radicale che ormai ha preso il posto di quella che Tony Blair definiva la ”sinistra reazionaria”.ultima modifica: 2018-06-30T12:00:25+02:00da bezzifer
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