Archivio mensile:novembre 2018

Volete un’emergenza vera? È il crollo delle nascite peggiore di sempre (che non interessa a nessuno)

L’apocalisse demografica italiana: 100 mila nati in meno in otto anni

Secondo l’Istat nel 2017 sono stati iscritti all’anagrafe 12 mila bambini in meno rispetto all’anno precedente: “Poche donne italiane in età riproduttiva e sempre meno propense ad avere figli”

I numeri dell’Istat sulla natalità nel 2017 sono i peggiori di sempre e proiettano un futuro da brividi per l’Italia, un Paese di vecchi incapace di auto-sostenersi. Dovrebbe essere un problema qui e ora, ma la politica se ne frega. Ed è il più grave errore che può fare.

Il dramma di una politica che fischietta sull’apocalisse demografica.Occorre alzare la voce e dire quelle parole chiave: fate presto, fate figli

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«La vera emergenza d’Italia? sono le culle vuote». No, non l’abbiamo detto noi, seppure pensiamo sia davvero così. No, a dirlo è stato Matteo Salvini, qualche mese fa, nell’intervista che ci ha concesso poco prima delle elezioni. E sarebbe interessante oggi chiedergli conto di quelle affermazioni, dopo che tutto è diventato emergenza in Italia – gli sbarchi dei migranti nonostante già fossero calati dell’80%, i soldi in tasca ai pensionati, nonostante siano la coorte di popolazione più ricca d’Italia, le rapine e la legittima difesa, nonostante i reati in calo – tranne, per l’appunto, inverno demografico.

E ci sarebbe da chiedergliene conto oggi, peraltro, dopo che l’Istat ha diffuso gli ennesimi dati catastrofici sulla natalità e sulla fecondità in Italia. In estrema sintesi: nel 2017 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 458.151 bambini, oltre 15 mila in meno rispetto al 2016. Nell’arco di 3 anni (dal 2014 al 2017) le nascite sono diminuite di circa 45 mila unità mentre sono quasi 120 mila in meno rispetto al 2008. Ciliegina sulla torta per i sovranisti: il calo dei nati è particolarmente accentuato per le coppie di genitori entrambi italiani, che scendono a 358.940 nel 2017 (14 mila in meno rispetto al 2016 e oltre 121 mila in meno rispetto al 2008).

Numeri da brividi, i peggiori di sempre. E scenari da catastrofe, messi neri su bianco dall’Istat, ogni dodici mesi. Perché culle vuote oggi vuol dire meno lavoratori domani. Meno lavoratori vuol dire meno tasse per finanziare la sanità e meno contributi per pagare le pensioni. Meno soldi per le pensioni e la sanità, in una prospettiva dell’allungamento dell’aspettativa di vita, vuol dire tagli ai servizi, al personale, alle cure, agli assegni pensionistici. Il tutto sulle spalle di quelle poche giovani famiglie che dovranno svenarsi per mantenere i loro tanti anziani non autosufficienti.

Ciliegina sulla torta per i sovranisti: il calo dei nati è particolarmente accentuato per le coppie di genitori entrambi italiani, che scendono a 358.940 nel 2017 (14 mila in meno rispetto al 2016 e oltre 121 mila in meno rispetto al 2008). Numeri da brividi, i peggiori di sempre

E, spiacenti, non arriveranno giovani e baldanzosi stranieri a «pagarci i contributi». Un Paese di vecchi fa schifo persino agli stranieri: secondo le elaborazioni Istat di dodici mesi fa, nello scenario mediano delle elaborazioni l’effetto addizionale del saldo migratorio sulla dinamica di nascite e decessi comporterà 2,5 milioni di residenti aggiuntivi nel corso dell’intero periodo previsto. Più o meno, 50mila all’anno: non abbastanza per invertire la rotta, né tantomeno per parlare di invasione. Semplicemente, i movimenti migratori globali tenderanno a fare dell’Italia, sempre più, un luogo povero di opportunità, un transito verso altri lidi, possibilmente grandi città globali più abituate ad assorbire la presenza dei migranti, città che brulicano di opportunità e di posti di lavoro e di altri immigrati come loro che finiscono per fare da rete sociale e di protezione.

Bene: di fronte a tutto questo ci farebbe piacere sentir parlare di nidi gratis per le mamme lavoratrici, visto che era nel programma di governo sia della Lega, sia dei Cinque Stelle, ma evidentemente era talmente un’emergenza che si sono dimenticati di metterlo nel contratto. Ci piacerebbe sentir parlare di sostegno all’occupabilità femminile, vera primigenia causa dell’inverno demografico italiano, soprattutto al Sud, di un sostegno reale alle famiglie con figli che non sia una presa in giro come l’ettaro di terra da coltivare.

Certo, non è a loro, a Lega e Cinque Stelle, che si può imputare il calo demografico del 2017, ma cosa stanno facendo, dopo mille proclami? Niente, niente, niente. Anzi, se possibile, stanno spostando l’attenzione altrove, come spesso ha fatto chi li ha preceduti, come se fosse un problema lontano, come se il 2045 in cui tutti i baby boomer saranno in pensione e non ci saranno giovani a pagar loro l’assegno pensionistico non sia alle porte, come se non sono problemi di cui già occuparsi qui e ora: «Il primo dato economico e culturale attraverso cui vorrò essere misurato al governo, al di là del rapporto debito/Pil, dello spread, dell’inflazione, è il numero di figli per donna. Che è anche un tema economico, perché un Paese che fa figli è un Paese che crede nel suo futuro». Così chiosava Salvini, nella sua intervista. Come diceva quello, giudicate voi.

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IL PD RENZIANO E NEL Pd: le tre cose che veramente ci dividono

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Ho letto con interesse l’articolo di Minopoli  nel quale (mi si scuserà la semplificazione) sostanzialmente si dice che il congresso del PD si è incanalato su una strada deleteria; prigioniero delle correnti -hanno scritto con ragione- e non è un difetto da poco: è esattamente la negazione delle ragioni per cui abbiamo fatto il PD. Hanno concluso annunciando il lora sostegno a Marco Minniti, perché è l’unico dei candidati “che (per la sua storia ed esperienza) è una figura più di governo che di partito, un uomo dello Stato”.

Mi spiace ma a me non basta. Minniti va benissimo, sia chiaro, ma il compito di noi liberal-democratici non può limitarsi a sostenere un candidato. Il nostro compito deve essere soprattutto quello di convincere che abbia senso votare alle primarie. E le argomentazioni di Minopoli non fanno altro che confermarmi che non è votando il più serio tra i candidati che risolveremo i problemi che con tanta lucidità anche lui ha segnalato. Non mi si può dire che il congresso è la negazione del PD e non essere conseguenti: se il PD è a rischio, o si fa in modo di usare il congresso per “salvarlo”, oppure saremo stati complici della sua implosione. Ha ancora senso il PD? Non prendiamoci in giro: non sono poche le persone che hanno dubbi sul fatto che il PD abbia ancora “senso”. E non sarà dar loro un candidato più che credibile come Minniti a convincerli.

Mai come in questa fase, infatti, i dubbiosi appartengono a chi si richiama allo “spirito primigenio” del PD.

Ricordo un momento simile, nel 2009, quando un gruppo di democratici (per lo più trentenni, i giornali li chiamavano “piombini”, visto che si riunirono per la prima volta nella città toscana), militanti che avevano creduto nella irreversibilità della scelta di Veltroni e che, dopo la pessima esperienza della segreteria Franceschini, vedevano il rischio della restaurazione.

Pochi mesi dopo erano quasi tutti alla prima Leopolda. E per loro (ma anche per moltissimi iscritti a Libertà Eguale, pur provenendo da storie politiche e generazioni molto diverse) Renzi ha rappresentato prima di tutto lo svolgimento in prosa della poesia dei fondatori e un argine contro la temuta restaurazione. Ma se quel disorientamento nel 2009 poteva essere in qualche modo fisiologico (eravamo all’inizio della storia del PD), adesso la crisi è più pericolosa se a dieci anni dalla fondazione tornano dubbi “esistenziali”.

Il congresso che si sta aprendo non dovrebbe ignorare questo clima di incertezza e sfiducia. E invece prevale la rimozione. 

Ci sono tante parole ambigue nel nostro dibattito. La prima è unità. Stare insieme è importante, ma se “stare insieme” diventa un richiamo generico al “volemose bene” è il modo migliore per non stare insieme. La continua litigiosità, il fuoco amico, l’immondo spettacolo che diamo di noi stessi all’esterno, hanno rianimato un fuoco che covava sotto la cenere, mai sopito: la paura di pesare il consenso delle proprie idee. La paura di dividersi, contarsi, scegliere. Fa sorridere poi osservare come gli stessi che si richiamano all’unità sono spesso quelli che denunciano l’evoluzione verso il partito personale. Vogliono un partito degli iscritti, ma evidentemente di iscritti che non si confrontano mai nel merito delle grandi questioni che li dividono. Io questa la chiamo ipocrisia. Le tre linee di frattura che dividono il PD.Perché il confronto anche aspro sia produttivo e la divisione non sia fine a sei stessa, dobbiamo però chiarirci su cosa ci divide e rendere questo dibattito intellegibile a chi lo osserva da fuori. Personalmente vedo tre linee di frattura.

1.La prima è quale PD: lo vogliamo ancora costruire un partito aperto, contendibile e “senza correnti”? Vogliamo ancora il PD del Lingotto? Alcuni pensano non serva più (alcuni in realtà hanno sempre pensato non servisse e oggi finalmente possono smettere di fingere), che sia da rottamare assieme alla vocazione maggioritaria, che a sua volta -dicono- non ha senso in un sistema sostanzialmente proporzionale. Che abbaglio! Le due forze attualmente al governo sono entrambe a vocazione maggioritaria. E la loro alleanza entrerà in crisi se e solo se le due “vocazioni” finiranno con il configgere.

2.La seconda cosa che ci divide è il giudizio che diamo delle riforme fatte dai nostri governi. Le valutiamo non necessarie o non sufficienti? Questa è la domanda. Ed è collegata ad un’altra parola abusata, autocritica. Essere disposti all’autocritica è importante, ma se non dici mai per cosa, il richiamo all’autocritica diventa una meschina captatio benevolentiae o -peggio – un rito di espiazione per non si sa bene quali peccati, un flagellarsi incomprensibile. La parola autocritica è neutra e in quanto tale anch’essa ambigua.

Volete l’autocritica? Non essere andati fino in fondo con la promessa di modernizzazione del paese. Non aver fatto i conti con i corpi intermedi e non averli sfidati a diventare parte di quel processo. Un esempio? La carriera per i docenti: era nella prima bozza di Buona Scuola e si è scelto di non inserirla nella norma che abbiamo portato in Parlamento. Questa sì che sarebbe una bella autocritica!Comprensibile, sfidante, divisiva certo, ma su un punto che ci connoterebbe. E oggi avremmo qualcosa da dire a tutti i docenti italiani, anche quelli contrari alla carriera, che però reclamano un riconoscimento non solo economico della loro professionalità. Riforme non necessarie o non sufficienti?  Rispondere a questa domanda è il preciso dovere di chi fa politica con competenza e passione. L’alternativa sono i cialtroni. E non illudiamoci che se questi cialtroni cadranno gli elettori si rivolgeranno a noi, se prima non passeremo dalle forche caudine della politica. Cercheranno altri cialtroni.

3.La terza cosa linea di frattura è la valutazione su chi vogliamo rappresentare; quali – parola antica, ma fondamentale – interessi vogliamo rappresentare. Ricolfi dieci anni fa parlò della necessità di “un partito di uomini del nord e uomini del sud che riconosca che la frattura oggi non è tra nord e sud, nemmeno tra destra e sinistra, ma tra i tanti produttori che lavorano duro e rispettano la legge e i troppi parassiti che dissipano le risorse comuni e disprezzano le regole del gioco”. Il PD di Veltroni e di Renzi hanno cercato una via per rappresentare queste persone. Anche Bersani ci ha provato, prima di perdersi per inseguire il fantasma di una sinistra che non c’è più (nessuno lo ricorda, ma l’inizio della fine del suo riformismo non è la “non vittoria” alle elezioni, ma l’appoggio ai referendum sull’acqua, quando ha sconfessato se stesso, la sua storia, le sue scelte da ministro).

Anche il discorso sul cosiddetto partito del nord e del sud a mio avviso deve essere declinato in questa ottica. Ecco perché preferisco sostenere che non serva il partito DEL nord e DEL sud, ma un partito AL nord e uno AL sud. Anche qui un esempio per spiegarmi. Tra le piazze di queste settimane, quella di Torino, di Roma, di molte città del centro nord contro la Legge Pillon, ne manca una. Avete visto al sud e al nord piazze per protestare contro il fatto che il reddito di cittadinanza si sia trasformato in un sussidio per pochi, per giunta misero e mal congegnato? Avete visto nel sud piazze riunite per pretendere legalità, infrastrutture, lavoro? Perché quelle piazze mancano all’appello? Non ho la risposta purtroppo, ma non vedo nemmeno qualcuno che si faccia la domanda. Un PD al sud forse non saprebbe rispondere a questa domanda oggi, ma per lo meno comincerebbe a porsela.Ecco il perché dei comitati lanciati o proposti alla Leopolda,e che stanno dando un notevole successone e adesione.

Radicalità e riformismo

I due migliori risultati del PD sono stati alle politiche del 2008 (perdemmo, ma raccogliendo più di 12 milioni di voti) e alle europee del 2014 (circa 11 milioni di voti). Cosa hanno in comune i risultati del 2008 e del 2014? Radicalità e riformismo. Questo ha unito il PD di Veltroni e quello di Renzi. Veltroni prima e Renzi poi hanno rappresentato una risposta per ciascuna delle linee di frattura che ho sommariamente descritto: per la crisi di senso che ha colpito il PD degli albori, per chi chiede riforme coraggiose, capaci di modernizzare il paese, per quei “produttori” del nord e del sud che chiedono solo di mettere i “parassiti” ai margini.

Minniti saprà rappresentare una autonoma e originale risposta a quelle stesse domande? 

Trovo che la sua candidatura sia quella che legge più onestamente la stagione riformista conclusasi il 4 dicembre 2016 (la data non è un lapsus!) ed è dunque l’unico in grado di ripartire, se non da un riformismo post ideologico (vera cifra del veltronismo ), quanto meno da un riformismo “contemporaneo” e a vocazione maggioritaria.

Il compito di noi riformisti è aiutarlo a riuscire nell’intento, non sostenerlo acriticamente.In gioco non c’è il successo alle primarie (quelle si possono anche perdere), ma evitare al PD di perdersi.

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Un Paese che si innamora dei pistoleri è un Paese perduto.No,IO non stò con Fredy

Risultati immagini per Un Paese che si innamora dei pistoleriL’onda di entusiasmo mediatico e social intorno alla figura di Fredy Pacini, che si sarebbe fatto giustizia da solo, vela che le denunce da lui presentate sono solo due. E svela che siamo un paese di adoratori di pistoleri. Un paese tetro e triste.

Che Paese vuoto quello che si innamora dei pistoleri, come in un brutto film western di periferia, di quelli che trasmettono a notte fonda per riempire i palinsesti e invece qui diventano un colossal che tiene banco sulle prime pagine dei giornali, apre le edizioni dei telegiornali della sera e ovviamente diventa subito preda dei politici che in mancanza di qualità politiche si sono costretti a diventare rabdomanti dello sterco nella cronaca nera.

«Aveva subito 38 furti, esasperato dormiva in ditta e si è trattato di legittima difesa dopo un tentativo di furto» ha detto oggi l’avvocato di Fredy Pacini, l’ultimo eroe del circo mediatico che chiamano sicurezza, colpevole (o meglio, meritevole) di avere ammazzato un ladro in fuga all’interno del proprio negozio e salito subito agli onori dei salvinisti (e dei meloniani di Fratelli d’Italia, loro sottomarca) per essersi fatto giustizia da solo, per avere protetto la robacome da tradizione verghiana, per avere sfruttato l’occasione di vendicarsi lì, sul posto, manu propria, dell’affronto subito senza dovere aspettare le lungaggini e le complicazioni di uno Stato di Diritto e soprattutto diventando l’ennesimo spot promozionale di una legge sulla legittima difesa che tornerà utilissima a questo governo per distrarre i cittadini dai disastri sociali e finanziari incombenti.

Sul luogo del delitto (perché almeno sul delitto viene da sperare che si possa essere tutti d’accordo) la folla festante applaude Barabba e si inebria con il sangue come in un moderno Colosseo. Gli applausi tributati a Fredy (che ha anche la fortuna di avere un nome che è già un nome d’arte senza bisogno di troppa fantasia) sono la catarsi del popolo affamato di soccombenti e di giustizieri e al galoppo anche il ministro dell’inferno Matteo Salvini corre a telefonare al novello eroe per sputarci sopra il proprio marchio di fabbrica e renderlo souvenir della propria propaganda.

I 38 furti che rimbombano dappertutto per dipingere l’esasperazione di Fredy Pacini ed elevarla a giusto movente in realtà sono molti meno: 2 denunce per furti consumati e 4 per tentati furti

Sotto l’adrenalina invece scorre il Paese reale, quello che a certa stampa ormai sembra passata la voglia di raccontare, quello che di solito se ne fotte del pistolero di turno da una parte e dell’allenatore blastatore dall’altra, quello che da tempo ha smesso di innamorarsi della superficialità come diritto e della banalizzazione come unica forma di narrazione. Nel Paese reale si scopre che i 38 furti che rimbombano dappertutto per dipingere l’esasperazione di Fredy Pacini ed elevarla a giusto movente in realtà sono molti meno: 2 denunce per furti consumati e 4 per tentati furti. Ohibò. «Non tutti i furti o i tentativi di furto sono stati denunciati da Fredy Pacini. Lui ha denunciato i casi più eclatanti fra i molti che lo hanno visto preso di mira dai ladri» dice l’avvocato di Pacini e gli amici lasciano intendere ai giornalisti che Fredy navrebbe smesso di denunciare perché “non si sentiva tutelato” e perché “le pene per i ladri sono troppo leggere”. Badate bene: è lo sdoganamento di una giustizia su misura in base all’esasperazione percepita.

“Qui non possiamo sentirci sicuri”, ripetono a Monte San Savino, dipingendo una situazione di furti a ripetizione e criminalità diffusa. I carabinieri, intanto, che hanno cominciato a indagare sull’accaduto ci tengono a dire invece che “si tratta di un episodio isolato” e che nella zona “non si era registrata una particolare attività criminale”.

Nessuno nemmeno si interroga sul fatto che lo stesso Pacini si dichiari “scosso” per l’accaduto. Lo spot è bell’e confezionato: “viva questa giustizia che se ne frega della giustizia!”

Parole che smentiscono il chiasso ma che suonano a vuoto. E mentre tutti gridano allo scandalo di Pacini che “si è difeso ed ora si ritrova addirittura indagato” nessuno si accorge della parole del procuratorie di Arezzo Roberto Rossi che ha detto: «Il fascicolo d’indagine serve anche per accertare se si versi in un caso di legittima difesa. Se si versa in un caso di legittima difesa lo potremo accertare solo dopo aver fatto le indagini».

Ciò che conta è lucrare tutto e subito, cogliere l’occasione. E nessuno nemmeno si interroga sul fatto che lo stesso Pacini si dichiari “scosso” per l’accaduto. Lo spot è bel che confezionato: “viva questa giustizia che se ne frega della giustizia!”, è il grido degli entusiasti. In disparte senza parlare rimangono le due vittime (il ladro ammazzato e l’omicida) che sono gli unici a scontare il dolore. Ma il dolore, di questi tempi, è roba troppo buonista per trovare spazio. Tutti pronti a correre sul sangue.

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Che vergogna questo SGOVERNO.Non e un governo è una sceneggiata all’italiana

Cos’è il “Global Compact” e perché l’Italia non vuole più firmarlo.

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OK non è l’ITALIA CHE NON LO VUOLE FIRMARLO.MA IL GOVERNO RAZZISTA E FASCISTA CHE CI TROVIAMO ATTUALMENTE IN ITALIA.

Ha cambiato idea rispetto a due mesi fa, non è ancora chiaro per quale motivo.

 Il governo italiano ha annunciato che non sottoscriverà un documento dell’ONU sull’immigrazione, chiamato Global Compact for Migration, nonostante appena due mesi fa avesse detto che l’avrebbe sottoscritto. Nel frattempo, il testo del documento non è stato modificato, e quindi non è chiaro cosa abbia spinto il governo italiano a cambiare idea. Motivando la decisione, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha spiegato: «Il Global Migration Compact [sic] è un documento che pone temi e questioni diffusamente sentiti anche dai cittadini. Riteniamo opportuno, pertanto, parlamentarizzare il dibattito e rimettere le scelte definitive all’esito di tale discussione». L’Italia non parteciperà nemmeno al summit indetto per sottoscrivere l’accordo, in programma a Marrakech, in Marocco, fra 10 e 11 dicembre.

Il Global Compact for Migration (PDF) è un documento che stabilisce alcune linee guida nella gestione dell’immigrazione e dell’accoglienza dei richiedenti asilo sulla base delle ultime indicazioni di studiosi, operatori e funzionari. Non è vincolante, anche perché contiene più un approccio comprensivo che una serie di proposte concrete: fra i 23 obiettivi che si pone ci sono molte norme già previste dal diritto internazionale, come “affrontare e ridurre le vulnerabilità dei migranti”, “combattere il traffico degli esseri umani”, e così via. Accanto a questi obiettivi ci sono diversi incoraggiamenti a una maggiore cooperazione fra gli stati per gestire meglio il fenomeno migratorio, e qualche proposta più politica, come l’apertura di vie legali per l’immigrazione. La maggior parte dei paesi europei, anche quelli più interessati dai flussi migratori come Francia e Germania, hanno annunciato che firmeranno il documento: fra i paesi europei che non lo faranno ci sono quelli tradizionalmente più ostili ai migranti come Ungheria, Polonia e Slovacchia.

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Dalla cartina risulta evidente come la zona rossa corrisponda alla parte di Europa più retriva. Il nostro paese fa passi da gigante, all’indietro, sulla via del cambiamento.

Con quest’ultima SCELTA il sgoverno ITALIANO chiude definitivamente il capitolo della concertazione globale asimmetrica, in base alla quale tutti i paesi sono chiamati a prendere decisioni rilevanti su scala mondiale, ma solo l’Occidente è tenuto a rispettarle. Occorre riorganizzare la concertazione globale affinché sia in grado di rispecchiare una nuova realtà multilaterale fatta di interessi divergenti e di diversi modelli di Stato e di progresso. Ecco il perché serve partecipare al “Global Compact” da soli ragazzi non si va da nessuna parte.Anzi verremmo sempre più isolati,e per ciò dobbiamo dire grazie al governo fascio razzista gialloverde.

La cosa è molto più semplice di quello che potrebbe sembrare: matteo “ruspa” salvini non ha più benzina da buttare sul fuoco del razzismo, della xenofobia e dell’odio e quindi cerca un nuovo nemico verso il quale aizzare le sue truppe. Questa volta il bersaglio è l’ONU che – ci credereste?! – ai suoi occhi risulta essere troppo “buonista”, proprio come l’odiatissimo PD. Spero che abbiate gustato la cartina in cui il nostro paese (finalmente?) risulta indissolubilmente fuso con l’Ungheria di Victor Orban ed il resto dell’est-Europa. Pensavate di fare ancora parte del “primo mondo”? Quello “civilizzato”?

Con questo semplicemente si mette in luce l’inadeguatezza di una politica nazionalista nell’affrontare problemi seri e globali. E si mette anche in luce la disonestà di certi politici.MENTRE.Chi partecipa al “Global Compact”! Ambisco ad un mondo in cui la politica sia globale quanto l’economia. Oppure l’Italia può continuare a sparare a salve questo e il problema! .Questa decisione favorisce solo la lega. Salvini non sa risolvere i problemi dell’Italia e dunque inasprisce il problema immigrazione creando situazioni kafkiane. Altrimenti chi lo vota più? Non e un governo è una sceneggiata all’italiana

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Si tenta di far credere che l’Italia sia un paese in rovina, ma è falso. Lo credono solo i 5 stelle e Travaglio.

IL GOVERNO DEI CIALTRONI ! Ridateci “Quelli di prima”, e andate a casa prima che la gente vi insegua con i forconi.

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Si parlava dei famosi centri per l’impiego, che non funzionano e ai quali non si rivolge quasi nessuno per trovare un lavoro. E scatta l’ovvia domanda: chi li ha ridotti così? Lesto, Marco Travaglio risponde: quelli di prima. Intendendo i governi Renzi e Gentiloni, come è facile immaginare.

Ecco è questo “quelli di prima” che non sopporto più. In quelle tre parole è nascosta tutta la falsità dei 5 stelle (e di Travaglio).

“Quelli di prima”, e ci comprendo dentro tutti, da De Gasperi in avanti, passando per governi centristi, balneari, centrosinistra, ladri e corrotti (che erano certamente presenti, alcuni sono finiti anche in prigione) hanno preso un paese distrutto dalla guerra (persa), al 90 per cento contadino e anche semi-analfabeta e in pochi anni ne hanno fatto la sesta potenza economica del mondo (oggi siamo la settima, ma perché altri si stanno affacciando).

E siamo, testardamente, la seconda potenza manifatturiera dell’Europa, subito dopo la Germania.

Non siamo insomma un deserto che adesso i 5 stelle e Travaglio dovranno riempire di erba verde. Anzi.

1- Abbiamo una delle migliori reti autostradali del Vecchio Continente.

2- Abbiamo un welfare state fra i migliori e con un sistema sanitario che offre prestazioni come nessun altro al mondo (è il migliore, con tutte le sue pecche).

3- L’istruzione è gratuita, i bambini vanno a scuola e vengono istruiti.

4- Una buona parte del paese, dalla Toscana in su, vive in un benessere di livello tedesco, cioè ai massimi.

Tutto questo è stato fatto da “Quelli di prima” (ladri e corrotti compresi), prima che il comico genovese cominciasse a dire le sue cretinate.

Ma a questo panorama di successo che cosa hanno aggiunto i 5 stelle tanto cari al cuore di Travaglio? Tre cose:

1- Hanno riempito la società di odio sociale, personale, hanno valorizzato l’ignoranza, hanno portato al governo fenomeni da baraccone (selezionati con l’arte del clic, un’idiozia smisurata), hanno riempito il paese di falsità.

2- Hanno tollerato il dilagare (per mano del socio Salvini) di un razzismo come mai si era visto in Italia e nemmeno in Europa. Forse solo in Sud Africa.

3- Si sono prodotti in una specie di manovra che viene così giudicata da un serio professionista (Roberto Perotti): “Il governo forse farà un “ritocco” alla manovra, ma la pezza, se ci sarà, sarà peggiore del buco. Dopo i primi mesi in cui era giusto dare il beneficio del dubbio e dell’adattamento alla novità, è ora chiaro che questa manovra è frutto di dosi massicce di dilettantismo e ciarlataneria, un problema non risolvibile trattando con Bruxelles. Anzi, la ricerca di un compromesso di facciata costringerà il governo a ricorrere a finzioni ed ipotesi ancora più assurde e incredibili di quelle utilizzate finora. Il risultato sarà un documento che, come già ora, in ambito privato si qualificherebbe come pubblicità ingannevole, o più facilmente come falso in bilancio.”

Altri, meno educati di Perotti, hanno consigliato semplicemente di arrotolare bene la manovra, buttarla nel cesso e tirare a lungo lo sciacquone. Quindi telefonare a Bankitalia perché metta insieme una cosa decente.

“Quelli di prima” non erano santi e navigatori. Erano uomini politici con le loro clientele, i loro amici, i loro furti, i loro errori, ma ci hanno consegnato un paese più che decente.

Il tanto bistrattato Matteo Renzi aveva provato, con la riforma costituzionale, a disegnare un paese più moderno, più veloce, ma i fenomeni a 5 stelle (insieme a altri fenomeni) l’hanno combattuto, e vinto, a testa bassa.

E adesso sono lì che stanno mettendo insieme il massimo del clientelismo con la stronzaggine più plateale. Con alla guida gente della levatura di Laura Castelli o Barbara Lezzi o Toninelli, il sapiente.

Ridateci “Quelli di prima”, e andate a casa prima che la gente vi insegua con i forconi.

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ORA basta.Del padre di Di Maio non ce ne frega nulla. Di questa politica senza dignità ancora meno

Risultati immagini per politica senza dignitàNon c’è niente di più infame che usare gli affetti per colpire gli avversari politici: vale per Renzi e Boschi, tanto quanto per Di Maio. Piuttosto la politica smetta di combattersi a colpi di accuse e presunzioni di colpevolezza. Perché così si uccide da sola.

Possiamo dire che prendersela con Di Maio perché suo padre ha assunto gente che lavorava in nero, dieci anni fa, è macchina del fango allo stato purissimo? Possiamo dire che le prediche garantiste di Renzi e Boschi, seppur motivate da un legittimo dolore personale, sono in realtà un modo paraculo per consumare una vendetta postuma e freddissima? Possiamo dire che il contrattacco di Di Battista è un tentativo mal riuscito di buttarla in caciara a suon di torpiloquio per spostare l’attenzione (e i riflettori) dal “carissimo Luigi” a egli stesso? Possiamo dire che di tutta questa polemica da bambini dell’asilo non fa onore a nessuno, né tantomeno aiuta a riflettere su garantismo, giustizialismo e conflitti d’interesse?

Perché davvero ci siamo rotti le scatole di questa pantomima da Mani Pulite 4.0 consumata per interposti genitori, o nel sensazionalismo televisivo che mette alla gogna per una colf o per un dipendente in nero, nella ricerca spasmodica del più puro che epura il puro, senza capire nulla di quella frase di Pietro Nenni, che invitava i politici – tutti i politici – a evitare a far gare di purezza. E sono quasi trent’anni ormai, da quello stramaledetto 1992, che ci cascano tutti come pere mature. Dall’abolizione dell’immunità parlamentare alla fine del finanziamento pubblico ai partiti, sino ad arrivare a ministri che si dimettono se indagati, o anche solo coinvolti nelle intercettazioni, come Josefa Idem, Maurizio Lupi, Federica Guidi, tanto per citare i casi più recenti. Un po’ per compiacere il popolo, un po’ per marcare una diversità dagli “altri”, l’insieme universo dei politici disonesti. Per dimostrare di essere i più puri del mazzo, di nuovo.

Ci siamo rotti le scatole di questa pantomima da Mani Pulite 4.0 consumata per interposti genitori, o nel sensazionalismo televisivo che mette alla gogna per una colf o per un dipendente in nero, nella ricerca spasmodica del più puro che epura il puro, senza capire nulla di quella frase di Pietro Nenni, che invitava i politici – tutti i politici – a evitare a far gare di purezza

Peccato si finisca sempre per subirlo, il mazzo. Ogni volta più violento, ogni volta per motivi più futili, ogni volta convinti che dare del disonesto all’avversario, presumerne la colpevolezza alla ricezione di un avviso di garanzia sia più efficace che contestarne le politiche. Troppo facile limitarsi ai Cinque Stelle, alla Lega e alla loro atavica fame di gogna. Che dire del Pd che defenestra Marino per quattro scontrini, esulta quando Virginia Raggi viene messa sotto inchiesta per un reato che più stupido non si può e pensa di far fuori Salvini con i 49 milioni di rimborsi elettorali distratti da Bossi e Belsito dalle casse del partito?

Lo diciamo brutale: la politica nemmeno dovrebbe interessarsene, di queste cose. Dovrebbe starne fuori. E pure il politico sotto indagine dovrebbe fregarsene degli umori del Paese, dal giacobinismo e dell’invidia sociale, dei segnali alla nazione, degli elettori che non capirebbero. Dovrebbe stare lì, sulla sua bella poltrona, fino a che una sentenza definitiva e un interdizione dai pubblici uffici non lo mandi a casa. Dovrebbe avere le spalle abbastanza larghe per capire che tutte le indagini e le pseudo inchieste sui famigliari – giudiziarie o pseudo-giornalistiche che siano – servono solo a caricarlo di pressione emotiva, a renderlo più debole e vulnerabile colpendone gli affetti.

In una parola sola, la dignità perduta della politica si recupera anche così, sfidando il giustizialismo e le gogne mediatiche a viso aperto, come il solo Bettino Craxi, onore al merito, ebbe il coraggio di fare. Capendo che solo attraverso un meccanismo di mutua e reciproca tutela la politica ricomincerà a essere qualcosa di serio. In caso contrario, abituatevi alle polemiche sui papà di Di Maio e della Boschi. Non finirà qua, e sarà sempre peggio

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Renzi: “La sinistra chieda scusa a Berlusconi.E GIÙ CHE CASCA IL MONDO!Il significato della dichiarazione è : dal punto di ivista delle leggi ad personam Lega e M5S si stanno comportando peggio di Berlusconi. La frase è ad effetto per risaltarne il concetto.

Risultati immagini per Renzi: "La sinistra chieda scusa a Berlusconi.Renzi: “La sinistra chieda scusa a Berlusconi. Rispetto alle leggi ad personam di Salvini è un pischello” L’ex premier durante una diretta Facebook fa un paragone fra il Cavaliere e il ministro dell’Interno. Ed elenca alcune delle ultime scelte del ministro dell’Interno: peculato, querela solo a Bossi,norme sulle sigarette elettroniche, 49 milioni.

Fermi tutti: “Dobbiamo chiedere scusa a Silvio Berlusconi”. Chi lo dice? Presto detto, Matteo Renzi. Certo, si tratta di un attacco a Matteo Salvini. Ma quelle parole restano. Afferma l’ex premier: “Io adesso la dico. Lo so che ci rimanete male, ma adesso la dico, la dico, la dico: dobbiamo chiedere scusa a Silvio Berlusconi. Perché rispetto alle norme ad personam di Salvini, Berlusconi era un pischello”. Così, in una diretta su Facebook. per portare un durissimo attacco alla nuova ossessione della sinistra, ossia il vicepremier leghsita. Ma restano quelle parole su Berlusconi e sulla crociata della sinistra stessa contro le cosiddette leggi ad personam, crociata evaporata con questo post dell’attuale senatore democratico.

Renzi, dunque, spiega che alla Camera è passata a scrutinio segreto una norma che molti leggono come un “aiutino a diversi esponenti leghisti alla prese con accuse di peculato in relazione alle spese pazze dei consiglieri regionali”. Dunque, dopo la premessa contro la Lega, rimarca: “Dobbiamo chiedere scusa a Silvio Berlusconi che faceva le norme ad personam più incredibili: ha fatto votare la nipote di Mubarak e via dicendo. Ma non ha mai fatto quello che ha fatto Salvini in questa settimana e ci metto dentro sigarette elettroniche, voto segreto sul peculato che cambia la sorte dei processi in cui sono implicati deputati della Lega, l’accordo sui 49 milioni e la querela solo per Bossi”.

E’ un po’ un problema se non riuscite a capire che si tratta ovviamente di una provocazione. Non ci sono vere scuse a Berlusconi. Chi si indigna per le scuse a Berlusconi non ha letto o non ha capito il senso o manca completamente di ironia. Scuse di questo tipo se le ricevessi mi suonerebbero come una presa per il culo e le rifiuterei. Il messaggio politico è un altro: si temeva Berlusconi ma è arrivato qualcosa di peggio.

Il problema Renzi e’che se la “ vecchia” sinistra ha fatto venire al Governo Berlusconi,quella nuova,quella nata dalla GUERRA NEI TUOI CONFRONTI,per paura di perdere la CADREGA, ha fatto venire al governo Salvini e i fascisti fascisti( quelli che dicono di esserlo senza vergognarsi); e la colpa e’SOLO LORO,perché mentre volevi E CI STAVI RIUSCENDO raddrizzare questa ITALIA ,con il loro pararsi il culo contestando denigrando perdevi quelli di estrema sinistra e alla fine tu e di conseguenza noi,ci ritroviamo con gente al governo come Salvini…

Ma loro sentendosi tirati in causa e essendo codardi e vigliacchi,buttano la palla oltra il muro sostenendo!

Renzi non perde mai l’occasione di dimostrare di essere un Berlusconiano della prima ora.

Giustissimo non chiedere scusa, ma quella di Renzi era una semplice battuta per evidenziare meglio le qualità degli “honesti”, a mio personale e modesto avviso. Meglio 100 anni di sinistra renziana e non sempre efficace che un minuto di Salvini, DiMaio e, last but not the least, Berlusconi.La sinistra secondo me non deve chiedere scusa a nessuno, tanto meno a Berlusconi, ma perdono a quanti hanno creduto in lei e sono stati ripagati in cotal modo non da RENZI ma dai loro ideali ottocenteschi portati avanti dalla loro dirigenza minoritaria nel PD senza idee ma tento rancore verso chi con ide moderne innovative efficaci voleva e stava mettendo l’ITALIA su binari ben stabili per il bene e il futuro de popolo ITALICO.

Basta guardare ora! Renzi senza forse l’unico insieme a Calenda che fa opposizione dura e circostanziata al governo Lega M5S.

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Come diceva qualcuno che preferisco dimenticare: “il tema non appassiona”. La verità è che ancora NON esiste una opposizione e una sinistra (che dio li fulmini)… altro che discussione sul 4 di Marzo… Partito inerme, imbelle e occupato.

Pd, Renzi lascia e si fa il suo partito se Zingaretti vince le primarie Pd.Primarie Pd, strategia e obiettivo dell’ex segretario Matteo Renzi. Verso le primarie Pd.

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Primarie del Partito Democratico confermate per domenica 3 marzo con Matteo Richetti che si fa da parte ufficialmente e appoggia la candidatura a segretario di Maurizio Martina. Dietro le quinte, Matteo Renzi e i suoi fedelissimi sono in movimento con i comitati civici del senatore di Scandicci che, seppur ufficialmente neutrali, si stanno preparando a fare campagna elettorale a favore dell’ex ministro dell’Agricoltura o di Marco Minniti.

Il primo step della strategia di Renzi è stato favorire la nascita del ticket tra Martina e Richetti e l’obiettivo non dichiarato è fare di tutto affinché Nicola Zingaretti non diventi il leader del Pd. Infatti, come Affaritaliani.it ha scritto lunedì scorso in assemblea è pronta l’alleanza tra Minniti e Martina per superare in termini di delegati il Governatore del Lazio che così non diventerebbe segretario nemmeno se arrivasse primo (come dicono i sondaggi), a meno che non riuscisse a superare il 50% dei voti. Il segretario sarebbe quindi chi arriva davanti tra Minniti e Martina con l’altro nel ruolo di vice. Ma attenzione, qualora Zingaretti riuscisse a spuntarla e diventasse segretario – o superando il 50% alle primarie o con accordi con alcuni dei candidati minori – a quel punto sarebbe pronto il colpo di scena. Renzi e i suoi comitati civici, insieme a Maria Elena Boschi e ad altri fedelissimi, uscirebbero dal Partito Democratico per fondare un loro movimento centrista simile a En Marche! di Emmanuel Macron. Un nuovo soggetto politico che alcuni recenti sondaggi danno intorno all’8-9%. In sostanza l’ex presidente del Consiglio, che ufficialmente si tiene fuori dalla partita delle primarie, o ‘vince’ con Martina o Minniti leader (per poi condizionare la linea politica del Nazareno) oppure lascia il Pd se Zingaretti diventa segretario.

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E UN FALSO IN BILANCIO LA MANOVRA DEL GOVERNO GIALLOVERDE.

«Una manovra da falso in bilancio»

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Il professor Roberto Perotti su Repubblica parla della Manovra del Popolo e sostiene che anche se dovesse passare la trattativa con l’Unione Europea nei conti ci sono problemi che rendono la legge di bilancio a rischio falso. Il primo pericolo è su quota 100, che manca di coperture per gli anni successivi al primo. Qualsiasi provvedimento avrà costi molto crescenti nel tempo, mentre il governo stanzia la stessa cifra di sette miliardi (peraltro drammaticamente insufficiente per qualsiasi promessa elettorale) per ognuno dei prossimi tre anni. Ma tutte le simulazioni dell’Inps, spiega Perotti, mostrano che sotto ogni ipotesi plausibile di riforma la spesa pensionistica aggiuntiva aumenterà nel tempo, e di tanto: sia per il meccanismo delle finestre, sia perché, intuitivamente, nei primi anni la riforma aggiungerà nuovi pensionati ogni anno. Nascondersi dietro un dito, insultare Tito Boeri, ed affidarsi ai social e alla tv per intorbidare le acque non può cambiare i numeri. Poi c’è la questione del reddito di cittadinanza, sottolineata anche ieri da Enrico Marro sul Corriere: circolano almeno quattro stime indipendenti del costo del reddito di cittadinanza, nell’ipotesi di una integrazione al reddito di 780 euro per un single e a salire per nuclei più numerosi: del M5S stesso, dell’Istat, dell’Inps (quando ancora non era invisa al governo), e degli economisti Baldini e Daveri. Tutte concordavano su un costo di 15 miliardi. Il governo non ha mai (ripeto: mai) rinnegato le soglie di integrazione, quindi la cifra rimane 15 miliardi, contro i 7 stanziati.

manovra del popolo
Manovra del Popolo, stime a confronto (La Repubblica, 28 novembre 2018)

C’è poi il piano di dismissioni immobiliari, previste in 600 milioni di euro dalla Nota di Aggiornamento di fine settembre ma passate miracolosamente in pochi giorni a 18 miliardi nella recente lettera alla Commissione europea. Una cifra semplicemente pazzesca, che rappresenta un quarto del valore di mercato degli immobili pubblici potenzialmente disponibili; una presa in giro del buon senso se si considera che queste vendite dovrebbero essere realizzate in dodici mesi. E poi Perotti, dopo aver parlato delle imbarazzanti uscite di Laura Castelli, conclude: O il governo non si rende conto di quanto siano penosamente imbarazzanti tante persone che hanno responsabilità di decisione e di comunicazione; oppure i membri del governo, abituati a pensare che l’analisi della realtà sia irrilevante e che con gli insulti, le urla e la ripetizione ossessiva di teorie della cospirazione si possa far ingoiare quasi tutto a quasi tutti, applicano questo stesso metodo anche alla costruzione e presentazione della manovra. Nessuna delle due ipotesi lascia ben sperare per il futuro di questo paese.

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La parabola della fetecchia gialloverde

Quota 100 e reddito di cittadinanza: la parabola della fetecchia gialloverde.

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Sono partiti da : “Il 3% di deficit non è un tabù, potremmo anche sfondarlo”; sono passati all’ 1,6% proposto inizialmente dal contabile della banda, si sono indi attestati sul Piave del 2,4% festeggiato (come se un debito fosse da festeggiare) sul balcone di Palazzo Chigi con tanto di finta manifestazione a sostegno. Hanno poi proseguito, con altezzoso petto in fuori, fino al fatidico: “La manovra non si tocca di una virgola” e infine si sono piantati contro il palo del “Non ci impicchiamo ai decimali [senza sapere che quei decimali sono svariati miliardi di spesa in deficit] – L’importante sono le misure”.  Tradotto: vi hanno bombardato di minkionate per mesi per poi giustamente (per fortuna) calarsi le braghe davanti al buon senso dell’Europa matrigna e di tutte le istituzioni economiche nazionali ed internazionali: FMI, Commissione Europea, BCE, Banca d’Italia, Istat, Inps, Confindustria, Assolombarda, Ufficio parlamentare di bilancio, Corte dei Conti. Eppure rimane da chiedersi come faranno i gialloverdi a ridurre la spesa e quindi il deficit per il 2019? Semplice: rinvieranno l’effettiva attuazione delle misure sbandierate a squarciagola con stratagemmi puerili. Insomma fingendo che l’arrivo dei soldi sia imminente in modo da turlupinare l’elettorato fino alle elezioni europee.

1) La fatidica “quota 100” sul fronte pensionistico verrà depotenziata attraverso “finestre” cervellotiche che nessuno sa quando si apriranno, permettendo in realtà a pochi “fortunati” di usufruirne con una decurtazione sino al 30% dell’assegno. Senza contare che le previsioni di spesa per gli anni successivi rimangono senza copertura nel Def, e con più finestre, quindi con una platea di “fortunati” decurtati ancora più ampia.
2) Il Reddito di cittadinanza verrà elargito attraverso un percorso a ostacoli, quindi alla fine in grado di soddisfare pochi amici intimi. Ed ecco evaporati i 3% miliardi, come richiesto dalla Commissione di “quell’ubriacone di Junker” con cui si rifiutava il dialogo “perchè si parla solo con gente sobria”.

Rimarranno i danni fatti in questi 5 mesi, ma continueranno a mancare gli investimenti strutturali veri. Quindi la crescita sana e sostenibile, non quella drogata dagli sprechi pubblici, rimarrà solo un numero fasullo sui documenti patacca di un governo inetto. Quando la manovra dovrà passare il vaglio del parlamento verrà rimaneggiata e stravolta a colpi di emendamenti e interventi di manine misteriose. Durante il guazzabuglio la colpa del rinvio e della presa per il culo verrà attribuita all’Europa che ci ha costretti ad usare il cervello. Non a caso Gig-Inetto mette le zampe avanti: “Dobbiamo parlare della legge di Bilancio, degli emendamenti presentati dal governo e dal parlamento. Ci sono tante iniziative che stiamo portando in legge di bilancio e anche per questo il premier Conte ha detto all’Ue che la manovra sarà approvata dal parlamento e dovete darci il tempo di farla discutere ai parlamentari, perché il parlamento è sovrano e potrà innovarla, migliorarla e perfezionarla”. In parole povere il governo con una raffica di emendamenti correrà ai ripari sulle minkiate che aveva scritto, proclamato e festeggiato. Rimane da chiedersi per quanto tempo il pubblico telelobotomizzato continuerà a nutrire fiducia in simili cialtroni.

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