Archivio mensile:febbraio 2019

Queste settimane di discussione congressuale ci dice che il Pd è una comunità politica vitale nonostante i ritornelli funebri che sentiamo ripetere intorno a noi

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Una prova di grande democrazia .Discutere, partecipare, decidere: una comunità politica vive quando è capace di svolgere queste funzioni alla luce del sole, intorno a idee e progettualità, coinvolgendo persone in carne e ossa. La prova di queste settimane di discussione congressuale – faticosa come ogni esercizio di democrazia reale – ci dice che il Partito Democratico è una comunità politica vitale nonostante i ritornelli funebri che sentiamo ripetere intorno a noi da almeno un anno.

Ma quegli annunci di morte prematura – ripetuti spesso dagli stessi che avevano previsto che il governo Lega Cinque Stelle avrebbe impresso all’Italia una svolta di crescita, giustizia e rinnovamento – si sono infranti contro una realtà più testarda di qualunque auspicio. E’ la realtà del voto in Abruzzo e Sardegna, dove il PD si afferma come principale forza di opposizione e baricentro di alleanze ampie per l’alternativa allo sfascio gialloverde.

E’ la realtà di un impegno parlamentare che ogni giorno incalza sul merito un governo unito solo dalla presa sulle poltrone e incapace di decidere sui nodi fondamentali per il futuro del paese. Ma è anche la realtà di un partito che all’indomani di una durissima sconfitta ha saputo rimettersi in piedi con umiltà e determinazione: resistendo alla tentazione dell’abbandono e della disgregazione non solo per le capacità dei militanti o di questo o quel dirigente, ma perché esiste una larga parte di italiani che non si riconosce nel populismo grilloleghista e che pretende che siano difesi i valori della coesione sociale, della crescita e del lavoro, del pluralismo culturale e della tolleranza razziale, di uno Stato di diritto che alla legge del potente di turno oppone la forza delle istituzioni.

C’è chi sostiene che il Partito Democratico discuta troppo. E’ un vizio di cui andare orgogliosi, nell’epoca dei partiti-azienda dove gli ordini si prendono da padroni, eredi o “garanti” mai eletti da nessuno o dei partiti-falange dove chi mette in discussione il capo viene messo pubblicamente alla berlina.

La discussione congressuale è stata autentica, per chi volesse davvero riconoscere temi e spunti per il futuro e non pretendere invece un autodafé distruttivo. Inevitabile che il confronto sia stato anche sul nostro recente passato, perché l’esperienza di governo 2013-2018 è quella sulla quale il PD ha concretamente misurato la propria visione del paese nei suoi punti di forza e nei suoi limiti. E altrettanto inevitabile che le divisioni tra i tre candidati “finalisti” siano in gran parte emersi intorno alle diverse letture del fenomeno grilloleghista e alle strategie per parlare a quegli elettori, sullo sfondo di una speranza di unità per il PD come valore in sé da preservare in ogni possibile scenario futuro.

In sintesi: fino ad oggi una discussione che è stata prova di democrazia interna, capace di trasmettere al paese l’idea che la politica non sia solo linguaggio della forza o esibizione del corpo ma riflessione e confronto (e dunque conflitto); domenica con il voto alle primarie una prova di opposizione ai gialloverdi sulla quale costruire la nuova stagione della politica italiana.

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Primarie Pd, confronto tv: Ottimo incontro, senza esclusioni di colpi, ognuno con le sue idee per il bene del PD. Molto interessante. ….Qualcuno sa la data dell’incontro tra i candidati Segreteria dei 5S?…di FI?…della Lega? Sicuramente non me ne perderò nessuno.

Primarie Pd, confronto tv: "Un milione l'affluenza" per Martina e Zingaretti. Giachetti su Renzi: "Sono leale"

Primarie Pd, confronto tv: “Un milione l’affluenza” per Martina e Zingaretti. Giachetti su Renzi: “Sono leale” I tre candidati alla segreteria del partito si sono affrontati su Sky Tg24 in un’ora di trasmissione all’insegna del fair play. Visioni comuni sull’idea di partito. Critiche unanimi al reddito di cittadinanza. Tutti e tre concordi sul no alla patrimonale. Solo qualche scintilla fra Giachetti e Zingaretti sul Venezuela

Ecco cosa hanno detto i tre candidati durante il dibattito

I tre candidati alla segreteria Muarizio Martina, Nicola Zingaretti e Roberto Giachetti si sono confrontati a Sky. Sollecitati da Fabio Vitale hanno proposto la loro visione d’Italia e la linea che intendono seguire in caso di elezione a segretario del Partito democratico. Un confronto inizialmente molto pacato, che nel finale si è infiammato, soprattutto per le stoccate di Giachetti.

Per iniziare si è chiesto ai candidati qual è la partecipazione che si aspettano domenica e la percentuale che il Pd raggiungerà alle elezioni europee.

Roberto Giachetti non ha voluto parlare di numeri e orgogliosamente ha rivendicato il metodo di selezione della leadership nel Pd: “Noi siamo gli unici a investire i nostri dirigenti democraticamente, io mi auguro che tanta gente andrà a votare alle primarie. Io mi auguro che il risultato sia ottimo. Non rispondo sulla percentuale alle Europee, lavoriamo per raggiungere un grande risultato”.

Maurizio Martina invece si sbilancia: “Io sono sicuro che alle Europee il Pd prenderà più del 20%. Io ho negli occhi i tanti volontari che hanno aiutato e credo che ci sarà tanta partecipazione. Il milione è una cifra che spero supereremo”.

Mentre Nicola Zingaretti parla dell’importanza della competizione: “Saranno primarie per l’Italia. Io mi auguro che siano più di un milione e che poi quella spinta porterà alle Europee”, e sulle possibili imboscate qualora non raggiunga il 50% dei voti il Presidente del Lazio dice serenamente che non pensa ci saranno.

Secondo tema affrontato è il capitolo alleanze o vocazione maggioritaria.

Per Martina “è da escludere qualsiasi alleanza con M5s e Forza Italia. Per quanto riguarda la nostra funzione riprendo le parole di Veltroni sulla vocazione maggioritaria, a condizioni cambiate, rimane l’ambizione di quel grande discorso al Lingotto, nella stagione in cui abbiamo fatto nascere il Pd”.

Più criptico Zingaretti: “Io credo ad un’alleanza con le persone, io non penso a ritorni al passato in cui si mettono insieme i leader con le figurine. Noi immaginiamo un centrosinistra nuovo e unito. Anche in alleanza con i fuoriusciti, ma soprattutto con il civismo”. Il presidente della regione Lazio dice chiaramente no ad alleanze con M5s, Lega e Forza Italia.

Netto invece Giachetti: “Veltroni parlava di un’ambizione, questa e’ la vocazione maggioritaria. Vi ricordate l’Unione, da Mastella a Bertinotti? Io non voglio ritornare a quello, voglio andare avanti, sempre avanti nel progetto del Partito Democratico”.

Non poteva mancare la domanda su Matteo Renzi e su quanto manchi. Tutti e tre giudicano l’ex segretario una risorsa, anche se con sfumature diverse.

Zingaretti: “Io con Renzi ho in realtà un ottimo rapporto. Non l’ho mai votato ma l’ho sempre rispettato. Io mi auguro non ci manchi, penso a un Pd aperto e pluralista. Abbiamo bisogno di tutti”.

Giachetti:“A me Matteo Renzi non manca, perché c’è ed è una nostra arma di punta. Io sono fedele a quel progetto messo in campo 5 anni fa con lui ed altre figure. Noi dobbiamo ringraziarlo”.

Martina: “Io continuo a pensare che non possiamo continuare il nostro dibattito su quanto siamo più o meno renziani. Io rivendico quanto fatto, ma voglio anche ammettere ciò che non è andato. Io non voglio passi indietro, ma passi avanti”.

Si è parlato anche di giustizia e del caso che ha coinvolto i genitori dell’ex premier Matteo Renzi. Tutti i candidati si sono detti fiduciosi nella giustizia, ma partendo dal caso tutti credono che ci sia un problema con la lunghezza dei processi.

Per Giachetti  “in questo paese c’è una giustizia malata, lo penso oggi come lo pensavo sui casi Raggi, Berlusconi e di altri avversari politici. Colpisce nomi illustri e se ne parla, ma tanta gente subisce ingiustizie. Va riformata a prescindere di chi è colpito”. E fa notare come “un terzo dei detenuti italiani siano in custodia cautelare, in attesa di giudizio”.

Martina: “Massimo rispetto per la vicenda umana e massimo rispetto per la giustizia italiana, che però presenta alcuni problemi”.

Zingaretti: “Io non credo ci sia stata giustizia ad orologeria o complotti. Le persone, però, vanno difesi dal linciaggio mediatico nel momento in cui subiscono un’indagine. Bisogna accelerare i tempi della giustizia, non si può stare anni senza giustizia”.

La domanda successiva è stata su Matteo Salvini e la sua capacità di acquisire consenso sul tema dell’immigrazione e sull’insicurezza percepita dagli italiani.

Martina: “Sui temi dell’immigrazione e della sicurezza si giocherà la sfida con la destra. Noi dobbiamo dimostrare che si può governare il fenomeno in modo diverso, facendo un passo avanti rispetto a Minniti. C’è bisogno di più Europa, non di più pistole e di diventare il Texas. Abbiamo bisogno di regolarizzare i flussi, non di criminalizzare i migranti. Bisogna abrogare la Bossi-Fini e il decreto Salvini e sarà questa la mia linmea se dovessi diventare segretario”.

Per Zingaretti  “la Lega ha raccolto il tema della paura e dell’insicurezza cavalcandolo. Loro cavalcano un tema giusto in modo sbagliato. Non si crea la sicurezza armando i cittadini o odiando il diverso”. E afferma che questa paura nasce “dall’esclusione sociale e dalla solitudine che interessano sempre più persone, un tema che non siamo stati in grado d’affrontare negli ultimi dieci anni”.

Giachetti: “Noi l’emergenza sbarchi l’abbiamo gestita grazie a Marco Minniti. Mi chiedo come fa a stare in una mozione in cui qualcuno diceva che era schiavismo. Ora bisogna fare un passo avanti. Dobbiamo migliorare la parte più importante, sull’integrazione oggi quasi assente. E’ su questo che Salvini raccoglie i voti e se io sarò segretario sarà uno dei punti principali della mia azione”.

Sul reddito di cittadinanza tutti e tre i candidati sono concordi che sia uno strumento sbagliato. Tutti e tre sottolineano come il Reddito d’inclusione sia una misura più centrata per aiutare chi è in difficoltà.

Zingaretti: “Il reddito d’inclusione del Pd è migliore, sarebbe bastato metterci più soldi. Io sono d’accordo per avere strumenti per abolire la povertà, ma credo bisogna investire per creare più lavoro. Non abolirei il RdC, ma lo cambierei. Non credo che chi venga dopo un governo debba cancellare tutto ciò che ilò governo precedente ha fatto. Il tema non è abolire, ma investire per avere lavoro vero”.

Giachetti: “Il RdC è una polpetta avvelenata messa sul campo nella campagna elettorale. Io metterei quei soldi per ampliare il Rei e il resto per abbassare le tasse sul lavoro e creare lavoro e sviluppo. Dobbiamo abbassare le tasse sul lavoro per creare nuovi posti, come fatto dai governi Renzi e Gentiloni, che hanno creato 1,2 milioni di posti di lavoro, non dare soldi a chi non riesce a trovare lavoro”.

Martina: “Cambierei il RdC e metterei le risorse su Rei e per abbassare il cuneo fiscale. Serve il salario minimo legale in questo Paese perché abbiamo  una gigantesca questione salariale: i salari sono cresciuti troppo poco rispetto alla media europea, abbiamo lavoratori poveri che hanno grandissimi problemi tutti i giorni”.

Si continua poi sull’economia e sul raddoppio della clausole di salvaguardia e come se fossero al governo i candidati opererebbero per scongiurare il probabile aumento dell’Iva nel prossimo anno. Con tutti e tre i candidati hanno detto no ad una patrimoniale.

Giachetti attacca il governo: “Il raddoppio delle clausole di salvaguardia è un delitto. Noi come spesso accade dobbiamo raccogliere i cocci da chi ha distrutto il Paese”.

Martina: “Hanno abbassato l’asticella della lotta all’evasione. C’è una marea di nero che va recuperato, bisogna iniziare da questo”.

Zingaretti: “Ho chiesto e chiedo che vengano spesi i soldi che già ci sono. Abbiamo 140 miliardi fermi che potrebbero sbloccare molti cantieri. Iniziamo da questo per far ripartire il Paese. I soldi ci sono, ma non si preoccupano di spenderli”.

Sul caso Venezuela ci sono state le prime polemiche, in particolar modo tra Giachetti e Zingaretti.

Martina: “Io sto con l’Europa. Bisogna lavorare per risolvere i problemi che ci sono in quel Paese. Noi dobbiamo contribuire allo sforzo europeo. No ad un intervento militare”.

Zingaretti: “Noi paghiamo l’isolamento creato da questo governo. Dovremmo lavorare con l’Europa per evitare un intervento militare”.

Giachetti: “Il governo sostanzialmente sostiene un dittatore. Non è solo un problema dell’Italia, c’e’ u problema del Parlamento europeo. Mi rincresce solo che 8 deputati abbiano votato insieme a M5s e Lega. E tra i deputati che lo hanno fatto c’è Goffredo Bettini che sostiene Nicola Zingaretti”.

A quel punto Zingaretti ha chiesto una replica affermando che si trattava di una posizione personale: “Non si può mettere in discussione la scelta di un parlamentare europeo che era finalizzato a una maggiore adesione così come anche l’Alto Commissario Federica Mogherini ha spiegato”. E’ il momento di repliche, controrepliche e accuse. Giachetti insiste sulle contraddizioni della mozione Zingaretti e cita Smeriglio, sostenitore del governatore del Lazio, che un paio di mesi fa aveva parlato di scongelare il M5s, una prova secondo Giachetti che l’ipotesi sia in campo. Ma La netta risposta di Zingaretti: “Nessuna alleanza con il M5s” e le successive repliche anche di Martina fanno capire come nessuno dei tre candidati voglia percorrere quella strada.

E’ il momento delle domande incrociate. Maurizio Martina chiede a Roberto Giachetti: dopo le primarie lavorerai con noi o dobbiamo aspettarci ancora rotture fino ad aspettarci che esca qualcuno

Giachetti: “Io sono stato in minoranza nel Pd per anni e sono sempre stato in una cornice condivisa, e diversamente dagli altri mi sono adeguato anche quando non condividevo certe scelte. Dipende dove si vuole andare. Il partito è una comunità e non una caserma: non voglio posti, vado in minoranza. Se però si vuole andare con M5s o far rientrare i fuoriusciti allora non è più il mio partito”. A lui risponde con una battuta il governatore del Lazio: “Allora resti perché nessuno vuole andare con M5S”

Nicola Zingaretti non fa una domanda, ma concede un minuto a Martina che lo utilizza per fare un appello al voto e ribadire che i suoi avversari non sono dentro quella stanza ma fuori.

Roberto Giachetti invece chiede a Zingaretti cosa farebbe sull’articolo 18. Zingaretti: “Abbiamo litigato troppo e discusso troppo poco. Sull’articolo 18 non sono per cancellarlo, ma sono per una nuova riforma del lavoro vedendo le modifiche da fare, l’ho detto da sempre e non è una novità”.

Il dibattito si conclude con l’appello dei tre candidati.

Nicola Zingaretti  “Solo un anno fa la partita sembrava chiusa per il Pd e che si aprisse la strada al bipolarismo M5S-Lega. Ora la situazione sta cambiando e si sta tornando a un bipolarismo centrodestra-centrosinistra, dobbiamo voltare pagina per creare un’alternativa credibile a questo governo. È difficile, ma chiedo coraggio, passione e fiducia per cambiare” .

Maurizio Martina: “Di fonte alla deriva Lega-M5S, convinti degli ideali democratici, dobbiamo portare la sfida nel Paese, con idealità e senza illudere a fronte di quelli che vogliono illudere senza ideali, come diceva Kennedy. Uniti, basta renziani e antirenziani: in gioco c’è il futuro del Paese”.

Roberto Giachetti: “Mi rivolgo a chi si è allontanato sdegnato per quello che è stato fatto a Renzi e verso quello che abbiamo fatto in questi anni: guardiamo avanti per non tornare indietro. Vogliamo vincere per ridare fiato al progetto originario del Pd, quello che ha voluto Veltroni nel 2008 che abbiamo portato avanti in questi anni”.

Un ottimo incontro.Ma posso sapere perché è dovuto andare in onda su Sky e alle 13, in piena ora di pranzo di un normale giorno feriale?
La RAI dov’è? La prima serata RAI dov’è? Ma sono ancora più esplicito. #Cartabianca dov’è stata? Ad annoiarci a morte mandando in onda Mauro Corona? uno che non ha assolutamente nulla da dire? Basta che non si parli di argomenti importanti per la buona politica del Paese, dottoressa Berlinguer?Tuo padre si rivoltando nella tomba.
Mi rivolgo a tutti gli elettori del PD. Vogliamo davvero salvare il nostro Paese schiacciato dalle macerie della recessione? Vogliamo davvero bene ai nostri figli? Vogliamo davvero garantire un futuro sicuro ai nostri figli’ E allora senza alcun pregiudizio o rancore, andiamo tutti a votare alle primarie il 3 marzo, con la speranza che il PD un domani possa salvare il nostro Paese dal disastro della cattiva gestione politica. Dobbiamo lasciare in eredità  alle nuove generazioni la fiducia nel  progresso economico e sociale e nella cooperazione tra governi dell’Europa e del Mondo. Il fine del PD, al momento, deve essere uno solo:smascherare con il mertodo dimostrativo le falsità  o i truffatori dell’attuale governo, facendo tesoro del grande insegnamento di Galilei il quale smentì tante teorie false con la formula delle “sensate esperienze e necessarie dimostrazioni”.  Fiducia al PD. PERCHÉ. Il PD è l’unico VERO partito rimasto in Italia, gli altri sono associazioni private con tanto di PROPRIETARIO oppure gruppi chiusi con un leader indiscutibile ed inattaccabile la cui parola è legge. Per questo sono ben felice di andare a votare domenica prossima. Poi ci sono gli immancabili idioti che blaterano di “cinesarie” perché un gruppetto (su milioni di votanti) di cinesi o rumeni hanno votato alle primarie PD. Oppure della raccolta di “milioni di € ENTASSE”  (ma quali tasse?) , se è per i soldi perché non le fanno pure loro? Hanno paura di contarsi? O temono che il risultato non sia quello gradito al PADRONE? Lasciamoli blaterare e godiamoci questa occasione di democrazia.
CONCLUDENDO:Da Iscritto dico che le Europee sono  lo spartiacque, dopo si vedrà, in Europa non cambierà molto, chi governa ora PPE e PSE ALDE e Europe en Marche di Macron superano i 400 seggi, la maggioranza secondo sondaggi sarà di 353 seggi,  i sovranisti? a stento arriverebbero a 130 seggi , quindi chi governa dovrà continuare a fare i conti con l’attuale commissione Europea. Dimenticavo Forza Giacchetti, nessun accordo con gli S-Fascisti miracolati, ne con Leu. P.S Mi divertono i commenti astiosi con reflussi gastrici
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Pd, da Pannella e Rutelli al turborenzismo: parabola di Giachetti, outsider delle primarie

Pd, da Pannella e Rutelli al turborenzismo: parabola di Giachetti, outsider delle primarie
Si è ritagliato un ruolo da Gian Burrasca del Congresso il candidato che tre anni fa sfidò Raggi. La politica è da sempre il suo mestiere. Tra le grandi passioni la Roma e le maratone. Oggi assicura: “Io corro per vincere”
Perché tanta acrimonia verso qualcuno che non fa alleanze di comodo ma esprime con chiarezza il suo pensiero? Pur ritenendo inopportuna la sua elezione, per l’unità del partito, ho rispetto per l onestà intellettuale di Giachetti.Quello che mi sorprende è lo spirito “unitario” che si coglie negli interventi di chi appoggia Zingaretti nei commenti social, quelli fuori dall’ipocrisia ufficiale. Eppure è evidente che se il PD vuole riprendere “appeal”, come prima cosa deve assimilare il concetto di “partito”, che significa insieme di persone che vogliono stare insieme anche se hanno idee diverse e non si fanno la guerra permanente. Giachetti è il mio segretario.
ll tono di molti commenti non mi appassiona. Si tratta di primarie di partito, non delle elezioni politiche o amministrative. Molto importante è la partecipazione del più gran numero di elettori, tanto per far risaltare (di nuovo) la differenza fra la partecipazione al PD e quella M5S. Conteranno anche le proporzioni, non solo la vittoria, per indicare quali siano gli indirizzi che è opportuno dare al partito.

Tutto questo livore verso Giachetti Renzi e il cd renzismo non lo capisco, perchè nessuno lo spiega logicamente. Liberi poi tutti di votare gli altri candidati, ma in base a scelte “per” e non “contro”Giachetti è il mio segretario.
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Primarie Pd, Maurizio Martina e il mantra del cambiamento senza rotture.

Primarie Pd, Maurizio Martina e il mantra del cambiamento senza rotture
Nel paese del Bergamasco in cui è nato lo chiamavano il “democristiano comunista”. L’ex ministro da sempre batte su un tasto: fare squadra. Forse anche per questo è nato il feeling con Delrio.
Martina ci fa addormentare,Zingaretti  vuole andare a destra con i perntastellati sorellasti di salvini e inglobare pure i sinistrati fuori usciti. Forse con Grachetti torniamo in partita.Martina è davvero soporifero. Nei mesi in cui è stato segretario (!!) non ricordo un briciolo di furore politico, determinazione.Se il suo sponsor è Del RIO, allora è fritto. Chieda a Reggio Emilia cosa pensano di Del Rio e delle sue politiche .
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Mi piacerebbe sentire quali sono le ricette sociali di Zingaretti, al di là delle alchimie per tenere assieme il partito e le frasi generiche del tipo “rilanciamo l’Italia”.

Primarie Pd, Nicola Zingaretti e quel cambio di passo tentato per conquistare il Pd

Primarie Pd, Nicola Zingaretti e quel cambio di passo tentato per conquistare il Pd

E’ sempre sospettato di cripto-grillismo ma in effetti ieri rispondendo a Vespa non ha smentito: fra le righe ha detto che in un’altra legislatura, senza Di Maio leader, con i grillini ci starebbe! E poi non tutti sanno che lui alla regione Lazio è un’anatra zoppa, senza maggioranza, le poche delibere che approva, chi lo aiuta a farle passare? proprio i grillini! Comunque è evidente che se il pd vuol sopravvivere, DEVE vincere lui e nessun altro: ve l’immaginate l’assemblea nazionale che sovverte il voto dei gazebo ed elegge Martina (la minestra riscaldata che sinora ha retto il pd perdendo tutte le elezioni locali), un personaggio senza carisma che avrebbe la fortissima opposizione interna di tutti gli zingarettiani inferociti per essere stati fregati? Sarebbe la fine del pd.

Posso sbagliare ma a me Zingaretti non scalda più di tanto

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Renzi furioso contro Mario Giarrusso: “vergognati di quello che sei”

Renzi furioso contro Mario Giarrusso: “vergognati di quello che sei”

L’ex premier lo ha detto a Catania durante la presentazione del suo nuovo libro “Un’altra strada, idee per l’Italia di domani”

Matteo Renzi

Nel corso della presentazione del suo nuovo libro ‘Un’altra strada, idee per l’Italia di domani’ a Catania, Matteo Renzi si è scagliato contro il senatore Giarrusso, al centro delle contestazioni del Pd per l’ormai famoso segno delle manette alla fine della riunione della Giunta per l’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini per il caso Diciotti. 
Vorrei dire al senatore Giarrusso che se pensa che noi ci faremmo intimidire si sbaglia. A lui rispondiamo ‘vergognati per quello che sei e per quello che dici…”
Per quanto riguarda le primarie, Renzi ha affermato: “vengo in pace, per la prima volta non vi chiedo voti. Non sono candidato alle Primarie. Può sembrare strano scrivere un libro pur non essendo candidato. Invece io bello è proprio questo. E una battaglia che va fatta adesso perché si sta creando un clima infame in questo Paese.

Matteo Renzi

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Le sberle della Ue ci dimostrano che l’Italia ad aprile rischia grosso Un paese con i conti fuori controllo e un debito che in dieci anni può arrivare fino al 150% del pil. Cosa c’è nel country report

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La Commissione preoccupata: “Gli squilibri italiani creano problemi a tutta l’Unione” Nel Country Report sull’Italia, redatto dalla Commissione Ue, si legge: “Il debito alto e la scarsa produttività implicano rischi con rilevanza transnazionale. Lo spread pesa sul Pil e credito all’economia”.

La situazione economica italiana spaventa la Commissione Ue.
In particolare “il debito alto e la protratta scarsa produttività implicano rischi con rilevanza transnazionale, in un contesto di alto livello di npl e di disoccupazione.
Il debito non scenderà nei prossimi anni, visto che la debole prospettiva macro e gli attuali piani di bilancio del Governo, anche se meno espansivi di prima, implicano un deterioramento dell’avanzo primario”. E’ quanto si legge nel Country Report sull’Italia.
“Tassi più alti rispetto ai livelli di inizio 2018 stanno intaccando i costi di funding delle banche e i buffer di capitale, pesando sulla fornitura del credito all’economia e sulla crescita del Pil”. Lo scrive la Commissione Ue nel Country Report sull’Italia, aggiungendo che “lo stock di sofferenze bancarie ha continuato a scendere significativamente, ma mantenere il passo di riduzione degli npl sarà impegnativo date le condizioni del mercato”.
“La manovra 2019 include misure che rovesciano elementi di importanti riforme fatte in precedenza, in particolare sulle pensioni, e non include misure efficaci per aumentare il potenziale di crescita”: si legge nelle conclusioni del Country Report sull’Italia. “Nonostante alcuni progressi nel riparare i bilanci delle banche, riforme sul diritto fallimentare e politiche attive del mercato del lavoro, lo slancio delle riforme è ampiamente in stallo nel 2018”, prosegue.
“Rimaniamo preoccupati che il debito non scende a causa dei piani economici deboli del Governo, in generale lo slancio delle riforme si è fermato”: lo ha detto il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis presentando i Country Reports. “La Commissione resta vigile e monitorerà da vicino la situazione italiana” per fare valutazione in primavera basata soprattutto “sul livello di ambizione del programma nazionale di riforme”, ha aggiunto.
La situazione italiana è “preoccupante”, e il nostro messaggio è “noto e forte: deve migliorare le sue finanze pubbliche, l’efficienza della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario, e rafforzare il sistema finanziario. L’urgenza è ancora più sentita dato l’indebolimento dell’economia italiana che, ricordo, cresce dello 0,2%”: lo ha detto il commissario agli affari economici Pierre Moscovici.
Sul reddito di cittadinanza “bisogna guardare all’impatto sui conti, il costo sembra molto alto, 0,45% del Pil, che per l’Italia è molto, e bisogna quindi capire se è sostenibile. Un altro impatto da monitorare è sull’occupazione”, visto che “le politiche del lavoro restano deboli in Italia”: Lo ha detto la commissaria al lavoro Marianne Thyssen. “Monitoriamo cosa succede e come viene introdotto”, e se sostituirà interamente il reddito di inclusione “ha implicazioni sull’uso del fondo sociale” e quindi “andrà ridiscusso”.
“Non credo che le nostre misure stiano bloccando la crescita”. Gli interventi del Governo (come quella del taglio dei premi Inail di oggi, ndr) “servono ad uscire da uno stato di crisi nel quale si trova l’Unione europea”. Lo ha detto il vicepremier, Luigi Di Maio, riferendosi alle preoccupazioni dell’Ue sulle misure italiane.

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Dedicato a chi vede nero e non capisce che, sui migranti, stiamo scivolando nella peggiore delle xenofobie segregazioniste.

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STIAMO DIVENTANDO UNO STATO XENOFOBO, ED È DIFFICILE NEGARLO.

Se ti consideri una “maglietta rossa”, se ti hanno bollato, almeno una volta, quale “buonista con il rolex”, se qualcuno ti ha mai risposto “se ti piacciono così tanto, perché non li prendi a casa tua?”, allora non leggere questo post. Fidati, ti farebbe solo ribollire il sangue.

Quest’articolo non l’ho scritto per te, ma per tutti coloro che stanno inneggiando al Decreto Sicurezza. Quelli che festeggiano le leggi anti-migranti, fossero solo “anti-clandestini”, ai patrioti da tastiera inebriati dal “Prima gli Italiani” e ai fan dell’aiutiamoli a casa loro (a costruirsi i lager).

Vi sentite presi in causa, bene, perché parlo propri con voi che reclamate il rispetto per “l’Italia lasciata” sola, ma appoggiate un governo ipocrita che rifiuta ogni consesso internazionale, lo stesso governo che vuole mandarli tutti a casa, e crea solo nuovi clandestini. Per voi, riprendo il tema migranti e lo facico per raccontarvi una storia. Quella di un paese che, drogato di propaganda, ha deciso di diventare segregazionista mentre prega la madonna col santino in mano.

EMENDAMENTO SANITÀ

Il nostro punto di partenza è un oscuro emendamento alla manovra emerso dalla Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati. Un provvedimento apparentemente innocuo che, se approvato, trasferirebbe 30,99 milioni attualmente “vincolati” all’assistenza agli immigrati dal 2019 per spostarli “nella quota indistinta del fabbisogno sanitario standard nazionale”.

“Giusto prima noi!” Solo che anche i non italiani si ammalano e si infortunano, quindi o hanno soldi per pagarsela – immigrati da paesi ricchi – o sperano nella loro buona sorte, mentre voi vi troveresti ammalati in giro per strada.

EMENDAMENTO FISCALE

Tutto normale, se si accetta che stiamo facendo guerra all’imigrazione legale e non ai clandestini.

Infatti, a fine novembre, il Governo ha approvato un emendamento al Decreto Fiscale che introduce una tassa del 1,5% sulle transazioni finanziarie dai 10 euro in su vero i paesi extracomunitari. Una sovratassa, visto che, racconta Luigi Mastrodonato su Wired, chi usa un servizio di money transfer paga dal 10 al 20% in commissioni a cui ora ci aggiungiamo un ulteriore 1,5%.

Questo nonostante l’Italia si sia impegnata dal 2009 a ridurle al 5%.

Qualcuno, con una gran faccia tosta, parla di norma “anti-riciclaggio”, ma si tratta di una foglia di fico smangiucchiata: sono importi dai dieci euro non mille, secondo voi chi ricicla milioni di euro lo fa tramite vaglia da 10 euro?

“Sono soldi nostri!” No sono soldi loro e rendere più oneroso quel trasferimento di denaro favorisce soltanto il traffico illegale gestito dalla criminalità organizzata.

Questo, per chi fosse così tardo a capirlo, è esattamente come le varie mafie, locali o no, guadagnano proseliti e manovalanza, creando una rete “sociale” alternativa a quella statale nel comparto sociale “poveracci”.

40.000 PER STRADA

Sono decenni che lo Stato italiano aiuta la criminalità organizzata. Succede per voto di scambio (quando non mazzette), per “semplificare” la vita al legislatore o, come nel caso del Decreto Sicurezza, per incompetenza mista a delirio ideologico e intenti propagandistici.

Il DDL, infatti, serve ad eliminare la protezione umanitaria, riducendo a due le tipologie di “asilo” possibili in Italia. Che significa? Che chi arriva e ne aveva diritto, è clandestino. Chi c’è già e ce l’ha, è un clandestino in divenire. Chi c’è già e l’ha richiesta, è clandestino già ora.

“Giusto” direte “privilegiamo chi ne ha davvero bisogno: gli italiani hanno sempre aiutato, ma non possiamo farlo per tutti”.

Il risultato sono migranti che abbandono i Cara (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo) e i Cas (Centri di Accoglienza Straordinaria). Succede a Mineo, ad Aversa, Rieti, Latina, Isola di Capo Rizzuto e Crotone.

Come racconta Daniela Fassini su l’Avvenire, sono già 40.000 le persone colpite, ovvero finite per strada come testimoniano foto e reportage dai centri siciliani.

“Stanno facendo dismissioni a tutto spiano […] e la città si riempie di gente che vive per strada” aggiunge Walter Cerretti della Comunità di Sant’Egidio di Catania.

Intano a Reggio Calabria, abbiamo la prima vittima: Jaiteh Surawa, morto nel rogo della baracca in cui cercava rifugio.

L’IPOCRISIA SUGLI SPRAR

“Sono gestiti da persone che lucrano sui migranti, giusto!”. Benissimo allora spiegatemi perché il Governo decida di rafforzare i Cas, ovvero i centri gestiti da quelle coop che “lucrano sui migranti”.

O perché decida di farlo anche con i Cpr, dove il clandestino si parcheggia per 6mesi in attesa di un rimpatrio che non avverrà in assenza degli accordi con i paesi d’origine.

Si chiama ghettizzazione, segregazione e ricerca del confitto sociale migranti vs italiani, così da a) imporre politiche sempre più autoritarie sul modello ungherese e b) creare l’emergenza che permetterà di continuare a distrarvi sulla loro incapacità di amministrare la macchina pubblica.

La conferma di quanto ho scritto, arriva dagli Spar, ovvero i progetti del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati gestiti dai singoli comuni e non dal Ministero dell’Interno al contrario (toh!) dei Cas.

Attualmente ci sono 400 Sprar attivi nel territorio con un totale di 23.000 ospiti e sono l’unico sistema di accoglienza ed integrazione funzionante nel paese. Il Decreto Sicurezza ne restringe l’accoglienza ai rifugiati, lasciando fuori, e per strada, i richiedenti asilo in nome della “sicurezza degli italiani”.

Funzionavano, solo che c’era il rischio che ci dimostrassimo capaci di integrare: limitati.

DOV’È LA SICUREZZA?

Ora immaginate il combinato disposto di queste iniziative. Decine di migliaia di migranti senza alcuna prospettiva, lasciati per strada con i servizi sociali dei comuni (o gli asili urbani) come unica forma rimanente di protezione: le perfette vittime della criminalità organizzata e del caporalato.

Non preoccupatevi, probabilmente non li vedrete con la coda dell’occhio agli angoli delle strade a chiedervi due spicci, perché, sempre con il decreto Salvini, abbiamo anche istituito il reato di accattonaggio “molesto” così da poterli allontanare dalle vostre passeggiate domenicali.

Non deturperanno con i loro visi scuri e le loro tristi litanie la vostra serenità nazional-etnica, siatene contenti.

In fondo il principio del Governo è quello, emarginarli ancora di più, rinchiuderne il più possibile per allontanarli dai vostri occhi. Un po’ come hanno fatto con il Mediterraneo, dove morti senza nome emergono dalle acque, o in Libia, dove, grazie a Minniti, giacciono dimenticati, magari i loro organi espiantati e venduti al mercato nero.

LE MORTI OMBRA

Anche i nostri, alla lunga, spariranno, magari inghiottiti da un crepaccio sulle Alpi, assiderati la notte o semplicemente morti nel silenzio più generale.

Vorrei darvi dei dati, ma non esistono e sapete perché? Ve lo siete mai chiesto, infatti, che succede a “morire clandestini”?

Si sparisce nel nulla, come non si fosse mai esistiti. Se si ha la fortuna che il proprio corpo venga ritrovato, si diventa un numeretto all’obitorio mentre luogo di ritrovamento, la tua altezza, i tuoi segni caratteristici finiscono nel Registro Cadaveri non Identificati.

Lo pubblico qui sotto, guardatevelo e pensate a come la vostra persona potrebbe venir descritta in quel registro.

Fa male? Sì, lo so, ma non preoccupatevi, prima o poi qualcuno reclamerà il corpo, prima o poi.

MIGRANTI E CLANDESTINITÀ: LA GRANDE BUFALA

Ma non basta, perché la sete anti-migranti non si limita a questo. Vanno colpiti anche i regolari.

Un paese normale, lotterebbe contro la clandestinità cercando modi per limitarne lo sfruttamento ed avviare la regolirazzazione. Quello che vorrebbero, per esempio, i braccianti africani del sud Italia, quando non finisco uccisi da qualche parte come Soumalia Sacko.

In Italia, invece, il Governo non combatte la clandestinità, ma prova ad aumentarla. Sempre il DDL Salvini dice, infatti che si può ritirare il permesso di soggiorno ad un immigrato (anche lavoratore) “indagato”. Non condannato, semplicemente indagato.

Potrebbe trattarsi dell’anonimo senegalese che chiede l’elemosina fuori dalla Coop (quindi passibile di reato di “accattonaggio molesto”) come del vicino di casa filippino con due figli minorenni nati qua.

Una revoca inappellabile. Se poi se ne riconosce l’innocenza, e non viene miracolosamente espulso prima, il disgraziato dovrà rifare tutta la procedura di regolarizzazione.

Cosa abbiamo fatto? Abbiamo discriminato come Stato italiano un essere umano, un lavoratore (come il filippino) domiciliato o addirittura residente in Italia perché “non italiano”.

L’IPOCRISIA SUL GLOBAL COMPACT

Lo so che queste cose vi fanno inorgoglire e inneggiare ancora più forte al Governo autarchico. Un orgoglio che non ve fa percepire l’immensa ipocrisia dei suoi membri.

Potrei citarvi il no alla Riforma di Dublino dopo una campagna elettorale incentrata su questo, ma preferisco farvi un ulteriore esempio.

  • Collezionare e utilizzare dati accurati e disaggregati per la creazione di politiche concrete
  • Ridurre le cause e i fattori strutturali che spingono le persone a lasciare il paese di origine
  • Assicurarsi che ogni migrante abbia con sé documenti e documentazione adeguata
  • Rafforzare (combattere ed eradicare) la risposta transnazionale contro il traffico dei migranti
  • Gestire i confini in maniera integrata, sicura e coordinata
  • Creare le condizioni perché i migranti possano contribuire completamente allo sviluppo nei paesi di arrivo

Quanto elencato sopra sono solo alcune delle tesi contenute nel Global Compact for safe, orderly and regular migration, che significa “patto globale per migrazioni sicure, ordinate e regoalmentate” promosso dall’ONU. Proposte non vincolanti che contengono misure di cooperazione internazionale sia nei paesi d’origine (“aiutiamoli a casa loro”) che di arrivo. Non un pericoloso piano di invasione programmata, ma, attenzione, quella cooperazione internazioanle cercata da MoVimento 5 Stelle e Lega durante la campagna elettorale e la lunga estate delle ONG.

Salvini ha detto no alla ratifica. Lo stesso Ministro che, ancora ad agosto e settembre inveiva contro la mancanza di coordinazione internazionale e a favore di misure di aiuto nei paesi d’origine. Quel Ministro, che lucra politicamente sui migranti, ha detto, da buon ipocrita, NO.

Arriviamo a noi. Come voi sono italiano, ma nonostante la propaganda anti-migrante e ultra-patriottica, sono ancora un essere umano e senziente. Per questo mi è difficile leggere i provvedimenti varati dal Governo sui migranti e non vedere la progressiva criminalizzazione strumentale, per questo governo di destra, dell’essere straniero. Attenzione, non ho nulla contro un governo di destra, ce l’ho contro un governo di destra populista, xenofoba e segregazionista.

Un percorso che, sono conscio, parte da lontano, dalla legge Martelli, passando per la Turco-Napolitano e la Bossi-Fini arriva al Decreto Salvini, ma non cambio solo per questo il mio giudizio. Stiamo diventando xenofobi ed una parte di noi ne è inebriato. Se tutto questo vi nausea, beh, sono contento: vuol dire che avete ancora un po’ di umanità.

Per gli altri casi, siate liete e godetevi il vostro ducetto Salvini e la sua corte legastellata: tanto io sono solo un “buonista del ca**o, prezzolato da Soros, schiavo del pensiero unico globalista”.

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Di Pilar Marrero, il racconto della distanza fra ideologia e realtà nei confronti della crisi del Venezuela, di Maduro e di Guaidò.

venezuela, maduro, guaido

Nelle ultime due settimane, spiegando la mia posizione rispetto ai fatti venezuelani, paese in cui sono nata e cresciuta, sono stata bollata, allo stesso tempo, come “una sostenitrice dell’estrema destra di Trump” o una “chavista-madurista”.

Non sono nessuna delle due.

STORIA DI UN’IMMIGRATA DAL VENEZUELA

Come molti miei compatrioti venezuelani che vivono all’estero, mi sono trovata imprigionata fra l’incudine e il martello, non classificabile dai rispettivi estremismi ideologici di chi vede il mondo solamente in bianco e nero. Non ci sono, infatti, sfumature per chi brandisce dogmi assoluti invece di applicare la propria razionalità.E la “Sinistra” è pessima come la “Destra” a questo riguardo.Sono una cittadina venezuelana, arrivata in questo paese [USA] nel 1986 e naturalizzata statunitense.

Ho studiato a Caracas in un’università gesuita e ho lavorato per media di lingua spagnola a Los Angeles per più di 30 anni. Ben lungi dall’essere di “Destra”, mi sono sempre definita progressista, ancor di più dopo aver osservato e documentato i danni compiuti dagli USA in America Centrale negli anni 80 a la diaspora dei disperati che arrivarono, nello stesso periodo, a Los Angeles.Ho scritto degli squadroni della morte e degli attentati contro la stampa condotti dai paramilitari finanziati da Washington in El Salvador, ho documentato le politiche anti-Migranti degli Stati Uniti e ho scritto un libro in cui descrivevo come questo odio verso i migranti abbia danneggiato la giurisprudenza statunitense.

Sono, però, anche grata che questo paese, gli USA, mi abbia concesso tutte queste opportunità e lo amo come fosse il mio, ma come giornalista specializzata in problemi migratori e commentatrice politica per così tanti anni, non mi sono mai sottratta dal criticare le azioni di questo o di ogni altro governo USA.

IL CASO VENEZUELANO

Nonostante le mie idee politiche, mi sono ritrovata in totale dissenso con i miei compagni progressisti per quanto riguarda il Venezuela. Addirittura, con dispiacere, con alcuni dei miei amici più cari.Non sono l’unica venezuelana intrappolata in questa situazione: conosco decine di connazionali che condividono posizioni simili alle mie e c’è un acceso dibattito che attraversa i social media e la comunità venezuelana su come ci sentiamo scoraggiati a fronte delle posizioni oltranziste [intese come pro-Maduro] tenute dalla sinistra nei confronti del Venezuela.

Molti di noi, in questo momento, supportano la richiesta di dimissioni presentata a Nicolás Maduro e il suo regime.

Vogliamo nuove elezioni per il Venezuela che portino al ritorno alle garanzie democratiche e portino sollievo ai miei compatrioti venezuelani che faticano a sopravvivere economicamente.

Vogliamo che i 3,4 milioni migranti e rifugiati venezuelani sparsi per il mondo, compresi i 2,7 in America Latina e nei Caraibi, abbiano la possibilità di tornare a casa, in un Venezuela sicuro e democratico.

Vogliamo vedere la fine del regime autoritario che ha così malgovernato il paese e messo la museruola alla stampa via censura, chiusura dei media o nazionalizzazioni.

Vogliamo un Venezuela che non sprofondi nel baratro in cui è caduto, dove si possano ricostruire le istituzioni che permettano a noi venezuelani di costruire un paese migliore.

UNA COMUNITÀ DIVISA

Allo stesso tempo, molti di noi provano sentimenti contrastanti e si oppongono ad ogni intervento militare statunitense in Venezuela. Non solo per il sangue innocente che verrebbe versato, ma perché abbiamo paura che questo possa macchiare l’afflato pro-democrazia che arriva dallo stesso Venezuela e che si realizza nel fronte unitario dei partiti d’opposizione raggruppati attorno al presidente ad interim Juan Guaidó. Altri venezuelani, soprattutto quelli schierati più a destra di noi e i molti che stanno soffrendo nel paese, non sono così sensibili.

Le lore richieste di intervento militare verso gli USA per deporre Maduro ed il suo governo, non sono che meri atti di disperazione di coloro a cui non è concesso il lusso di emigrare e di opporsi a tale idea confortevolmente lontani dal Venezuela.

L’IPOCRISIA DI TRUMP SU MADURO

Sono stata bollata come “chavista-madurista” da alcuni supporter di Donald Trump, perché non ne tesso le lodi. Ho seguito il Presidente dal primo giorno della sua candidatura e so troppo bene che non è un sincero democratico, bensì un autocrate in pectore. Il Venezuela è il ‘suo’ progetto perfetto, dove può combinare il desiderio di nuove ricchezze [per gli USA] con quello di una medaglia di “nemico del socialismo”.

Perché Trump ha deciso di correre per la rielezione in qualità di novello “Joe McCarthy” [il fondatore della ‘caccia alle streghe’ anti-socialista degli anni 50, NdT] bollando come “socialismo” idee progressiste quali la copertura sanitaria universale e l’aumento delle tasse ai più ricchi.

E sta usando il Venezuela per raggiungere questo obiettivo.Tuttavia, il suo governo è dalla parte giusta per quanto riguarda il Venezuela, anche se per ragioni totalmente sbagliate.

Mi è difficile ammetterlo, ma è la verità.

 

L’IPOCRISIA DELLA SINISTRA SU MADURO

Capisco  i dubbi della sinistra, ma non posso essere cieca al dramma dei miei fratelli venezuelani. Conosco la storia degli interventi USA in America Latina: Guatemala, El Salvador, Cile, Argentina, etc. etc.

Non sono così naïve rispetto al piano complessivo. Ma ho una notizia per tutti coloro che si preoccupano [in prospettiva] per le violazioni dei diritti umani, o per la dittatura, o la repressione di avversari e prigionieri politici o le frodi elettorali: [in Venezuela] abbiamo tutto questo, ora, sotto Maduro.

Dove sono quindi le vostre preoccupazioni per le sofferenze del popolo venezuelano?

Sono arrabbiata, e non poco, verso i miei amici della sinistra statunitense che si sono occupati, a lungo, di altre diaspore come quella dei rifugiati di El Salvador. Ho combattuto lungamente e duramente per i diritti di quella diaspora, raccontando le loro difficoltà, la necessità di asilo politico e del TPS (Temporary Protected Status).

Ho visto, però, ben pochi dei miei compagni progressisti e pro-migranti fare lo stesso per i venezuelani.

Allo stesso tempo, Trump non ha offerto il benché minimo status speciale ai miei compatrioti. Nessun TPS, né alcun aumento nella concessione degli asili è in corso negli Stati Uniti [nel silenzio colpevole di chi si occupava, prima delle altre diaspore, NdT]. Altri paesi dell’America Latina e dell’Europa stanno facendo molto di più per il Venezuela.

Cari progressisti: abbiamo bisogno che guardate più attentamente ai problemi dei venezuelani. Non sono solo i più ricchi e privilegiati che soffrono sotto il regime e che abbandonano il paese. È in atto un disastro umanitario di proporzioni spaventose, la momento il più vasto di questo emisfero.

Il mio paese ha tutto il diritto di ottenere democrazia e libertà. Per favore, unitevi a noi.

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Prezzi, produzione, lavoro fisso in un mondo che non cambia mai: il modello superfisso come causa dell’innarestabile declino italiano.

modello superfisso, sandro brusco

“Dove cerco di eviscerare il modello economico che sta alla base della miriade di baggianate che si odono con allucinante frequenza nel dibattito economico italiano”. Così Sandro Brusco, professore al College of Business della Stony Brook University, apriva il suo articolo “Perché si dicono tante sciocchezze nel dibattito economico in Italia” su Noise from Amerika del 26 novembre 2007 sul dibattito economico italiano. Era un Italia diversa, “maggioritaria” dove al governo siedeva Romano Prodi, supportato da una delle più eterogenee ed inefficienti maggioranze della Repubblica.

Era il periodo delle ‘lenzuolate’ di Bersani, forse l’unico – maldestro, ma reale – tentativo di liberalizzazioni fatte in Italia, dell’indulto e del Governo appeso  al voto dei senatori a vita. Durò due anni, aprendo la strada al disastro politico ed economico che fu il Berlusconi IV, ma poco importa perché al di là dei corsi e ricorsi storici la cosa sconvolgente di quell’articolo è la sua attualità extra-contestuale.

Perché un articolo di 12 anni fa?

Perché l’inefficenza politica, la mancanza di produttività del sistema, i salari etc. non sono altro che effetti di uno dei “postulati” politico-sociali del paese di questo paese: il modello superfisso per cui la produzione è data, il lavoro è dato, i consumi sono dati e niente cambia.

Da qui nasce il declino trentennale (o anche cinquantennale) del paese incapace di cambiare perché non è più capace di percepire l’errore alla sua base, e questo succede nella Lega come nel MoVimento 5 Stelle, nel PD come in Rifondazione, fra i sindacati come nell’allegro compagno di bevute al bar.

Concluso questo cappello introduttivo vi lascio alla lettura del testo integrale dell’articolo, consigliando, allo stesso tempo, di seguire Noise From Amerika e il suo ‘erede’ spirituale, il canale YouTube di Michele Boldrin.

Buona lettura.


LA NECESSITÀ DI UN MODELLO

La leggerezza e l’ignoranza con cui tanti temi di politica economica sono discussi in Italia dai media e dai policy makers è assolutamente sorprendente. Molto spesso si tratta semplicemente di una quasi congenita incapacità a raccogliere i dati rilevanti e organizzarli in modo minimamente coerente. Andrea ha discusso un esempio recente sui mutui; un altro esempio è l’ossessiva ripetitività con cui i media italiani riportano periodicamente in modo allarmato il ‘calo occupazionale nella grande industria’, apparentemente senza accorgersi che è da un bel pezzo che l’occupazione si crea altrove.

Ma c’è qualcosa di più, un difetto che possiamo chiamare di natura squisitamente teorica. Agli economisti piace molto citare questo pezzo di Keynes, tratto dalla Teoria Generale:

The ideas of economists and political philosophers, both when they are right and when they are wrong, are more powerful than is commonly understood. Indeed the world is ruled by little else. Practical men, who believe themselves to be quite exempt from any intellectual influence, are usually the slaves of some defunct economist. Madmen in authority, who hear voices in the air, are distilling their frenzy from some academic scribbler of a few years back.

[Traduzione: le idee degli economisti e dei filosofi politici, giuste o sbagliate, sono più potenti di quanto si creda. Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto. Governanti senza giudizio che ascoltano voci nell´aria, stanno in realtà distillando i loro deliri da qualche scribacchino del passato].

La ragione principale per cui tale pezzo ci piace tanto (a parte, naturalmente, il fatto che siamo ridicolmente vanitosi) è che su questo punto Keynes ha sostanzialmente ragione. Nessuno, per quanto si professi scevro da influenze ideali e guidato esclusivamente dalla pratica, può veramente ragionare su materie di una certa complessità senza uno schema concettuale.

IL MODELLO SUPERFISSO

I molti ragionamenti curiosi che vengono continuamente proposti, e che c’entrano con l’economia moderna come il cavolo a merenda, sono dunque frutto di una qualche modello teorico. Michele [Boldrin, ndr] si è recentemente lamentato delle spiegazioni bizzarre che vengono continuamente offerte per spiegare i persistentemente bassi salari italiani, ma questa è lungi dall’essere l’unica area in cui le corbellerie abbondano. Per capire il fenomeno non basta quindi lamentare genericamente l’ignoranza dei più. Se esiste uno schema concettuale comune che sta alla base di tanti ragionamenti errati è importante individuarlo e capirlo.

Qual è, dunque, tale schema concettuale? Possiamo chiamarlo ‘il modello dei bisogni fissi e dei fattori fissi di produzione‘. Si tratta, semplificando, di un”interpretazione particolarmente rozza dei modelli di Sraffa e Leontief che per brevità chiamerò in seguito il modello superfisso. Tale modello economico è in auge particolarmente tra sindacati e sinistra radicale, ma è pure assai diffuso anche in altri schieramenti politici cosi come tra pensatori indipendenti alla Beppe Grillo.

I suoi elementi di base si possono descrivere come segue.


TUTTO ‘FISSO’, ANCHE IL MONDO

Primo, i bisogni sono fissi. Uno mangia x etti di pasta in un mese, consuma z paia di scarpe e percorre ychilometri in macchina. Tali bisogni vanno comunque soddisfatti, indipendentemente dai prezzi; il risparmio è una variabile residuale. Una prima conseguenza è che, se i prezzi salgono, i consumi restano gli stessi, indipendentemente dal reddito. Inoltre, il risparmio, essendo residuale, è determinato dall’inflazione.

Non solo il livello assoluto dei prezzi è irrilevante: anche i prezzi relativi (i rapporti fra i prezzi di due beni diversi) lo sono. Infatti, se i bisogni sono fissi, ne discende che esiste una quantità fissa per ciascun bene da produrre. Se il prezzo della pasta scende e quello delle scarpe sale non potrò mettermi la pasta ai piedi: sempre x etti di pasta e z paia di scarpe dovrò consumare.

Secondo, sono fissi anche i metodi di produzione. Per produrre una scarpa ci vuole x cuoio, z macchine e y lavoro. Ne discende che non solo i prezzi relativi dei beni, ma anche i prezzi relativi dei fattori di produzione sono irrilevanti, dato che comunque la stessa combinazione di capitale, lavoro e materie prime va usata in ogni caso. Siccome poi i bisogni, e quindi la quantità di cose da produrre, sono anch’essi fissi, risulta fissa e non dipendente dai prezzi relativi la quantità totale di fattori (in particolare, il lavoro) che viene impiegata in una economia.

Terzo, il mondo non cambia. La gente ha bisogno di mangiare sempre gli stessi quantitativi di pasta, di usare lo stesso numero di scarpe e di percorrere lo stesso numero di chilometri in macchina, anno dopo anno. Tali beni verranno inoltre prodotti allo stesso modo: non esiste progresso tecnologico, se non quello uniforme che, cambiando tutto nella stessa proporzione, non cambia nulla. Non ci sono pertanto rilevanti fluttuazioni nella produzione dei beni di consumo, il ché a sua volta implica che non ci sono rilevanti fluttuazioni nell’occupazione dei fattori di produzione, in particolare il lavoro.

L’ERRORE DEL MODELLO

Ho ovviamente sovrasemplificato, nessuno crede veramente che non ci sia progresso tecnico. Ma il punto cruciale è che il modello nega l’esistenza di un importante ruolo allocativo dei prezzi, tanto nelle decisioni di consumo come in quelle di produzione. Una volta eliminato il ruolo allocativo, ai prezzi resta un ruolo meramente redistributivo. Chi, come me, era giovinetto negli anni Settanta ricorderà probabilmente lo slogan sindacale del ‘salario come variabile indipendente’. Il riferimento concettuale di tale slogan era esattamente il modello superfisso, per cui un aumento del salario non crea altra conseguenza che un maggiore afflusso di risorse al fattore lavoro. Si noti che questo è diverso dall’affermare che, dal punto di vista empirico, le conseguenze avverse di un aumento dei salari sull’occupazione sono ridotte; questo è un esercizio pienamente legittimo, che è stato al centro per esempio del dibattito sulla ‘minimum wage’ negli USA. Qui stiamo parlando di una cosa diversa, ossia della negazione totale di un qualunque legame teorico tra il livello del salario reale e l’occupazione.

La mia tesi è che il modello superfisso fornisce una spiegazione semplice e unificata di tanti errori concettuali che vengono continuamente ripetuti, tanto dalla gente comune come dai media e dai politici. Il modello ha infatti le seguenti implicazioni.


IL MALE DEL PAESE, IN BREVE

1) La tassazione dei redditi e dei consumi non genera alcuna perdita di efficienza, e si concreta semplicemente in un trasferimento della ricchezza da un settore all’altro. Per esempio, un recente provvedimento del governo ha abolito lo ‘scalone’, un provvedimento equivalente all’abbassamento dell’età pensionabile per un sottogruppo di lavoratori, finanziando parzialmente la maggiore spesa con un aumento dei contributi sociali sui lavoratori atipici. Tale provvedimento è stato particolarmente applaudito da sinistra radicale e sindacati. Come si può con tanta leggerezza, ci si chiede, aumentare il costo del lavoro e rischiare quindi di aumentare la disoccupazione? La risposta è semplice: nel modello superfisso tale rischio semplicemente non esiste, dato che l’impiego del fattore lavoro è fisso.

2) Essendo tutto fisso, ora e per sempre, è anche irrilevante la forma contrattuale che si adotta per l’acquisto dei fattori di produzione. Per produrre 10 tonnellate di pasta l’anno servono, diciamo, due lavoratori. Assumerli a tempo indeterminato o a tempo determinato non fa alcuna differenza, dato che tanto si produrranno 10 tonnellate di pasta l’anno per sempre. Quindi, se d’imperio si trasformano i contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, l’unica conseguenza è di carattere distributivo [il ragionamento alla base del Decreto Dignità, ndr]. I lavoratori a tempo indeterminato non possono essere minacciati da licenziamento, hanno maggiore potere contrattuale e quindi spuntano salari più alti. Non esiste alcuna altra conseguenza negativa.

3) Mi è spesso capitato di sentire parenti e amici lamentarsi dell’inflazione ‘provocata dall’euro’. Le cifre che si sentivano menzionare e che venivano frequentemente ripetute parlavano di livelli inflazionistici a due cifre, tra il 20% e il 50%. Le cifre erano palesemente assurde, dato che implicavano una diminuzione dei salari reali estremamente drastica; a sua volta una simile drastica riduzione non poteva che avere drammatiche conseguenze macroeconomiche. Ma quando mi azzardavo a chiedere a parenti e amici come la terribile inflazione avesse cambiato le loro abitudini di consumo, ricevevo normalmente solo occhiate incuriosite. A nessuno, apparentemente, veniva in mente che cambiamenti tanto forti nei prezzi dovessero modificare il comportamento individuale di consumo (e, ancora meno, che dovessero avere un effetto macroeconomico di prima grandezza). Un modo di ragionare tipico del modello

LA PAURA DELLA CONCORRENZA

4) Se il ruolo dei prezzi è principalmente redistributivo, allora le liberalizzazioni e più in generale il modo in cui sono organizzati i mercati non risultano rilevanti per l’efficienza, dato che comunque la stessa quantità di beni viene comprata e venduta. Questo spiega lo scarso entusiasmo a favore delle liberalizzazioni che caratterizza tanta parte dei nostri politici, sia a sinistra che a destra. Per esempio, liberalizzare le licenze di taxi per far scendere i prezzi non genera un aumento di persone che usano il taxi e quindi di occupazione nel settore. La gente va in taxi solo quando ci deve andare, e ci va indipendentemente dal prezzo. Far scendere i prezzi della corsa in taxi serve solo a trasferire reddito dai tassisti ai consumatori dei loro servizi. Essendo questi ultimi persone dal reddito medio abbastanza alto, non pare esservi alcuna buona ragione per liberalizzare il settore. Lo stesso ragionamento ovviamente si applica a molti altri settori.

5) Se si vogliono manipolare i prezzi a fini redistributivi [la ‘soluzione’ per i pastori sardi, ndr], in un mondo superfisso risulta assai più efficace intervenire mediante la fissazione d’imperio di prezzi e tariffe piuttosto che mediante liberalizzazioni e privatizzazioni. Tale fissazione d’imperio può avvenire o mediante interventi di carattere amministrativo o mediante la proprietà pubblica delle imprese che producono i beni il cui prezzo si intende controllare. In nessuno dei due casi si verificano inefficienze allocative.

6) Dato che la quantità di lavoro è fissa, un modo efficace di ridurre la disoccupazione è quello di mandare in pensione anticipatamente i lavoratori anziani [la follia di Quota 100, spiegata bene, ndr] In tal modo, il loro posto verrà immediatamente occupato dai più giovani. L’incremento della spesa pensionistica non è ovviamente un problema, può essere finanziata senza alcun costo per l’efficienza economica mediante un aumento delle tasse.


Mi fermo qui, il pezzo è già troppo lungo. Sono convinto che tanti altri ragionamenti bislacchi sono facilmente giustificabili se si ipotizza che la gente ha in mente il modello superfisso. Il modello implica anche, si noti, che in generale i problemi di incentivo sono poco rilevanti; quando tutto è fisso c’è un modo solo di far le cose, ed è facile controllare se le fai o non le fai. E questa, da sola, è un’altra enorme fonte di errori.

Ovviamente, al modello superfisso si applica lo stesso giudizio che il mitico ragionier Fantozzi diede de ‘La corazzata Potemkin’: trattasi di una cagata pazzesca. Ma, a tutta evidenza, trattasi anche di cagata estremamente diffusa e per questo estremamente pericolosa.

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