Il bisticcio del potere C’è un diritto per il tempo di pace, e c’è un diritto per i tempi di guerra.

L'immagine può contenere: testoC’è un diritto per il tempo di pace, e c’è un diritto per i tempi di guerra. Non siamo in guerra (o invece sì?), però intanto le nostre leggi indossano l’elmetto. Da quando sono stati accertati i primi due casi di contagio (30 gennaio), sull’Italia cade una grandinata di provvedimenti normativi, sempre più severi, sempre più stringenti. Di conseguenza s’offuscano le libertà costituzionali, cambia la catena di comando. E il coronavirus infetta l’ordinamento giuridico italiano, oltre agli italiani in carne e ossa. Può darsi che la scelta sia obbligata, ma un male minore resta pur sempre un male, diceva Hannah Arendt. Solo che il virus biologico viene monitorato, analizzato, studiato nei laboratori; il virus normativo, invece, passa inosservato. Cerchiamo allora di scoprirne le caratteristiche, magari ci aiuterà a trovare un buon vaccino.

Anzitutto i numeri. In poco più d’un mese si contano 2 decreti legge del governo (il terzo è in arrivo), 3 decreti del presidente del Consiglio, 11 ordinanze del capo della Protezione civile (nell’ultima settimana al ritmo d’una al giorno), 13 circolari e 12 ordinanze del ministro della Salute, una direttiva del ministro della Pubblica amministrazione, un decreto del ministro dell’Economia, 12 note e 3 provvedimenti del ministro della Giustizia, 34 ordinanze regionali, 4 ordinanze provinciali. Senza dire delle circolari via via adottate in tutti gli enti pubblici, compresa la Rai. È tutto? No, perché bisogna ancora aggiungervi le ordinanze firmate dai sindaci: saranno almeno un migliaio, nel Paese dei mille campanili.

C’è un senso, c’è una direzione univoca in questo flusso normativo? A giudicare dai pasticci e dai bisticci, non parrebbe. Si è perfino scomodato il Tar, per annullare un editto del governatore marchigiano. Tuttavia, a guardare in controluce, appare – nitida – una trama. La stessa che sempre si disegna durante gli stati d’eccezione, quando sui popoli incombe una minaccia. E dalla trama affiorano tre punte, come la pochette del presidente Conte.

Primo: l’eclissi delle libertà costituzionali. A cominciare dalla libertà di circolazione, protetta dall’articolo 16. Per motivi di sanità può venire limitata, afferma la Costituzione; però soltanto dalla legge, e solo “in via generale”. Stavolta, viceversa, interi territori sono stati segregati per decreto, con disposizioni specifiche e puntuali. Mentre subisce ulteriori restrizioni la libertà di riunione (nei musei, negli stadi, nelle piazze). Quella di culto (anche le chiese sono ormai tabù). Il diritto-dovere d’istruirsi, con la chiusura delle scuole. E ovviamente va in fumo la privacy, quel po’ che ne restava (se hai soggiornato nelle zone a rischio devi dichiararlo, idem se frequenti un contagiato, altrimenti t’arrestano per 3 mesi).

Secondo: la centralizzazione. Improvvisamente l’autonomia è diventata un lusso, le Regioni un impaccio. Colpa di decisioni scoordinate, talora avventate, come in Friuli, che ha dichiarato lo stato d’emergenza senza concordarlo con il governo. Colpa altresì d’iniziative strampalate come quella di Ischia, dove i sindaci avevano vietato lo sbarco ai turisti veneti e lombardi. Colpa, infine, d’un sistema barocco, di competenze che si sovrappongono a vicenda, sicché ciascuno ruba il mestiere altrui. La Costituzione, però, detta una norma chiara: se corre rischi l’incolumità dei cittadini, lo Stato può sostituirsi alle amministrazioni locali (articolo 120). Così, il 23 febbraio un decreto legge stabilisce che le misure adottate da governatori e sindaci verranno rimpiazzate da decreti del premier; due giorni dopo un protocollo fra Stato e Regioni ne prosciuga gli spazi di decisione autonoma.

Terzo: la personalizzazione del potere. È l’ultima prova della curvatura autoritaria che sta plasmando il nostro ordinamento, ed è forse la prova decisiva. Giacché tutti gli organi collegiali hanno perso la voce, mentre torreggia l’autorità dei loro presidenti. A Milano non c’è più una Giunta regionale, c’è solo il governatore. Roma non è più la sede del Consiglio dei ministri, bensì il luogo da cui governa il premier. “Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione”, recita una massima di Carl Schmitt. Lui intendeva dire che durante un’emergenza l’ordinamento si ritrae, mettendo a nudo le proprie radici. Aveva ragione, benché la sua teoria fosse gradita a Hitler. Tuttavia la nostra Costituzione affida il timone delle crisi al Parlamento (articolo 78), non a qualche cavaliere solitario. E invece proprio il Parlamento è il grande assente nel tempo del coronavirus. O i costituenti presero un abbaglio, o in questa crisi c’è uno sbaglio.

Il bisticcio del potere C’è un diritto per il tempo di pace, e c’è un diritto per i tempi di guerra.ultima modifica: 2020-03-05T09:57:28+01:00da bezzifer
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