PENSARE ALLE RIFORME Coronabond, ma non solo. Servono cambiamenti.

Niente “festeggiamenti”, e avanti con la prossima. Che di lavoro da fare ce n’è tanto, e di tempo poco.
Luigi Marattin.

Finora le dichiarazioni del governo italiano sugli eurobond o coronabond sono state molto generiche.   Si è parlato della necessità di una “iniziativa europea“, di una “risposta comune“, di una “risposta eccezionale a una situazione eccezionale“, del fatto che saremmo “nel momento del coraggio” e della “solidarietà vera“.   Ma non sono state date indicazioni su come questi eurobond dovrebbero funzionare, come dovrebbero essere emessi, in che quantità e su come le risorse ottenute dovrebbero essere utilizzate.   Questo rende impossibile quantificare i vantaggi di questa proposta per il nostro paese e alimenta i timori dei nostri partner europei.

Oggi cominciamo a disporre di alcune proposte formulate da alcuni economisti che permettono di cominciare a immaginare come gli eurobond potrebbero funzionare e fare qualche riflessione più circonstanziata.

Un primo contributo è venuto da Francesco Papadia che spiega chiaramente la natura del problema al quale siamo confrontati, la necessità di risorse finanziarie e cosa sarebbe necessario aggiungerci.   Sul Sole 24Ore del 31 marzo ha pubblicato un contributo dove chiede un intervento di natura fiscale (politica di bilancio) fortemente coordinato a livello europeo.  Qualche indicazione è disponibile nell’appello “Solidarietà europea adesso” lanciato il 2 aprile da un gruppo di personalità italiane e tedesche.   Infine il 3 aprile, Carlo Cottarelli, Giampaolo Galli ed Enrico Letta hanno pubblicato un documento dal titolo “Come raggiungere un accordo nell’eurogruppo” nel quale presentano una proposta di emissione di Special Issue European Securities (degli eurobond).

Tutte queste proposte partono dall’idea che sia necessario garantire a tutti gli stati membri le risorse finanziarie per far fronte alle enormi spese che saranno necessarie per contrastare la recessione già in corso.  

Molti stati membri hanno dei grossi margini di manovra mentre altri ne hanno di più ridotti.   Gli interventi della BCE dovrebbero garantire una situazione sotto controllo sui mercati finanziari e permettere quindi anche ai paesi con qualche difficoltà di potersi finanziare senza grossi problemi.  

Ma è vero che l’intervento della BCE sarebbe un correttivo dell’insufficienza dell’azione degli stati membri ed è giustificato cercare di evitare di dovervi ricorrere.   Per di più, le dimensioni della recessione sono difficili da prevedere ed è prudente dotarsi di strumenti che permettano di far fronte ad ogni evenienza.   L’argomento della necessità di disporre di risorse adeguate è quindi molto forte.

Un’emissione di titoli garantiti da tutti gli stati membri costituirebbe senza dubbio una forma concreta di solidarietà in Europa, dello stesso tipo di quella già presente nel MES e nella proposta della Commissione europea di finanziare una parte delle spese per la disoccupazione (SURE).

Ma i tre contributi appena pubblicati toccano evidentemente anche il capitolo delle spese da fare con il ricavato dell’emissione di eurobond.  

Oggi abbiamo bisogno di fare arrivare rapidamente a famiglie, imprese e lavoratori autonomi sovvenzioni e liquidità per alleviare gli enormi problemi sociali che si stanno creando e per impedire una distruzione dell’apparato produttivo (soprattutto delle piccole e medie imprese e lavoratori autonomi) che potrebbe poi rallentare la ripresa.

Domani, una volta superata la fase dell’emergenza bisognerà sostenere la domanda e l’occupazione forse con un programma di investimenti pubblici (a livello europeo – ma quali ? – e a livello nazionale).   Molte imprese non faranno grandi investimenti perché avranno una sottoutilizzazione delle capacità di produzione esistenti.   In più, bisognerà aiutare la riconversione di tante imprese; l’economia post Covid sarà differente da quella che abbiamo conosciuto.   Chissà se il turismo ritornerà mai ai livelli che abbiamo conosciuto fino a due mesi fa ?    E il turismo è spesso la sola possibilità di reddito di tante località lontane e isolate.

Le spese da fare oggi hanno un carattere essenzialmente nazionale o regionale; si tratta di rafforzare o modificare strumenti che già esistono: sussidi alla disoccupazione, cassa integrazione guadagni, Kurzarbeitergeld e tanti altri).   Ma c’è un interesse comune a che ogni paese agisca in maniera adeguata.   Un’azione insufficiente o di tipo poco efficace in un paese danneggerebbe il paese stesso, ma avrebbe conseguenze anche per gli altri paesi.  Francesco Papadia scrive che il Consiglio europeo dovrebbe decidere che le misure da prendere siano proposte dalla Commissione europea e decise dall’Eurogruppo (le sue proposte riguardano l’eurozona) sulla base di una maggioranza qualificata, invece dell’unanimità di oggi.   E gli stati membri dovrebbero poi ricevere delle “istruzioni” da seguire.

Il documento di Cottarelli-Galli-Letta è ancora più esplicito sulla necessità di un forte coordinamento delle decisioni sull’utilizzo dei fondi raccolti.   Scrivono:

Le risorse raccolte in questo modo dovrebbero essere spese sulla base di politiche e progetti decisi in comune da tutti i paesi partecipanti. Tali politiche dovrebbero essere concordate a livello politico, se necessario con diritto di veto per ogni paese partecipante, o sulla base di un’ampia maggioranza qualificata. Iniziative in quest’area potrebbero includere sia programmi di investimenti pubblici, approvati dal SHE (nota mia: l’organismo che gli autori propongono di creare per emettere gli eurobond) in termini specifici, sia spese correnti (per la sanità o per un sostegno temporaneo alle famiglie e imprese colpite dalla crisi). Lo SHE verifica che le risorse siano spese bene, sulla base di politiche e regole definite in comune.”

Hanno ragione.   Quello di cui abbiamo bisogno è di quel coordinamento delle politiche economiche e di bilancio che tutti hanno sempre accettato come principio, che è presente nei Trattato e in tutti i testi comunitari e che finora ha funzionato molto poco.   Ma saranno disposti i parlamenti nazionali ad accettare le limitazioni della loro discrezionalità che il coordinamento delle politiche di bilancio ?   Sarebbe disposto ad accettarle il parlamento italiano ?

Non c’è poi una certa incoerenza tra l’opposizione alla condizionalità del MES e le conseguenze del forte coordinamento che una “iniziativa europea” risultante dall’emissione di eurobonds richiederebbe ?  Il coordinamento delle politiche europee non ha funzionato bene perché tanti paesi non hanno seguito le raccomandazioni dell’Unione europea, ma noi siamo stati tra quelli che le hanno rispettate di meno.

Nella procedura per evitare i cosiddetti “squilibri macroeconomici eccessivi” (la procedura che molti conoscono per il fatto che mette in evidenza il fatto che la Germania ha un avanzo corrente della sua bilancia dei pagamenti troppo alto), noi siamo stati spesso uno dei paesi con il più alto numero di indicatori fuori norma.   Siamo sicuri di volere un coordinamento più forte delle politiche macroeconomiche europee ?    E quanto sono credibili le nostre richieste di “iniziative europee comuni” quando finora le abbiamo ignorate allegramente ?

In ogni caso, varrebbe la pena di tentare di fare un salto di qualità in questa direzione a livello europeo.   Se la crisi permettesse di rafforzare il coordinamento delle politiche economiche si realizzerebbe un passo avanti a livello europeo di importanza almeno pari all’emissione di eurobond.

Il documento di Cottarelli-Galli-Letta discute anche delle modalità di emissione degli eurobond che propongono: le Special Issue European Securities.   Riconoscono che si dovrebbe creare un nuovo ente che emetta questi titoli, lo Special Health Emergency (SHE) sul modello del MES, cosa che richiederebbe il versamento di un capitale sociale, delle garanzie da parte degli stati membri.

Propongono che questo organismo emetta titoli per 300-400 miliardi di euro.   Sulla base di una ripartizione sulla base del capitale della BCE questo significherebbe una responsabilità dell’Italia per 35-45 miliardi.   Le spese in Italia potrebbero essere un po’ superiori se, al momento di deciderle, si riconoscesse che l’Italia fosse stata impattata dal Covid più di altri paesi (oggi questo ancora non può essere affermato; la Spagna e l’Italia appaiono oggi colpite nella stessa maniera e più di altri paesi, ma la situazione potrebbe cambiare nelle prossime settimane).

Le maggiori risorse disponibili aiuterebbero certo l’Italia perché sulla cifra del suo impegno finanziario pagherebbe meno interessi di quelli dovuti su di una emissione di titoli italiani per lo stesso importo.   Va tenuto conto però del fatto che; per poter effettuare un’emissione di eurobond delle dimensioni proposte, l’Italia dovrebbe versare una decina di miliardi al capitale dell’organismo che emetterebbe i titoli (per il MES erano stati 14.6 miliardi).   40-50 miliardi di euro (le possibili spese comuni effettuate in Italia meno il contributo al capitale dello SHE) sono una cifra considerevole, ma non decisiva.   Per di più, l’Italia potrebbe già beneficiare di 10/15 miliardi grazie alla proposta sull’indennità di disoccupazione (SURE), che altro non è che una piccola emissione di eurobond.

La mia impressione è che l’emissione di eurobond più il necessario rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche che dovrebbe accompagnarlo costituirebbero un passo avanti molto significativo per l’Unione europea.   Se si potesse fare avremmo visto ancora una volta l’Unione europea sfruttare una crisi per rafforzarsi.

Per l’Italia, la realizzazione di una proposta secondo le linee schizzate in questi tre contributi rappresenterebbe un aiuto molto significativo.   Ma non sarebbe certo la soluzione di tutti i suoi problemi.   I toni usati dai nostri politici hanno invece dato l’impressione che l’emissione di eurobond fosse una questione vitale per il nostro paese e che questa avrebbe risolto tanti problemi interni.

Le crisi sono delle occasioni per trovare il coraggio di fare quello che si è sempre saputo di dover fare, ma si è sempre rinviato a tempi migliori.   Sappiamo tutti che l’Italia è da trenta anni il paese con il più basso tasso di crescita in Europa per l’accumularsi di tanti problemi strutturali.   Non sarebbe il caso di cominciare a riflettere a come fare le tante riforme che rimandiamo da decenni ?

L’attualità di questi giorni ce le ricorda in tante maniere, dai milioni di mascherine che si accumulano nei magazzini delle imprese italiane che hanno cominciato a produrle e che sono ancora in attesa del nulla osta dell’Istituto Superiore di Sanità per poterle distribuire o vendere al pezzo pubblicato su La Voce di oggi che chiede perché un letto di ospedale in Italia debba avere un costo annuo quasi doppio di un letto di ospedale in Germania.

Dovremmo cominciare il più presto possibile a riflettere su come aiutare la riconversione della nostra economia e come ottenere risultati visibili nella risoluzione dei tanti altri problemi che abbiamo (qualità della nostra legislazione, efficacia della pubblica amministrazione, funzionamento della giustizia, qualità della scuola e dell’università, finanziamento della ricerca, ecc.).   Come ho detto, sarebbe bello se la crisi permettesse all’Unione europea di fare un passo avanti, ma per noi sarebbe molto più importante se la crisi ci spingesse a fare le riforme che rinviamo continuamente.

PENSARE ALLE RIFORME Coronabond, ma non solo. Servono cambiamenti.ultima modifica: 2020-04-04T10:58:10+02:00da bezzifer
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