LE DIFFICILI SCELTE DI BILANCIO Cosa fare dei nostri soldi.

L’Unione europea ha giustamente sospeso temporaneamente l’applicazione delle regole di bilancio dell’unione monetaria.   Ma questo non significa che venga meno la necessità di gestire in maniera attenta le finanze pubbliche di un paese per evitare problemi futuri.   Ogni governo, e in particolare quello italiano, deve continuare a stabilire delle priorità per le sue spese e non può certo soddisfare ogni richiesta.   Per utilizzare il gergo degli economisti, il “vincolo di bilancio” non è scomparso.
Ho aperto con questa affermazione, del tutto ovvia e scontata, perché ho l’impressione che per molti partecipanti al dibattito politico italiano le cose non stiano così.   Molti danno l’impressione che la sospensione delle regole di bilancio Ue sia stata una specie di “tana libera tutti” economica e che adesso si possa spendere denaro pubblico senza limiti.   Qualche tempo fa, Paul Krugman ha postato sul suo blog un’affermazione che considero molto calzante per valutare quello che queste persone sostengono.   Ha scritto “Stiamo vedendo un mini-revival di quello che Rudi Dornbush e Sebastian Edwards tanto tempo fa hanno chiamato populismo macroeconomico.   Questo consiste nel fare l’errore simmetrico a quello fatto da chi pensa che far disavanzi e stampare moneta ti faccia diventare sempre uno Zimbabwe; è il pensare che le regole ortodosse non si applichino mai.   E si tratta di un errore altrettanto grave.”
Commettono questo errore soprattutto quelle persone che non hanno capito la natura delle regole di bilancio europee e che le vedono quindi come l’unico ostacolo allo spendere denaro pubblico a piacimento.   Riprendendo una analogia utilizzata spesso, le regole di bilancio europee sono l’equivalente delle tante regole prudenziali che servono a dare dei punti di riferimento per evitare di trovarsi in situazione di pericolo.  Sono l’equivalente, per esempio, del limite massimo di colesterolo cattivo o dei limiti di velocità sulle strade.   Un effetto secondario positivo di questa crisi è che finalmente molti si renderanno conto che i veri limiti alla nostra politica di bilancio sono sempre venuti dal peso degli interessi da pagare sul nostro debito pubblico e dalle possibili reazioni dei mercati e non dalle regole europee.
La recessione innescata dall’epidemia di Covid-19 ha dimensioni enormi e ancora difficili da stimare con un ragionevole grado di precisione.   Le previsioni del FMI e della Commissione europea ci danno un punto di riferimento, ma la BCE e la Banca d’Italia ci ricordano che la recessione potrebbe essere ancora più grave di quanto stimato da queste due organizzazioni.
Di fronte a questa recessione è assolutamente necessaria una forte reazione della politica di bilancio.   Nel 2020, la preoccupazione principale sarà di aiutare famiglie, lavoratori e imprese per alleviare l’enorme disagio sociale creato dalla disoccupazione e dalla caduta di tantissimi redditi e per impedire la perdita di parte dell’apparato produttivo.
Dal 2021 in poi, la priorità dovrà essere il riorientamento delle nostre società e delle nostre economie per tenere conto delle lezioni imparate dalla crisi e della realtà, probabilmente molto diversa, del mondo e dell’economia post-Covid.   Durante questa seconda fase bisognerà cercare anche di rispondere alle sfide che avevamo anche prima: riscaldamento globale, protezione dell’ambiente, riduzione delle disuguaglianze e necessità di usare di più e meglio le nuove tecnologie.
Tutti gli analisti e tutte le organizzazioni internazionali hanno riconosciuto questa realtà e hanno invitato i governi ad usare la politica di bilancio in maniera molto aggressiva.   Nel caso dell’Unione europea il grosso dello sforzo deve essere fatto a livello nazionale.   Non solo le politiche economiche sono una competenza nazionale, ma il tipo di misure da prendere – aiuti a persone, categorie e imprese – richiede decisioni politiche che possono essere prese solo a livello nazionale (in alcuni casi, queste misure sono addirittura una competenza regionale).   Ma in più la gestione di questi aiuti non è immaginabile a livello centralizzato, a livello europeo.   
L’Unione europea ha un doppio compito.   Il primo è completare e sostenere gli sforzi nazionali con degli interventi forti a livello europeo per la trasformazione delle economie (la seconda fase appena menzionata).   La proposta della Commissione europea del 27 maggio per una “Recovery and Resilience Facility” indica chiaramente i tanti campi dove un intervento europeo è necessario.  Il secondo compito è coordinare le politiche economiche nazionali per evitare che alcuni paesi non facciano abbastanza o addirittura intervengano in una maniera inefficace.   Come parte di questo secondo compito l’Unione europea deve anche poter aiutare finanziariamente i paesi che dovessero avere difficoltà a reperire senza troppe difficoltà le necessarie risorse finanziarie.   I 250 miliardi di prestiti proposti dalla Commissione europea si aggiungono ai prestiti per le spese sanitarie del MES e ai prestiti SURE e sono una buona risposta a questa esigenza.   
L’intervento dell’Unione europea è quindi un complemento necessario all’azione degli stati membri, ma non deve essere “la” risposta europea alla recessione.   Le decisioni prese finora sono all’altezza di quanto l’Unione europea doveva e poteva fare.   La BCE si è impegnata a mantenere una situazione di calma e bassi tassi di interesse sui mercati finanziari facilitando quindi l’indebitamento di imprese e stati.   La Commissione europea ha preso delle importanti misure regolamentari e ha sfruttato tutto quello che la flessibilità del bilancio UE poteva permettere.   La BEI ha aumentato la sua capacità di intervento di 200 miliardi di euro.   Il Consiglio europeo ha creato la nuova linea di credito del MES e il meccanismo SURE che insieme permettono 340 miliardi di euro di prestiti.   E a tutto questo si aggiungono le recenti proposte della Commissione europea.   Come intervento di complemento non è male.   È veramente difficile parlare di una risposta insufficiente.
Come ha reagito finora l’Italia di fronte a questa sfida ?   Si sarebbe potuto temere che l’Italia potesse fare poco, come è successo nel 2008/2009 quando l’Italia, essendo al limite dalla sua capacità di ottenere risorse sui mercati, ha compensato gli effetti della recessione in maniera relativamente modesta.   A quei tempi però non c’erano gli interventi sul mercato della BCE, non c’erano i tanti strumenti europei che ci sono ora e non si è avuto il coraggio di fare quello che la Commissione europea oggi propone.
Grazie a tutti gli elementi che ho appena citato, l’Italia oggi sta spendendo parecchio.   Tra i principali paesi europei la Germania è quello che sta spendendo di più – cosa attesa viste le condizioni robuste delle finanze pubbliche tedesche – ma l’Italia sta spendendo leggermente di più di Francia, Spagna e Olanda.   I tre grafici che pubblico danno delle indicazioni parziali.   Uno mostra l’andamento della spesa discrezionale degli stati, un altro mostra il deterioramento dell’indebitamento netto della pubblica amministrazione e il terzo mostra la parte di questo deterioramento che può essere attribuita alle decisioni prese dai governi.   I dati derivano tutti dalle previsioni della Commissione europea rese note il 6 maggio scorso.   Ognuno di questi tre grafici ci dice qualcosa (non sempre in maniera chiara), ma i tre grafici suggeriscono tutti il giudizio della risposta italiana che ho appena espresso.
Questo livello di spesa relativamente alto ha un effetto sul disavanzo e sul debito.   Secondo la Commissione europea, il rapporto tra il nostro debito pubblico lordo ed il PIL potrebbe sfiorare il 160 per cento a fine 2020 e scendere poi nel 2021 sotto il 155 per cento.   Questo significa che nella fase della “ricostruzione” bisognerà essere molto attenti e spendere soprattutto in quei settori che più contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi che ci si è fissati.   Il governo dovrà identificare delle priorità e attenersi a queste il più possibile, resistendo alle inevitabili pressioni che, comprensibilmente, verranno da tanti lati.
Sarà necessario spendere per fare le riforme di cui abbiamo bisogno per evitare il ripetersi dei problemi che sono apparsi durante questa crisi e per poter riprendere a crescere.   
La crisi ha mostrato che il nostro sistema sanitario aveva delle risorse insufficienti.   Non è vero, come alcuni affermano, che nel corso degli ultimi anni ci siano stati dei grossi “tagli” alla spesa sanitaria.   Dal 2013 ad oggi la spesa sanitaria in termini nominali è aumentata ogni anno.   Ma gli aumenti sono stati bassissimi, in alcuni anni non hanno nemmeno compensato l’erosione della pur bassa inflazione.   Chiaramente non siamo arrivati al Covid-19 nelle condizioni dei sistemi sanitari di altri paesi europei.   E la crisi ha mostrato che il nostro paese non dispone ancora di un adeguato meccanismo generale di indennizzo della disoccupazione e di un meccanismo efficace di sostegno al reddito per chi non può lavorare.   Bisognerà intervenire in questi due campi e queste riforme costeranno.
Ma abbiamo anche bisogno di fare le mille riforme di cui si parla da anni per rendere più efficace il funzionamento della macchina giuridico/amministrativa del nostro paese e avere una legislazione meno vessatoria per tutte le attività economiche.   Bisognerà rinunciare ad alcuni dei tanti obblighi che sono stati aggiunti nel corso degli anni.   Bisognerà far sì che l’Italia diventi un paese dove non sia scoraggiante aprire o espandere attività economiche di ogni genere.   Nell’edizione del 2020 del rapporto della Banca mondiale “Doing Business”, l’Italia è al 58esimo posto su 190 paesi esaminati.   Non è certo il posto dove si immaginerebbe trovare un paese industrializzato membro dell’Unione europea. 
Rilanciare la crescita deve essere la priorità numero uno.   Abbiamo bisogno della crescita economica per aumentare l’occupazione (nel 2019 abbiamo avuto il quart’ultimo tasso di occupazione nell’UE a 28 paesi) e per far crescere i redditi.   Nel 2019, il nostro reddito pro-capite in termini reali era al livello del 2005; nel 2019 eravamo ancora del tre per cento circa al di sotto del reddito reale pro-capite del 2007, prima dello scoppio della recessione del 2008/2009.   Ma altrettanto importante è il fatto che senza crescita economica non potremo mai cominciare a risolvere il problema del nostro debito pubblico.
Penso però che non sarà facile fare le cose scontate che descrivo.   Le tentazioni di comprare consenso attraverso misure che diano una soddisfazione immediata (e passeggera) sono sempre forti.   Un esempio che mi preoccupa è costituito dalle proposte di utilizzare i margini di manovra aperti dagli interventi europei per una “riduzione delle tasse”.   Penso che una riduzione delle tasse unicamente per distribuire potere di acquisto non sia una priorità e che il nostro paese non possa permettersela.
Il nostro paese ha un bisogno urgente di una riforma del suo sistema fiscale.    Bisognerebbe eliminare tante piccole tasse che danno un gettito relativamente basso, dal canone Rai alla tassa di bollo sulle fatture elettroniche.   L’eliminazione di molte di queste piccole tasse renderebbe la vita più facile alle famiglie e alle imprese.   Ma permetterebbe anche di chiudere dei settori interi dell’apparato di gestione delle entrate e di trasferirne il personale e le risorse verso la gestione e il controllo delle cinque/sei tasse che forniscono più del 90 per cento del gettito fiscale.   Cosa che aiuterebbe a ridurre ulteriormente l’evasione fiscale.
Bisognerebbe anche riformare l’IRPEF a partire da un serio riesame delle centinaia di eccezioni a favore di questo o quel settore.   Personalmente, io non ridurrei la progressività dell’IRPEF e aggiungerei anche un paio di scaglioni più alti.
Ma queste necessarie riforme non devono avere come obiettivo principale la riduzione delle tasse.   Le riforme del sistema fiscale possono e devono essere fatte mantenendo stabile il gettito che questo produce.     In ogni caso, il peso della tassazione sul lavoro viene dai contributi sociali tanto quanto dalle imposte sul reddito.   Avendo delle disponibilità finanziarie, si dovrebbe forse intervenire più sui contributi sociali che sulle tasse sul reddito.
E, in ogni caso, sarebbe un’assurdità finanziare una misura a carattere permanente con delle risorse una tantum, gli interventi europei attuali.   Nel 2021 sarà necessario continuare ad avere una politica di bilancio aggressiva.   Le spese che saranno necessarie mi sembrano tutte più importanti di una riduzione delle tasse sul reddito.   Per di più, la maggioranza di queste spese avrà automaticamente un carattere una tantum (come le agevolazioni europee) mentre una riduzione delle imposte sul reddito si rivelerebbe molto difficile da correggere rapidamente.   
Nel corso del 2021 bisognerà anche cominciare a pensare a come ritornare al “sentiero stretto” definito da Pier Carlo Padoan.   La crescita economica è l’unica cosa che può permetterci di cominciare a risolvere il problema del debito pubblico, ma questa non potrebbe far nulla se continuassimo ad avere disavanzi significativi.   
Bisognerà anche riflettere alle modifiche da fare alle regole di bilancio europee quando queste ritorneranno in vigore.   Si parla da anni di una loro modifica.   Ma è interesse dell’Italia avere regole europee che incitino a politiche di bilancio più responsabili di quelle che abbiamo seguito per decenni.
L’Italia sta già spendendo tanto.   Ma le spese decise saranno sufficienti ad evitare un risultato catastrofico ?   Difficile da dire.   La revisione del dato sulla caduta della crescita del PIL del primo trimestre da -4.8 a -5.3 per cento non è una buona notizia.   È molto difficile prevedere la rapidità della ripresa e se e quando molti settori ritorneranno ai livelli pre-crisi.   Per alcuni, per esempio il turismo, ci vorranno sicuramente molti anni.   È possibile che nuovi interventi possano rivelarsi necessari ancora nel corso del 2020.   Ma questo non farebbe che aumentare la necessaria attenzione sulle spese dei prossimi anni.   La necessità di stabilire priorità e fare scelte sarebbe ancora più grande.
LE DIFFICILI SCELTE DI BILANCIO Cosa fare dei nostri soldi.ultima modifica: 2020-06-03T10:59:18+02:00da bezzifer
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