Da uno vale uno a uno vale zero!

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Com’era quella locuzione partenopea che definisce l’uomo che non vale nulla? Non ricordo proprio; magari mi verrà in mente durante la riflessione che sto per sviluppare.

Vorrei provare a riflettere sul concetto di responsabilità e, in particolare, sulla responsabilità “in solido” di chi è a capo di una struttura, sia essa un reparto ospedaliero o una grande azienda o, ancora, perfino un Ministero.

Chi è chiamato a dirigere una struttura complessa (ospedaliera, amministrativa, pubblica, ecc.) pone su di sé la responsabilità degli atti che quella struttura compie, sia in ordine civile che penale.

Chi è nominato Ministro, al contrario, ma entro certi limiti, non ha responsabilità civili o penali dovendo rispondere dei suoi atti esclusivamente al proprio elettorato. Tuttavia non è sempre così e il caso di Matteo Salvini, coinvolto nel processo per “sequestro di persona” allorché ha impedito lo sbarco di alcuni migranti è paradigmatico. Sulla vicenda si sta celebrando il processo e i giuristi sono divisi tra “colpevolisti” e “innocentisti”.

Ho voluto citare il caso Salvini soltanto per introdurre il concetto di “responsabilità”, ma non è su di lui e sulle sue vicende che mi preme in atto riflettere; mi interessa, piuttosto, un caso – il caso, anzi – che sta facendo discutere la diplomazia italiana. Mi riferisco al feroce assassinio dell’Ambasciatore italiano Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e del loro autista Mustapha Milambo.

Nella relazione in Parlamento il ministro degli esteri Luigi Di Maio ha dichiarato e chiarito che “la sicurezza dell’Ambasciata a Kinshasa è assicurata da due Carabinieri in missione quadriennale ai quali si aggiungono due carabinieri in missione di tutela che si alternano regolarmente per periodi di 180 giorni. Il Carabiniere Vittorio Iacovacci rientrava in questa seconda tipologia e per questo aveva accompagnato l’Ambasciatore nella missione Onu a Goma e aveva con sé la pistola di ordinanza”.

Poi ha proseguito chiarendo che “La missione si è svolta su invito delle Nazioni Unite. Quindi, anche il percorso in auto si è svolto nel quadro organizzativo predisposto dal Programma Alimentare Mondiale”.

Nella sua relazione in Parlamento Luigi Di Maio ha parecchio indugiato nella descrizione delle modalità dell’agguato, non si è risparmiato nell’esprimere il cordoglio e la costernazione dello Stato per i familiari delle vittime, ma non ha neanche lontanamente accennato alle sue personali responsabilità di Ministro tacendo dettagli importantissimi, illustrati in modo particolareggiato da Paolo Guzzanti nelle colonne de “Il Riformista” (al quale si rimanda chi volesse approfondire).

Per esempio il ministro Di Maio nulla ha riferito sul fatto che la Farnesina fosse a conoscenza dei rischi insistenti nell’area del Parco del Virunga fin dal 2018 perché letteralmente tempestata dai rapporti dei servizi segreti; nulla ha riferito sul fatto che l’Ambasciatore Luca Attanasio avesse chiesto, tanto al governo congolese quanto a quello italiano (del quale Di Maio è, a tutti gli effetti, Ministro) l’invio di un’auto blindata senza che le sue richieste abbiano portato alla soluzione più ragionevole e protettiva.

Perché – è il caso di chiarirlo – l’ambasciatore Attanasio non è stato ucciso durante una gita di piacere, non è stato ucciso perché ha deciso di fare una passeggiata per i luoghi incantevoli del Parco del Virunga, ma è stato ucciso nel corso di una attività istituzionale in rappresentanza dell’Italia. E, paradossalmente, in rappresentanza dello stesso ministro Di Maio che se n’è infischiato di proteggerlo avendo ritenuto sufficiente un contingente di quattro carabinieri (dicasi: quattro!) armati della pistola d’ordinanza.

È ovvio che Luigi Di Maio non ha responsabilità personali (civili o penali) su quanto accaduto; ci mancherebbe. Tuttavia ha una precisa e indiscutibile responsabilità politica e, qualora non la sentisse, una precisa responsabilità etica.

Capisco che parlare di etica a un 5 stelle come Luigi Di Maio equivale a parlare di astrofisica con uno studente di terza media, ma ritengo sia il caso di insistere su questo argomento, visti anche gli attacchi che Italia Viva e Matteo Renzi hanno ricevuto in tema di politica estera.

Abbiamo avuto modo di leggere le farneticanti e aberranti dichiarazioni di Alessandro Di Battista affidate a alcuni post di Facebook e pubblicate (in parte) su una nota testata online per la vicenda della relazione che Renzi ha tenuto in Arabia Saudita; vicenda ampiamente chiarita sia su varie testate giornalistiche, che – più recentemente – nella sua e-news.

Senza nulla (o molto poco) conoscere della situazione in Arabia Saudita, Matteo Renzi è stato attaccato tanto dal dissidente 5 stelle Di Battista, quanto dai massimalisti della sinistra Radicale perché ha osato, pur senza violare alcuna legge, tenere una relazione in quel Paese. Relazione pagata da una fondazione sul cui reddito sono state pagate regolarmente le imposte previste dal nostro ordinamento fiscale.

Del resto – ed è bene chiarirlo – intrattenere rapporto o l’essere relatore non equivale a condividere né la politica dello Stato che lo ha ospitato, né le eventuali operazioni critiche come, per esempio, il coinvolgimento nell’omicidio Khashoggi. Per anni (molti anni) il Partito Comunista Italiano ha retto il gioco a Stalin e nessuno ha mai detto nulla, anzi Palmiro Togliatti ha pronunciato le parole “Gloria al compagno Stalin”!

Chiaramente attaccare Renzi e Italia Viva è l’attività preferita da chi esercita con puntualità l’esercizio del “sospetto preventivo” di Costantino Lazzari per cui qualsiasi cosa dica o faccia Renzi (e Italia Viva) non può non destare diffidenza perché sulla sua figura politica e umana è stata architettata la peggiore e metodica character assassination. Ciononostante i commentatori di politica estera potrebbero dedicare qualche secondo della propria attività anti-Renzi per sviluppare semplici ragionamenti sulle responsabilità politiche ed etiche del Ministro degli Esteri in carica.

Gli esempi, anche recenti, li abbiamo. Nel 2012 in Libia hanno perduto la vita l’ambasciatore e tre funzionari americani. I Servizi Segreti americani avrebbero avvertito il Dipartimento di Stato del rischio dell’attacco e, quando la notizia è stata di dominio pubblico, l’allora ministro degli esteri americano, Hilary Clinton, si è dimessa. Dieci anni prima, in Italia, il Ministro degli interni Claudio Scajola si è dimesso dietro l’invito di Silvio Berlusconi allora Presidente del Consiglio, a seguito della scorta negata a Marco Biagi, ucciso a Bologna dalle Nuove Brigate Rosse il 19 marzo 2002.

Sul Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, oggi, pesa questa grande responsabilità politica ed etica e le sue dimissioni dovrebbero essere il regolare e dignitoso epilogo della triste vicenda che è costata la vita a Attanasio, Iacovacci e Milambo.

Naturalmente – c’è da aspettarselo – non rassegnerà alcuna dimissione dimostrando plasticamente due aspetti della sua personalità e del suo spessore politico e istituzionale:

  • “Uno vale zero”, nel suo caso;
  • Essere la migliore rappresentazione della locuzione partenopea che, nel corso della stesura di questa riflessione mi è venuta in mente, ma che – per decoro – evito di citare.

Così va il mondo!

Da uno vale uno a uno vale zero!ultima modifica: 2021-02-28T16:59:10+01:00da bezzifer
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