Archivi autore: bezzifer

Enews DI MATTEO RENZI | Il segreto di rustichella

Qualche notizia in flash

1. Soldi alla serie A. La mia Enews di ieri ha provocato molte polemiche sulla vicenda degli aiuti alla serie A. La mia posizione la conoscete: diamo quei soldi alle società sportive dei dilettanti e alla cultura. Oggi mi ha attaccato su questo il senatore di Forza Italia Lotito, un uomo che ha un conflitto di interesse su questa vicenda grande come una casa, essendo anche proprietario della Lazio. Finché le società saranno gestite in modo chiuso come dimostra l’incapacità di incamerare risorse dai diritti televisivi, il calcio italiano sarà condannato a perdere. Anziché chiedere la rateizzazione a spese del contribuente, le aziende del calcio imparino a gestire bene i bilanci. E lascino i soldi a chi ne ha bisogno! Qui il mio video durante l’assemblea.
2. 18 app. Il bonus 18enni voluto dal mio Governo sta diventando un modello in tutta Europa. Dopo la Francia, anche la Germania. Ne ho parlato in assemblea. Ne parlerò nei prossimi giorni ai ragazzi di TikTok. Sulla cultura bisogna investire, non fare come chi dice “con la cultura non si mangia”.
3. A proposito di TikTok. Il video della benzina e di Giorgia Meloni ha fatto il botto: oltre un milione e mezzo di visualizzazioni. Un milione e mezzo!!! Mi colpisce come una notizia che i grandi media non hanno voluto considerare possa diventare virale solo grazie a TikTok. Mi fa riflettere, molto riflettere. Ci sono notizie di cui i grandi media non parlano che diventano notizie solo per i social. Qui il link per InstagramtelegramYouTube.
4. Il segreto di rustichella. Oggi Giuseppe Conte è intervenuto sulla vicenda autogrill in una intervista al quotidiano l’identità diretta da Tommaso Cerno. E Conte dice che viene a conoscenza del fatto quando sta finendo l’esperienza del Governo. La cosa è interessante. Ma come faceva Conte a sapere dell’incontro all’autogrill con Mancini “verso la fine del suo governo”, quando la notizia diventa pubblica a maggio del 2021? A maggio 2021 il premier era già Draghi da tre mesi… strano, no? Conte si confonde oppure mente oppure nasconde qualcosa? La vicenda de Il Mostro continua a essere più attuale che mai…
5. Iran. Ieri Alessia Piperno ha scritto un post bellissimo sull’Iran. Lo condivido con voi ricordando che chi si dimentica delle ragazze iraniane o di quelle afghane o di quelle curde non si sta dimenticando solo di loro. Si sta dimenticando anche di noi. Di ciò che siamo, di ciò che vogliamo essere.

Share

Meloni teme Travaglio e i magistrati: “Assoluzione inappellabile? Non si può”


AMORE DE COCCA! ERA BELLO SBRAITARE FACENDO DA SPALLA A QUELLO CHE ORA TU TEMI ORA CHE SEI AL POTERE! PENSA COSA HA PASSATO E PASSA TUTTORA RENZI,DA QUANDO ERA AL TUO POSTO! MA IL RENZI NON LO TEME, ANZI LO DENUNCIA LO QUERELA,PERCHE HA LA COSCIENZA PULITA E ONESTO.STA DI FATTO CHE FIN ORA HA VINTO TUTTE LE CAUSE CON IL TRAVAGLIATO.CIAO COCCA.

Giorgia Meloni è letteralmente terrorizzata da Marco Travaglio e dai pm di Magistratura democratica. Per evitare qualsiasi incidente di percorso non darà mai il via libera ad una legge che preveda l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione”. A rivelarlo è un parlamentare di Forza Italia, che per ovvi motivi preferisce restare anonimo, commentando con il Riformista la decisione del governo di stoppare l’emendamento presentato dal senatore azzurro Pierantonio Zanettin sull’inappellabilità della sentenze.

L’emendamento, inizialmente dichiarato ammissibile dalla Commissione giustizia di Palazzo Madama, è stato congelato l’altro giorno dal governo che ha fatto sapere di essere assolutamente contrario. Un dietrofront giustificabile solo con il timore di una possibile campagna stampa orchestrata dal Fatto Quotidiano con il contorno degli strali dei pm di Magistratura democratica che già non perdono occasione per attaccare il governo di destra centro sulla giustizia. Meloni, dopo aver fiutato l’aria, avrebbe preferito glissare, mandando avanti il suo fedelissimo Andrea Del Mastro, sottosegretario alla Giustizia. Doccia fredda per Zanettin che era pronto a portare a casa una storica proposta di Forza Italia.

Nei confronti del senatore vicentino, ex componente laico del Consiglio superiore della magistratura, pare essere scattata in queste ore una moral suasion per fargli ritirare l’emendamento, trasformandolo in un banale ordine del giorno in cui si invita l’esecutivo ad attuare una riforma delle impugnazioni. L’emendamento, comunque, al momento di andare in stampa non è stato ritirato. Ciò che sta accadendo in Senato stride con quanto dichiarato fino a qualche settimana fa dal ministro della Giustizia Carlo Nordio il quale in un’intervista aveva affermato come fosse possibile condannare in appello qualcuno che “è stato già assolto in primo grado”. Un assist all’inappellabilità delle sentenze era arrivato anche dalla Commissione per la riforma penale presieduta dal presidente emerito della Corte Costituzionale Giorgio Lattanzi. Secondo l’ex numero uno della Consulta l’inappellabilità delle sentenze è “compatibile con il quadro costituzionale”. Una copertura giuridica di altissimo livello che avrebbe messo il governo al riparo delle critiche da parte dei giureconsulti del Fatto Quotidiano.

Per FI il ritiro dell’emendamento sarebbe uno smacco clamoroso anche perché l’inappellabilità delle sentenze, oltre ad essere nel programma elettorale, era stata oggetto di una clip di Silvio Berlusconi“Quando governeremo noi, le sentenze di assoluzione, di primo o di secondo grado, non saranno appellabili. Un cittadino – una volta riconosciuto innocente – ha diritto di non essere perseguitato per sempre”. Forse proprio il timore che questa riforma possa servire all’ex premier ha messo in allerta Meloni. Lo scorso fine settimana, infatti, dalle parti del Fatto avevano già affilato le armi, scrivendo in un articolo che se fosse stata approvata la norma si sarebbe applicata al Ruby ter in corso a Milano. Processo per il quale la sentenza non è stata pronunciata ma che Travaglio e soci ritengono, evidentemente, che possa essere solo di assoluzione.

La decisione di Meloni rischia di rinnegare quanto fatto da An su questo tema. L’onorevole Antonino Caruso, quando venne approvata la legge Pecorella, affermò euforico che da ora in avanti non ci sarebbero più state “persecuzioni giudiziarie a danno di cittadini chiamati a difendersi anche se prosciolti”. E quando la legge Pecorella venne poi bocciata dalla Consulta, Giuseppe Consolo, altro esponente di punta di An, dichiarò che “certamente sarà colpa mia, ma per quanto mi sforzi di comprendere, non so come sia giustificabile tale importante decisione”.

Sarà interessante, allora, sentire cosa dirà questa mattina Nordio in Commissione giustizia al Senato dove è atteso per un intervento sulle “linee programmatiche”. Il condizionamento di Travaglio avrà fatto effetto anche nei suoi confronti? Comunque vada, i primi passi del governo in tema di giustizia non sono entusiasmanti. E che il clima nella maggioranza non sia dei migliori lo dimostra il fatto che il Guardasigilli non ha ancora, a distanza di due mesi dal suo insediamento, assegnato le deleghe al suo vice ministro Francesco Paolo Sisto (FI) e ai sottosegretari Andrea Ostellari (Lega) e Andrea Del Mastro (Fd’I).

Share

Vigilanza Rai, Ricciardi del M5s stoppato da Fi. Asse con Renzi per la Boschi

Dopo la nomina al Copasir di Guerini (Pd), la strada per la tv pubblica ai grillini sembrava in discesa, ma ora tutto si riapre.

Vigilanza Rai, prove d’intesa tra governo e terzo polo su Boschi

Prove di intesa tra una parte del governo e il terzo polo. La partita delle nomine si riapre e rischia di far saltare l’accordo tra Pd M5s, che avevano deciso di spartirsi le poltrone. Ma Lorenzo Guerini dei dem – si legge su Repubblica – è stato eletto al Copasir e ufficializzato, mentre l’altra poltrona, quella della presidenza della commissione di Vigilanza Rai destinata ai grillini adesso è tornata in bilico, dopo che Forza Italia ha stoppato il nome di Riccardo Ricciardi, indicato da Conte. Renzi si è messo di traverso, candidando Boschi e trovando l’appoggio di Fi.

Il problema adesso – prosegue Repubblica – per Ricciardi e soprattutto per Conte, è la tenuta della maggioranza. Renzi ha già lanciato sottotraccia Boschi. E FI in queste ore apre: “Ci si può ragionare, ci sarà un incontro”, trapela dal partito azzurro. Il primo flirt col Terzo Polo sulle nomine c’è stato ieri: al Copasir, il renziano Ettore Rosato è stato eletto segretario con l’appoggio decisivo della maggioranza. Il M5S ha votato per il candidato grillino, insieme a un pezzo del Pd. Renzi per ora non si fa troppe illusioni. “Un segretario non si nega a nessuno, ma per la Vigilanza hanno chiuso sui grillini“, ripete ai suoi. C’è ancora margine per trattare, però. Il voto in Vigilanza dovrebbe essere calendarizzato la prossima settimana.

RICAPITOLANDO! Con Lorenzo Guerini eletto presidente del Copasir l’asse Pd-Movimento 5 Stelle prova a rinsaldarsi. Se l’esponente dem, ex ministro della Difesa ed elemento di spicco della corrente di ‘Base Riformista’, guiderà il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, un esponente del partito pentastellato dovrebbe ritrovarsi a capo della Vigilanza Rai.

Ma il condizionale è d’obbligo perché il Terzo Polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda starebbe lavorando sottotraccia per lanciare un loro candidato (il nome caldo è quello di Maria Elena Boschi) alla guida della Commissione di controllo sulla tv pubblica, per prassi assegnata ad esponenti dell’opposizione.

Guerini è stato eletto presidente “a larga maggioranza”, come riferisce il deputato del Copasir Giovanni Donzelli (Fratelli d’Italia), a sua volta nominato vice presidente. Eletto segretario invece a Ettore Rosato di Azione-Iv, la cui candidatura sarebbe stata votata anche dalla maggioranza, con un’operazione – sottolinea l’agenzia LaPresse – che potrebbe preludere a un’offensiva di Carlo Calenda e Matteo Renzi sulla Vigilanza Rai. Un primo, vero, segnale lanciato a Conte.

Share

Mes, Renzi: c’è emergenza sanità ma Meloni e Conte dicono di no

 Potrebbe essere un'immagine raffigurante 1 persona e il seguente testo "MATTEO RENZI OSPITE A #CARTABIANCA MARTEDÌ 6 DICEMBRE ORE 21.55 Rai 3 renew europe."

“O Meloni non controlla la sua maggioranza oppure ha comprensibilmente delle incertezze” ma “c’è una questione che va risolta: abbiamo un’emergenza sanità e ci sono da prendere 37 miliardi del Mes sanitario. Meloni dice no perché sono soldi europei, anche Conte dice di no, io dico sì”. Lo ha detto il leader di Italia viva, Matteo Renzi, a ‘Cartabianca’ su Rai3.

A proposito di Conte ‘’Oggi l’ex presidente del Consiglio Conte ha rilasciato un’intervista a un quotidiano e ha detto che quando gli arrivò la notizia dell’Autogrill, quindi dell’incontro Mancini-Renzi, era alla fine dell’esperienza di governo, si trattava di una questione che riguardava me, c’era una polemica politica e ha ritenuto di starne fuori. C’è un piccolo particolare, che quando è uscita la notizia dell’Autogrill non era più presidente del Consiglio’’. Lo ha detto l’ex premier Matteo Renzi a margine dell’udienza Consip a Roma dove è stato chiamato a testimoniare.

‘’Conte data questo momento tra dicembre e gennaio ma la domanda è chi gli ha detto a gennaio dell’autogrill? Questa è una bomba che oggi nessuno sta considerando. Ci sono tre possibilità – ha aggiunto il leader di Italia Viva – o Conte si è confuso sulle date, gennaio ed era maggio, più difficile che si sia confuso sullo stato d’animo. O Conte si confonde, o Conte mente, e non voglio crederlo, o Conte nasconde qualcosa. La domanda è ‘Conte aveva contezza dell’incontro con Mancini mentre era presidente del Consiglio?’. Non ci sarebbe niente di male ma aprirebbe tutta un’altra luce su questa vicenda’’.

Lo ha detto il leader di Italia viva, Matteo Renzi, a ‘Cartabianca’ su Rai3.

Share

Processo Consip, Renzi: “In questa vicenda troppe cose che non tornano”

“Ci sono troppe cose che non tornano in questa vicenda. E’ una vicenda che parte da Ischia (indagine Cpl Concordia, ndr) dove non c’entravamo nulla e in molti dicevano da ‘Napoli arriverà un siluro per Renzi’. Io non credo ai complotti ma troppe cose non tornano in questa vicenda”. Così l’ex premier Matteo Renzi sentito come testimone al processo Consip a Roma, che vede tra gli imputati Tiziano Renzi, padre del leader di Italia Viva.

L’audizione di Matteo Renzi davanti all’ottava sezione penale di Roma, iniziata poco dopo le 15.30, inizialmente fissata per la scorsa settimana, era poi slittata per impegni all’estero. Nel procedimento sono imputati, tra gli altri, anche l’imprenditore Alfredo Romeo, l’ex parlamentare Italo Bocchino, il manager Carlo Russo, l’ex ministro Luca Lotti e l’ex generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia.

“La verità è che mio padre non ha preso un euro da Romeo. Mentre invece ha preso migliaia di euro da Marco Lillo e da Il Fatto quotidiano”, ha detto Renzi a margine dell’udienza Consip.

“Oggi mi sento in colpa per non aver creduto a mio padre. In questa vicenda ho fatto il capolavoro di non credere a mio papà mettendo a dura prova il rapporto padre-figlio su una vicenda che politicamente non esiste. La vicenda vera è quella delle mascherine, quelli sono appalti importanti”, ha detto durante l’audizione.

“Con mio padre ho avuto qualche discussione – ha aggiunto l’ex premier rispondendo alle domande del pm Mario Palazzi- Leggo su un quotidiano che mio padre avrebbe fatto un incontro in una bettola segreta e allora chiamo mio padre e alzo un po’ la voce. Mio padre però non me lo vedevo a fare il traffichino, e infatti gli unici soldi che ha preso sono quelli delle cause per le diffamazioni. Politicamente la Consip ma chi la seguiva? Ci sono troppe cose che non tornano in questa vicenda”. Alla domanda del pm su chi fosse il Luca a cui faceva riferimento, Renzi ha spiegato “era Luca Mirco avvocato di mio padre”.

“Ai miei ho sempre detto ‘attenti che l’unico modo con cui possono farci secchi è la via giudiziaria’”, ha sottolineato ricordando: “Io ero presidente del Consiglio quando Marco Minniti mi propose di coinvolgere un gruppo di persone, tra cui il Capitano ‘Ultimo’, nell’Aisi perché io avevo una fissazione: avevo chiesto di prendere Messina Denaro”. “Messina Denaro era, soprattutto 8 anni fa, il boss dei boss quindi dissi: ‘se riusciamo a dare un messaggio del genere facciamo un’operazione internazionale’ e ne parlai anche con l’allora presidente degli Stati Uniti”, ha spiegato Renzi. “Io dissi quindi a Minniti che non mettevo bocca sul prendere ‘Ultimo’, scopro solo dopo però che era stato preso non all’Aisi ma all’Aise. Da qui iniziano poi a venire fuori tutta una serie di elementi che renderanno la storia molto più complessa”.

“Non ho ascoltato le dichiarazioni del ministro Nordio perché ero in Commissione Esteri. Le dichiarazioni di Nordio del passato mi vedono molto convinto, poi vediamo che succederà, vedremo se si passerà dalle parole ai fatti, come ci auguriamo”, ha detto Renzi arrivando in tribunale a piazzale Clodio.

Share

Dalle intercettazioni alla separazione delle carriere, il cantiere della giustizia

Dalle intercettazioni alla separazione delle carriere, il cantiere della giustizia

Al momento il governo è impegnato nella legge di bilancio e non ci sono testi pronti ma il guardasigilli Nordio ha fissato priorità molto chiare nel suo intervento in commissione al Senato

Il presidente della Commissione Affari costituzionali, il forzista Pagano, ieri mattina uscendo dall’Aula di Montecitorio mostrava la foto dell’emiciclo con il Movimento 5 stelle isolato sul no a un ordine del giorno di Azione che prevede il monitoraggio da parte dell’ispettorato del dicastero di via Arenula sulle conferenze stampa e sui comunicati stampa delle Procure della Repubblica.

“Quello da leggere è il segnale che è arrivato oggi: per la prima volta c’è un clima in Parlamento che può portare ad una vera rivoluzione sulla giustizia. Questo clima non c’era neanche ai tempi dei governi Berlusconi”, riassume l’esponente azzurro.

Al momento il governo è impegnato nella legge di bilancio ma nella maggioranza c’è la convinzione che il 2023 sarà l’anno delle riforme della giustizia. Sono giorni che il Guardasigilli Nordio interviene sugli atti di indirizzi dell’esecutivo. Ieri lo ha fatto in maniera solenne di fronte alla Commissione competente del Senato.
Il guardasigilli ascoltato in commissione Giustizia al Senato ha riferito sulle “infinite criticità” del sistema giudiziario che sono “un freno per l’economia” con una perdita di due punti di Pil
Nordio pronto a cambiare le norme sulle intercettazioni: “Vigileremo sulla diffusione impropria”
Il guardasigilli ascoltato in commissione Giustizia al Senato ha riferito sulle “infinite criticità” del sistema giudiziario che sono “un freno per l’economia” con una perdita di due punti di Pil
“Ma al momento – spiega una fonte del governo – non ci sono testi pronti. Solo propositi, non c’è un pacchetto che arriverà a breve sul tavolo del Cdm”. Si muoverà forse prima il Parlamento. Proprio alla Camera dei deputati dovrebbe essere depositato nei prossimi giorni, secondo quanto si apprende, un disegno di legge della maggioranza che introduce la separazione delle carriere e che avrà anche il consenso del Terzo polo. Perchè sulla giustizia – inutile rimarcarlo – si potrà registrare molto più facilmente quella convergenza che si sta provando a costituire sulla legge di bilancio. Sulla separazione delle carriere, in realtà, si sta muovendo anche l’esecutivo che però poi potrebbe limitarsi ad emendare il testo che sta preparando la maggioranza.

C’è “l’esigenza di una separazione vera tra pm e giudice”, ha sostenuto anche Nordio, “non ha senso che il pm appartenga al medesimo ordine del giudice perchè svolge un ruolo diverso”.

Soddisfazione di Lega e Forza Italia

Il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Salvini ha subito fatto pervenire la sua sponda: “Bene il ministro Nordio, avanti con la separazione delle carriere e una Giustizia più giusta ed equa”. “Molto bene le dichiarazioni di Nordio. Il mio auspicio ora è che si metta subito sul tavolo la riforma costituzionale alla quale lui ha fatto riferimento”, ha fatto presente anche il presidente della Commissione Giustizia del Senato Bongiorno. Ma è soprattutto in FI che si riscontra soddisfazione. Sono lontani i tempi in cui il partito azzurro aveva delle resistenze riguardo alla casella da riempire sulla giustizia nel governo.

“Dopo la fase di oscurantismo giuridico dell’ex Ministro Bonafede, si apre davvero una stagione di speranza”, esulta per esempio il forzista Zanettin. La novità di giornata è comunque l’annuncio da parte del ministro su una stretta sulle intercettazioni. “Proporremo una profonda revisione” della disciplina delle intercettazioni e “vigileremo in modo rigoroso su ogni diffusione che sia arbitraria e impropria”, ha sottolineato Nordio ieri mattina.

Mandare al macero le trascrizioni che non servono ai fini dell’inchiesta e, invece, finiscono sui giornali, rivedere profondamente tutto il sistema: le intercettazioni attraverso la “diffusione selezionata e pilotata” sono diventate “strumento micidiale di delegittimazione personale e spesso politica”, l’affondo del ministro che ha parlato delle riforme della giustizia a tutto tondo perchè – ha rimarcato – “le criticità fanno perdere 2% del pil”.

Nordio chiede una riforma del codice penale

Tante le dichiarazioni ad effetto del Guardasigilli: “Occorre una riforma del codice penale” anche cambiando la Costituzione; “assistiamo all’uso e, talvolta, all’abuso della custodia cautelare come surrogato temporaneo dell’incapacità dell’ordinamento di mantenere i suoi propositi”; “l’obbligatorietà dell’azione penale si è tradotta in un intollerabile arbitrio”. Nordio ha ribadito poi la volontà di rivedere l’abuso d’ufficio e di ripensare l’edilizia carceraria con l’eventualità di un commissario ad hoc.

Il responsabile della Giustizia ha la piena copertura di Giorgia Meloni. “Io penso che la riforma della Giustizia sia prioritaria, non sono l’unica a pensarlo. Al di là delle questioni di merito in molti sono d’accordo. L’approccio disegnato da Nordio è ovviamente un approccio che il governo condivide”, ha rimarcato il presidente del Consiglio. “Occorre essere garantisti nel processo e giustizialisti nell’esecuzione della pena”, la linea del premier.

“Vanno superate storture come l’utilizzo improprio delle intercettazioni e il fatto che finiscano sui giornali. Sicuramente sono questioni su cui ragionare in modo serio e non ideologico”, ha continuato il presidente del Consiglio.

Anche sull’obbligo dell’azione penale, Meloni ha detto che “è un tema che io condivido, importante”. All’attacco sono i pentastellati che contestano le modifiche della maggioranza al dl rave. “In un Paese in cui il 90% delle truffe sono collegate ad appalti, mazzette e responsabilità erariali e amministrative nella Pubblica amministrazione il centrodestra crea praterie di impunità e indossa i guanti bianchi con chi inquina le Istituzioni”, l’affondo.

Nel mirino del Movimento 5 stelle l’emendamento che prevede la cancellazione dei reati contro la Pubblica amministrazione dall’elenco di quelli ostativi. Meloni, che oggi è andata all’attacco della nostra legge Spazzacorrotti”.

Share

Nordio, attacco ai pm su intercettazioni e misure cautelari

“Avvisi di garanzia usati come strumento di estromissione denigrazione di avversari politici” ad uso dei media (FATTO QUOTIDIANO&C)

– Intercettazioni da riformare “profondamente”, le misure cautelari da togliere al potere dei gip e utilizzate per “pressione investigativa“, avvisi di garanzia diventati “strumento di emissione degli avversari politici”, per non parlare dell’eterna urgenza della “separazione delle carriere” (urgenza se non fosse appena stata fatta). Sembra di ricevere un benvenuto nel 1994 (o 2001 o 2008, c’è l’imbarazzo della scelta) e invece no, è proprio il 2022. A tratteggiare così le linee guida del governo Meloni sulla giustizia è il ministro guardasigilli Carlo Nordio, peraltro ex magistrato inquirente per 40 anni, fino alla carica di procuratore aggiunto di Venezia. La sua audizione in commissione al Senato, quando arriva alle intenzioni dell’esecutivo di centrodestra sulla riforma del penale, si trasforma in un lungo attacco ai pm.

Sulle intercettazioni, intanto: serve una “profonda revisione“, dice, e “vigileremo in modo rigoroso su ogni diffusione che sia arbitraria e impropria”. Secondo il ministro attraverso una “diffusione selezionata e pilotata” le intercettazioni sono diventate “strumento micidiale di delegittimazione personale e spesso politica“. Anzi, Nordio assicura che sarà “estremamente rigoroso“: “Ogni qualvolta un domani usciranno violazioni del segreto istruttorio in tema di intercettazioni l’ispezione sarà immediata e rigorosa. Non è ammissibile che le conversazioni che riguardano la vita privata di cittadini che non sono nemmeno indagati finiscano sui giornali”. Le definisce “violazioni blasfeme dell’articolo 15 della Costituzione” che tutela la libertà e la segretezza delle comunicazioni. Per il ministro guardasigilli “in Italia il numero di intercettazioni telefoniche, ambientali, direzionali, telematiche, fino al trojan e un domani ad altri strumenti, è di gran lunga superiore alla media europea, e ancor più rispetto a quello dei paesi anglosassoni. Il loro costo è elevatissimo, con centinaia di milioni di euro all’anno. Gran parte di queste si fanno sulla base di semplici sospetti, e non concludono nulla”. E qui si intravvede un possibile taglio al budget, insomma. Ma la critica di Nordio va al mero utilizzo dell’intercettazione: “Non si è mai vista una condanna inflitta sulla sola base delle intercettazioni, che dovrebbero esser un mezzo di ricerca della prova, mentre sono diventate uno strumento di prova“. Quello che durante l’audizione non viene detto è che l’Italia è l’unico Paese europeo in cui le intercettazioni vengono autorizzate da un giudice terzo (il giudice per le indagini preliminari).

Più in generale secondo il ministro della Giustizia “la presunzione di innocenza è stata e continua a essere vulnerata in molti modi” e, anzi, “l’azione penale diventata arbitraria e quasi capricciosa“. Il problema è che l’eventuale eliminazione dell’obbligo dell’azione penale espone al rischio che la priorità sui reati da perseguire sia indicata dalla politica. Una deriva già inaugurata dalla riforma del processo penale del governo Draghi, che ha previsto che il Parlamento debba definire ogni anno le priorità delle Procure.

Nordio sembra suonare tutta la musica più dolce per le orecchie dei partiti che l’hanno nominato ministro, fino ad arrivare all’acme, il cavallo di battaglia di molte campagne elettorali berlusconiane, cioè la persecuzione giudiziaria dei politici: “L’adozione della custodia cautelare come strumento di pressione investigativa, lo snaturamento dell’informazione di garanzia diventata condanna mediatica anticipata e persino strumento di estromissione degli avversari politici“. Per il ministro una soluzione può essere togliere il potere dell’ordinanza di custodia cautelare ai giudici per le indagini preliminari (dei tribunali di competenza) per darlo a “una sezione costituita” della Corte d’appello: “Avremmo – sottolinea – l’enorme vantaggio di una maggiore ponderatezza della decisione e anche di omogeneità di indirizzo”. Da capire come sarebbe possibile concretamente perché un’unica sezione regionale si dovrebbe occupare delle richieste di custodia cautelare (e non ci sono solo gli arresti ma anche obblighi di firma, divieti di dimora e così via) provenienti da diverse Procure: si può solo immaginare il carico di lavoro in Regioni come Sicilia, Calabria, Campania, Puglia, Lombardia, Lazio.

“Il paradosso più lacerante – spiega ancora Nordio – è che, tanto è facile oggi entrare in prigione prima del processo, da presunti innocenti, quanto è facile uscirne dopo la condanna, da colpevoli conclamati. Orbene, la custodia cautelare, proprio perché teoricamente confligge con la presunzione di innocenza, non può essere demandata al vaglio di un giudice singolo”. Da qui l’impegno del guardasigilli per una riforma del codice penale per adeguarlo al dettato costituzionale e una completa attuazione del Codice Vassalli (che dall’inizio degli anni Novanta ha riformato la procedura penale) per sostituirli attraverso una “riforma garantista e liberale” da realizzare anche con una “revisione della Costituzione“.

Grande ritorno anche per la separazione delle carriere, come il prezzemolo nei programmi di governo di centrodestra. “Non ha senso che il pm appartenga al medesimo ordine del giudice perche svolge un ruolo diverso” dice Nordio in commissione. Con il codice di procedura penale del 1988 il cambiamento è stato sostanziale: “Il pm è una parte pubblica, ma pur sempre una parte. Dunque non ha senso che appartenga in tutto e per tutto al medesimo ordine del giudice”, ha detto Nordio. Una revisione dell’insieme “è ineludibile“, secondo Nordio, e “un progetto ragionevole dovrebbe prevedere l’avvio della pratica forense già all’università”, come accade per medicina. Quindi un passaggio sul Csm e le nomine ai vertici degli ufficio giudiziari sulla base “di giudizi sulla sapienza giuridica”, che “non sempre coincide con l’attitudine manageriale” e “anche qui bisognerà intervenire”. Infine, si è soffermato sul giudizio disciplinare, un “nodo problematico”, secondo Nordio perché i componenti della sezione disciplinare “sono eletti con criteri di appartenenza correntizia da quegli stessi magistrati che vengono poi giudicati”. Un passaggio di “buon senso”, secondo Nordio, “può essere lo spostamento del giudizio disciplinare dal Csm a una Corte disciplinare terza, non elettiva e individuata con criteri oggettivi, per esempio tra ex presidente della Cassazione o di alte giurisdizioni o ex giudici della Consulta nominati dal capo dello Stato”. Va ricordato che una riforma in direzione della separazione delle carriere è già in vigore per effetto della legge Cartabia che prevede un limite drastico ai passaggi di funzioni tra giudici e pm: d’ora in poi sarà possibile esercitare questa facoltà una sola volta (al momento è possibile farlo per quattro volte) e il passaggio dovrà avvenire nei primi dieci anni di carriera. Di fatto si tratta di una separazione quasi totale tra i due ruoli.

Sullo sfondo c’è sempre la riforma dell’abuso d’ufficio, sulla quale peraltro il governo sa che potrebbe avere terreno fertile in Parlamento anche per il fatto che si tratta di un reato contestato in particolare agli amministratori locali che, com’è evidente, appartengono a tutti i partiti. Ma dall’abuso di ufficio alla corruzione il passo è breve: “Ho maturato la convinzione – sottolinea il ministro – che l’intimidazione della norma penale sia solo platonica. Lo Stato deve prevedere pene molto severe per i gravi reati, il giudice le deve erogare in modo equo, vanno eseguite in modo certo. Ma per quanto riguarda l’abuso d’ufficio, e quello che ne consegue, abbiamo statistiche allarmanti: abbiamo avuto 5.400 procedimenti nel 2021, si sono concluso con 9 condanne davanti al gip e 18 in dibattimento”. Le indagini hanno dimostrato la diffusione della corruzione, ha detto Nordio in un passaggio del suo intervento, “ma purtroppo i rimedi si sono dimostrati peggiori dei mali. Abbiamo avuto l’aumento di pene, nuovi reati, con fattispecie vaghe e la legge delle sospensione delle cariche pubbliche denota una manifesta iniquità”. Per Nordio “le nostre leggi sono troppo numerose per essere conosciute e troppo contraddittorie per essere applicate. La loro incertezza è sinonimo di corruzione”.

Naturalmente Nordio riceve l’approvazione di Forza Italia: per Pierantonio Zanettin (ex componente del Csm e ora tornato in Parlamento come senatore) il voto è “dieci e lode”. “Si apre davvero una stagione di speranza ispirata dai principi dell’articolo 27 della Costituzione” spiega il forzista. Applausi – ma ormai non è più una notizia – anche dal polo centrista Azione-Italia Viva. Enrico Costa, vicesegretario calendiano, non sta nella pelle: “Nordio al Senato ineccepibile“. A Ivan Scalfarotto le parole del ministro “fanno veramente piacere“.

Meno entusiasta è Libera: “Il ministro – si legge in una nota dell’associazione antimafia – sottolinea l’inutile severità delle sanzioni previste per i reati di corruzione, dimenticando che le cause della loro inefficacia risiedono nella scarsa probabilità che quelle pene siano applicate, ossia il regime della prescrizione e le storture selettive di un sistema giudiziario da sempre indulgente coi crimini dei potenti. Se si considera anche l’innalzamento della soglia per l’uso dei contanti, che favorirà la creazione di provviste in nero, nonché l’auspicata abrogazione dell’abuso d’ufficio e una non meglio precisata riforma complessiva dei reati contro la pubblica amministrazione, evocate nei giorni scorsi dal premier Meloni, sembra delinearsi una precisa strategia di indebolimento degli strumenti anticorruzione”.

In Aula, in commissione, a rispondere a Nordio era stato Roberto Scarpinato, senatore del M5s ed ex procuratore generale di Palermo, che mette in fila riforma dell’abuso d’ufficio, l’annunciata riforma di alcuni reati contro la Pubblica amministrazione, la questione del tetto ai contanti e il taglio di spesa alle intercettazioni per dire che sono tutte “intenzioni” che “determinano, insieme all’assenza di leggi adeguate sul conflitto di interessi e sul lobbismo, un depotenziamento della capacità di risposta dello Stato al fenomeno della corruzione nelle sue molteplici declinazioni”. “Ci domandiamo – ha aggiunto Scarpinato – se avete valutato i costi economici per il Paese di questo depotenziamento della risposta penale nella fase storica in cui le ingentissime risorse economiche del Pnrr hanno mobilitato gli interessi di comitati di affari, delle mafie, di articolate reti corruttive che operano nell’ombra della massoneria deviata. Il governo è consapevole del concreto pericolo che ingenti somme di denaro vengano distratte dalle finalità pubbliche e disperse nel buco nero della corruzione e della gestione clientelare del potere pubblico? Con queste vostre intenzioni la strada intrapresa è sbagliata e pericolosa”

Share

Giustizia, Anm già all’attacco. Ma il Terzo Polo apre alla riforma di Nordio

Dal Terzo Polo arriva a un’importante apertura al governo nell’ambito della riforma della giustizia. Ieri il ministro Carlo Nordio ha fatto un intervento di rilievo annunciando che intende portare avanti una “profonda revisione” dello strumento delle intercettazioni, che in diverse occasioni finiscono per essere uno “strumento micidiale di delegittimazione personale e politica”. In tal senso si sono verificate due reazioni diametralmente opposte: da una parte Azione e Italia Viva non escludono la sponda; dall’altra l’Anm fa muro.

L’apertura del Terzo Polo

 

Per Carlo Calenda le parole del Guardasigilli sulle intercettazioni “sono completamente condivisibili”. Il senatore Matteo Renzi ha precisato di non aver ascoltato le parole del ministro Nordio perché era in Commissione Esteri, ma ha voluto comunque far notare che le prese di posizione di Nordio del passato “mi vedono molto convinto”. L’auspicio del leader di Italia Viva è che si possa passare “dalle parole ai fatti”.

D’altronde è stato lo stesso Renzi pochi giorni fa a paventare la possibilità di votare la riforma della giustizia in senso liberare, tra presunzione d’innocenza e certezza della pena: “Se fa quello che ha detto, la voterei”. Non a caso l’ex presidente del Consiglio ha più volte definito Nordio “la migliore scelta del governo“. Si prospetta dunque un asse tra governo e Terzo Polo su un fronte caldo come quello della giustizia.

Come fatto notare da Stefano Zurlo su ilGiornale in edicola oggi, le parole pronunciate da Nordio non hanno osservato il politically correct e hanno finito per far scricchiolare l’impianto della giustizia del nostro Paese. Il sistema va profondamente cambiato, anche infrangendo antichi tabù, con una serie di modifiche che si muove in molte direzioni avendo alla base sempre l’orientamento garantista.

Il “no” dell’Anm

La reazione dell’Associazione nazionale magistrati è del tutto differente. A far trapelare una chiusura nettissima è direttamente il presidente Giuseppe Santalucia, che non condivide la tesi secondo cui talvolta le intercettazioni vengono utilizzate in maniera eccessiva e strumentale: “Non posso condividere un approccio di questo tipo. Rappresentano uno strumento di contrasto importantissimo”.

Altro tema cruciale affrontato da Nordio è quello relativo all’obbligatorietà dell’azione penale: il ministro ritiene che si è tradotta in un “intollerabile arbitrio” e che il pm “può trovare spunti per indagare nei confronti di tutti senza rispondere a nessuno”. Il presidente dell’Anm, intervistato da La Repubblica, ha preso le distanze e ha rimarcato con forza la sua opinione: “Davvero non riesco a comprendere un giudizio così pesante che, a questo punto, andrebbe almeno circostanziato”.

Un’ulteriore questione aperta riguarda la separazione delle carriere. Per il Guardasigilli “non ha senso” che il pubblico ministero appartenga al medesimo ordine del giudice perché “svolgono un ruolo completamente diverso”. Anche sul punto della separazione delle carriere tra giudicante e inquirente si conferma la contrarietà (storica) dell’Anm: “Il pubblico ministero finirebbe per essere collocato sotto il controllo politico del governo”.

Share

Non solo Gori.La conversione anticapitalista del Pd spinge democratici e riformisti a cercare il Pd altrove

Che vinca Schlein o meno, in caso di abbraccio strategico definitivo con i post-populisti di Conte, finirebbe il partito pensato e costruito come soggetto dell’innovazione dentro il sistema liberale.

Ha destato un po’ di scalpore una frase pronunciata qualche giorno fa da Giorgio Gori: «Se vince Elly Schlein potrei lasciare il Pd». In realtà il ragionamento del sindaco di Bergamo era un po’ più articolato. E se ci si riflette senza nervosismo o pregiudizi, si scopre che è un discorso logico, quasi lapalissiano.

Se cambiassero i fondamentali culturali e politici del Partito democratico, se cioè il partito fondato nel 2007 dovesse assumere caratteristiche da partito estremista, anticapitalista, neutralista, magari manettaro (di solito tutte queste cose si tengono insieme), perché un liberaldemocratico dovrebbe restarvi? Se in conseguenza di questo nuovo impianto il Partito democratico finisse per scegliere l’abbraccio strategico definitivo con i post-populisti di Giuseppe Conte, che cosa ci starebbe a fare chi ritiene tuttora valida la vocazione maggioritaria di un partito nazionale, democratico e riformista?

Il problema non è nemmeno Schlein segretaria. Non è detto che una leadership della giovane italo-svizzera-americana porterebbe automaticamente un’involuzione come quella descritta. Per esempio, Elly non è affatto una giustizialista. Ma già sul suo atlantismo occorre capire meglio come la pensa – il riferimento è chiaramente al sostegno militare dell’Occidente all’Ucraina – così come c’è bisogno di chiarire se abbia in mente una ripresa in grande stile dell’alleanza strategica con il partito personale dell’avvocato del populismo. Se ritenga il mercato un nemico o non un campo da utilizzare per migliorare la società.

Dunque sta a Schlein spiegare tutte queste cose – e non c’è da dubitare che lo farà – prima di trarre conclusioni. Ma è ovvio che chiunque è autorizzato a guardare a cosa nel Partito democratico potrà succedere, tanto più un esponente autorevole come Gori e dal suo punto di vista, che non è solo il suo, ed è legittimo chiedersi se il partito di Letta stia prendendo una virata tale da stravolgere l’impianto fondamentale del partito fondato da Walter Veltroni (lo abbiamo già scritto e lo ripetiamo: perché non parla?), una conversione “antagonista” che infatti sta spingendo i big della sinistra dem ad accodarsi dietro l’icona di Schlein che pure non amano.

La candidata in altre parole dovrebbe dire se si ritrova nell’impostazione di Nadia Urbinati o di Emanuele Felice o anche di Andrea Orlando, Goffredo Bettini o Roberto Speranza (già tuonante contro «il liberismo che si è insinuato nel Pd da espungere» senza peraltro aver ancora ricevuto il mandato da parte di Articolo Uno di entrare formalmente nel Partito democratico, una delle tante bizzarrie di questa fase).

Se il congresso cambierà il volto del Partito democratico così come si è mantenuto, bene o male, in questi quindici anni trasformandosi in un soggetto non antiliberale ma anticapitalista (perché questo è il sottinteso della crociata contro l’«ordoliberismo») è chiaro che molti, non solo Gori, se ne andranno a fare il Partito democratico da qualche altra parte.

Se le cose stanno così, toccherà giocoforza a Stefano Bonaccini “difendere” il Partito democratico pensato e costruito come soggetto dell’innovazione dentro il sistema democratico-liberale: è il senso della posizione di Gori, Marco Bentivogli, Stefano Ceccanti, Giorgio Tonini e degli altri che hanno redatto il documento laburista che verrà presentato stamattina a Roma, un primo embrione di resistenza contro la “vocazione minoritaria”.

Share

I sommersi e gli evasori.Il dibattito sulla manovra e le conseguenze economiche del bipopulismo

La divisione dei ruoli tra meloniani e contiani rispecchia il modo in cui, finita l’epoca della centralità democristiana, il bipolarismo ha raddoppiato e incancrenito tutti i più regressivi compromessi sociali su cui si fonda, da sempre, la ricerca del consenso.

Di tutto il dibattito sulla legge di bilancio, l’aspetto politicamente più istruttivo è la divisione dei ruoli tra i populisti italiani. Da un lato ci sono infatti Fratelli d’Italia e Lega, che si arrampicano sugli specchi per difendere, nascondendosi dietro le solite intemerate contro le banche e la grande finanza, le norme sul pos e sull’innalzamento del limite al contante con cui vogliono rendere più facile la vita agli evasori fiscali (affinché possano da un lato incassare e dall’altro spendere senza preoccupazioni). Dall’altro lato c’è il Movimento 5 stelle, che giustamente li accusa di favorire l’evasione, salvo recitare la parte opposta sul reddito di cittadinanza, nascondendo dietro le famiglie povere che ne hanno realmente bisogno le migliaia di persone che il lavoro non lo rifiutano perché sottopagato, ma perché meno vantaggioso della possibilità di sommare reddito di cittadinanza e reddito da lavoro nero, con effetti distorsivi anche sulla concorrenza (a tutto danno degli imprenditori onesti). E lo stesso discorso, cambiando quel che c’è da cambiare, si potrebbe fare per il super bonus, con l’aggravante che qui i soldi pubblici non vanno nemmeno in piccola parte a chi ha più bisogno, ma a chi ha già perlomeno una casa di proprietà.

La divisione dei ruoli tra i populisti italiani rispecchia in un certo senso il modo in cui, finita l’epoca della centralità democristiana, il bipolarismo ha raddoppiato e incancrenito tutti i più regressivi compromessi sociali su cui si fondava e si fonda ancora oggi la ricerca del consenso.

I dettagli possono cambiare – un tempo c’erano anche le baby pensioni, quando si poteva andare in pensione a trentacinque anni, di cui le tante deroghe alla legge Fornero sono una pallida imitazione – ma il quadro è sempre lo stesso, praticamente da sempre. Un misto di corporativismo e cultura dell’illegalità talmente diffusa, radicata e trasversale da resistere a qualunque terremoto, geologico e politico, capace riemergere dove meno te lo aspetti, come l’articolo sul condono di Ischia nel decreto Genova ai tempi del primo governo Conte.

Come uscire da un simile circolo vizioso, e come farlo da sinistra, non è un problema di facile soluzione.

Perché in passato si sono tentate entrambe le strade: sia la denuncia moralistica in nome di un’altra Italia, di un partito degli onesti che tali si proclamavano per autocertificazione (ben prima di Beppe Grillo, che non ha inventato niente) squalificando pregiudizialmente, e inimicandosi politicamente, intere categorie sociali; sia il tentativo di inseguire la destra sul suo terreno, in particolare ai tempi del governo Renzi, con l’innalzamento del tetto al contante (a tremila euro, in quel caso) e con altri provvedimenti come la rottamazione delle cartelle e la voluntary disclosure.

Nessuna delle due strade ha dato grandi frutti, e siamo sempre lì. Ma le recenti tensioni con Banca d’Italia e Commissione europea, con le dichiarazioni a dir poco preoccupanti pronunciate da ministri e sottosegretari, dimostrano che il governo Meloni sta ballando sul filo del fuorigioco, e i margini per continuare come se niente fosse si stanno assottigliando.

Presto toccherà alle forze ora all’opposizione fornire una risposta al problema di cui sopra, trovare una possibile quadratura del cerchio, contemperando le esigenze del consenso e quelle del risanamento: ecco un argomento di discussione che dovrebbe interessare i dirigenti impegnati nella rifondazione del Partito democratico assai più del tasso di liberismo contenuto nel manifesto del 2007 o del rapporto tra pratica e teoria rivoluzionaria in Lenin.

Share