Quello immaginario pensa che stia amministrando un paese di 60 milioni di abitanti. Ma non è vero. Emana solo delle direttive, che in genere finiscono in niente.
Il più delle volte si arrotola su se stesso e produce effetti che nemmeno LSD. Ultimo caso: ha passato un giorno intero a dire che l’Europa doveva bloccare la vendita di armi alla Turchia. Tutti lo avevano già fatto, l’unico che se n’era dimenticato era lui.
Con quattro amici del bar è andato in strada a festeggiare il taglio di tot parlamentari, spiegando che si sarebbe risparmiato un miliardo di euro: si è dimenticato di dire in dieci anni o più.
Di Maio è fatto così: con i numeri, la geografia, la storia non ci azzecca quasi mai. Spara delle cose a caso e spera che gli vadano bene.
Un adeguato profilo psicologico direbbe che è solo in parte consapevole delle cose che dice o che fa. Però ha imparato a dire dei no secchi e definitivi: tipo no all’eliminazione della quota 100. Forse non ha ancora capito adesso di che cosa si tratta e in ogni caso si deve essere dimenticato che quota 100 è una balorda invenzione post-prandiale del suo ex amico Salvini.
Di Maio è anche il prototipo-simbolo del Movimento 5 stelle, che i questi giorni compie dieci anni. Il frutto più brillante di questo decennio passato a urlare “Tutti ladri” è lui. Un damerino, sempre con la cravatta e la cartelletta di ordinanza, a tratti anche con una fidanzata (ma non tanto spesso). Va detto, perché è giusto, che lui è anche il meglio, gli altri della sua squadra sono anche peggio, più sciamannati, convinti che fra Palazzo Chigi e il bar Sport del Lorenteggio non ci sia fondo molta differenza.
Lui è sicuro che farà il ministro ancora per due decenni, e così si è adeguato Veste e si comporta come pensa debba fare un ministro.
Sorride quasi sempre, e anche questo è mestiere, rassicurare il popolo e non fargli capire che lo stai rovinando.
Insomma, uno abbastanza furbo. O’ guappo ‘e cartone. Un po’ reale, un po’ immaginario.