È vero, Di Maio: siamo alla vigilia di un boom economico. Peccato ci stiate portando nella direzione opposta.

Risultati immagini per È vero, Di Maio: siamo alla vigilia di un boom economico. Peccato ci stiate portando nella direzione opposta.Se davvero volessimo diventare una smart nation, come dice il vicepresidente del consiglio dovremmo spendere tutto in scuola, ricerca, innovazione, semplificazione digitale, partecipazione femminile al mercato del lavoro. E invece in manovra ci sono tagli all’istruzione e soldi ai pensionati.

«Siamo sulla soglia di un nuovo boom economico». Bene, bravo, bis, Luigi Di Maio. Lo diciamo senza nessuna ironia, consci del fatto che l’abbiamo criticato un mare di volte, che un mare di volte lo criticheremo ancora. E che questa frase suoni paradossale, detta nel giorno in cui l’Istat ha comunicato un forte calo della produzione industriale, non la rende meno vera. Siamo davvero sulla soglia di un nuovo boom economico. E il bello è che Di Maio indica pure la direzione giusta: «Negli anni ’60 avemmo le autostrade, ora dobbiamo lavorare alla creazione delle autostrade digitali», dice. «L’Italia deve essere in prima linea in questa fase di trasformazione, facendo il nostro Paese una smart nation», aggiunge. Applausi scroscianti.

Ora però tocca essere consequenziali, caro Di Maio. Perché per fare la smart nation, tanto per cominciare, bisognerebbe partire dalla scuola, l’alveo in cui si forma l’unica nostra fonte di ricchezza, da sempre: quell’intelligenza, quel capitale umano, quella cultura che ci permette di trasformare le cose, di dar loro sempre più valore, di coniugare l’utile al bello. Quella stessa scuola che in legge di bilancio si è vista decurtare i fondi di 4 miliardi per i prossimi tre anni, nonostante un aumento della spesa pubblica di 50 miliardi circa, nel medesimo periodo.

Per fare la smart nation, tanto per cominciare, bisognerebbe partire dalla scuola, l’alveo in cui si forma l’unica nostra fonte di ricchezza, da sempre: quell’intelligenza, quel capitale umano, quella cultura che ci permette di trasformare le cose, di dar loro sempre più valore, di coniugare l’utile al bello. Quella stessa scuola che in legge di bilancio si è vista decurtare i fondi di 4 miliardi per i prossimi tre anni, nonostante un aumento della spesa pubblica di 50 miliardi circa

Volessimo essere ancora più smart, peraltro, dovremmo valorizzare le donne, la parte più istruita della popolazione, quella che si laurea di più, prima e meglio. E che invece è ai margini, con l’Italia ultima dei paesi occidentali per tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro. Non esattamente un dato da Paese smart, ma evidentemente in manovra era meglio occuparsi di chi non ha pagato le tasse, di chi compie abusi edilizi, di pensionati. Gente che, ne converrente, non è esattamente al centro delle strategie per costruire una smart nation.

E già che c’era, Di Maio, avrebbe potuto battersi per mantenere il superammortamento per l’acquisito dei beni strumentali da parte delle imprese, uno dei cardini del piano di industria 4.0. O per evitare che il tetto massimo per il credito d’imposta sulle spese di ricerca e sviluppo scendesse da 20 a 10 milioni. O per permettere alle università di assumere nuovo personale, al pari degli enti locali. O per incentivare il venture capital, vero anello mancante della startup economy all’italiana. O per attirare cervelli dall’estero. O per rendere più facile la burocrazia delle imprese, oggi alle prese con una follia chiamata fattura elettronica. Magari copiando un po’ delle politiche fatte da Moscovici e da Macron in Francia, che – nonostante i gilet gialli per cui Di Maio fa il tifo – hanno portato a decuplicare gli investimenti nell’economia digitale nel giro di pochi anni.

Lo diciamo pure con un po’ di rabbia, viste le premesse: c’è qualcosa di anche solo vagamente “smart”, nella manovra del cambiamento? C’è qualche diavolo di passo verso la direzione del nuovo boom economico prefigurato da Di Maio stesso, nelle misure portate avanti dal governo di cui Di Maio è vicepremier e azionista di maggioranza? Se la risposta è no, fossimo in Di Maio, ci faremmo qualche domanda. Non è mai troppo tardi, per cambiare rotta.

È vero, Di Maio: siamo alla vigilia di un boom economico. Peccato ci stiate portando nella direzione opposta.ultima modifica: 2019-01-12T08:56:42+01:00da bezzifer
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