Non ci resta che l’europeismo con questo Trump.

Dunque, non è finita la storia, tutt’altro. In compenso è finita l’ideologia. Cancellate le sue tracce, dissolti i suoi ultimi residui. Quando il presidente americano (a Washington) si rintana nella ridotta del protezionismo e il leader cinese (a Davos) si vanta di nuotare felice nell’oceano della globalizzazione, è evidente che le categorie con le quali abbiamo fin qui analizzato la geopolitica si sono andate capovolgendo. Fino a che punto, si vedrà.

Queste novità sembrano destinate ad accentuare le difficoltà europee, e più ancora quelle di casa nostra. L’Italia si è fatta forte a lungo della sua peculiarità di paese di frontiera, e ne ha tratto più di qualche beneficio (insieme a qualche problema, s’intende) negli anni della guerra fredda. Poi, caduto il muro di Berlino e rimescolate le carte, quel vantaggio s’è in larga parte perduto. E ora la nostra strada sembra farsi ancora più in salita.

In questo contesto, c’è una sola cosa che si può fare. Puntare tutto sull’europeismo. Chiudere polemiche e polemichette contro la severità di Bruxelles sui nostri conti pubblici e chiamare il paese a una scelta strategica in favore dell’unione europea -o di quello che ne resta. Redigere un documento che contenga alcune proposte forti sul funzionamento dell’unione, e chiamare il Parlamento a votarlo con un impegno di una qualche solennità.

Saggiamente, la Costituzione impedisce di celebrare un referendum sui trattati internazionali, e dunque il plebiscito anti-euro tanto caro ai grillini non si può fare. Ma anche rispettando il carattere della nostra democrazia rappresentativa, si possono assumere posizioni pubbliche che rendano chiaro il discrimine che ci divide. Non quello tra il sistema e il populismo. Ma quello, ben più importante, che divide chi immagina un’Italia aperta al resto del mondo e chi sogna di chiuderla nel recinto del suo isolazionismo.

Gentiloni è stato ministro degli Esteri. Dunque, a maggior ragione, dovrebbe essere nelle sue corde l’idea di promuovere un’iniziativa in tal senso. Chiedere alla Camera e al Senato un voto su una mozione che renda chiari, con una certa solennità, i principi (e gli interessi) intorno a cui si organizza la nostra agenda di politica internazionale. E farlo non in nome di una stanca ritualità. Ma in ragione appunto delle novità che le cronache mondiali hanno registrato in questi giorni, e che delineano una svolta storica per tutti noi.

Gli Stati Uniti sono stati la guida della nostra politica estera. Facciamo fatica a pensarli più lontani. Ma la svolta di Trump ci fa capire che la vecchia idea di un’alleanza atlantica confortevole e rassicurante comincia a traballare. Si apre un varco, e quel varco andrà riempito. O con una più matura integrazione europea. Oppure con il velleitarismo di chi immagina di poter fare da soli, piccola nave corsara nei mari della globalizzazione.

E’ una scelta cruciale. Metterla meglio a fuoco, non sarebbe una cattiva idea.

Non ci resta che l’europeismo con questo Trump.ultima modifica: 2017-01-22T12:38:44+01:00da bezzifer
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