Archivio mensile:settembre 2018

I dieci miliardi di debiti in più che si vogliono imporre a Tria sono per dare mance più consistenti agli elettori in vista delle elezioni europee.

DI MAIO, L’INCUBO DEL CROLLO PAURA DI TORNARE A FARE IL BIBITARO AL SAN PAOLO

Ormai è abbastanza chiara la ragione per cui Di Maio e i 5 stelle sono scatenati nel chiedere un disavanzo al 2,4 per cento: si tratta di paura, e anche paura forte. Sono quasi disperati. La storia è questa. Con un disavanzo all’1,6 per cento, come vorrebbe Tria, o anche all’1,8-1,9, restano pochi soldi a Di Maio da distribuire. E quindi dovendo a quel punto presentare un reddito e una pensione di cittadinanza ridicoli (poche centinaia di euro al mese, forse anche meno) teme di rischiare un flop gigantesco alle elezioni europee.

Paura abbastanza fondata. Quando è stato fatto il governo, poco più di 100 giorni fa, Salvini aveva circa la metà dei voti dei 5 stelle (loro al 32 per cento, lui al 17). Oggi le parti sono rovesciate: Salvini viaggia nei sondaggi sopra il 32 per cento, i 5 stelle arrancano intorno al 28 per cento e chiaramente non hanno il vento nelle vele.

La battaglia per portare il disavanzo a quota 2,4 per cento trova qui la sua motivazione. Con il 2,4 pei cento ci sono 10 miliardi in più (tutti a debito ovviamente) da spendere, da far confluire su reddito e pensioni di cittadinanza per rimpolpare un po’ quelle due misere torte.

In questo modo Di Maio pensa di arginare il prevedibile crollo dei 5 stelle. Naturalmente, va spiegando che si tratta di spese per rilanciare l’Italia, ma non è vero. Non si tratta di investimenti: non si parla di un metro di strada o di ferrovia in più, si parla di soldi che verranno regalati ai cittadini, i quali ne faranno poi l’uso che credono: balocchi e profumi, pagamento di vecchi debiti, qualche uscita in più al ristorante, un paio di scarpe nuove?

In sostanza, la proposta di Di Maio, dedotte tutte le chiacchiere, è di fare dieci miliardi di debiti in più, da regalare alla gente, per consentire a lui di non crollare alle elezioni europee (come meriterebbe ampliamente).

Non esiste alcuna ragione macroeconomica per quei dieci miliardi i più che Di Maio vuole spendere: solo il desiderio di “fare qualcosa” per cercare di non perdere le elezioni europee e per bloccare la parabola discendente dei 5 stelle. Anzi, si blocca la discesa del debito pubblico italiano e lo  si fa risalire, con proteste di Bruxelles e probabilmente dei mercati.

Beati i tempi in cui il comandante Lauro a Napoli si limitava a regalare scarpe e qualche mezzo chilo di spaghetti.

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“Elimineremo la povertà”, tuona l’ineffabile Di Maio. Perbacco, roba tosta. Mai riuscita a nessuno. Premio Nobel in vista?

CI RITROVEREMO PIÙ POVERI DI PRIMA

Gran distribuzione di soldi degli altri per combattere la povertà. Un manicomio.

“Elimineremo la povertà”, tuona l’ineffabile Di Maio. Perbacco, roba tosta. Mai riuscita a nessuno. Premio Nobel in vista?

Poi si volta pagina e si legge che la povertà, che forse non verrà del tutto eliminata, verrà combattuta facendo debiti. Cioè: si va sui mercati a si prendono (a debito) 30 o 40 miliardi di euro e li si distribuisce al popolo. Meglio delle brioche e della polenta.

Chi ragiona così ha i neuroni che girano nella testa a ruota libera. In realtà, si aumentano i debiti, sui quali bisognerà pagare ricchi interessi a vita. In sostanza, saremo tutti più poveri dal giorno dopo la brillante operazione di eliminazione della povertà.

Insomma, mi faccio prestare dieci mila euro dalla banca e dico a mio cugino: vedi, adesso sono diventato ricco.

Non credo che esistano istituti di cura per gente del genere. Si tratta, semplicemente, di venditori di pozioni magiche, o di cialtroni, se preferite parole più dirette. O, se volete essere più politici, si tratta di imbonitori senza dignità, di spacciatori di menzogne.

La povertà si combatte creando del lavoro, se si è capaci, non distribuendo agli italiani soldi presi a prestito da americani, francesi, giapponesi e cinesi (e che prima o poi andranno restituiti, o richiesti di nuovo, i Bot scadono).

Nelle osterie di campagna questo era chiamato anche il gioco delle tre carte. Spesso gli autori venivano presi a seggiolate. Qui, invece, prendono voti e vanno in tv, da dei tizi compiacenti, a farsi intervistare e a farsi belli, pettinati come per la prima comunione

Italia del cambiamento 2018.

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Caro Cuperlo, sui Cinque Stelle sbagli e deciditi prendi una decisione o con noi o con loro

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E seppure è sempre giusto porsi il problema di “far scoppiare le contraddizioni”, dopo tre mesi di governo l’operazione appare ardua, dato che più o meno su tutto i due partiti di governo marciano in sintonia (ivi compreso il giudizio su Orban: non tragga in inganno il voto dato a Strasburgo, un voto non in nome dell’antifascismo e della ripulsa dei tratti illiberali del governo di Budapest ma in quello di presunti interessi italiani: tanto è vero che – è notizia di queste ore – al Parlamento italiano M5s e Lega hanno presentato una mozione comune). Una rottura fra i partner di governo non è alle viste. E, se ci sarà, bisognerà vedere se passerà per una disfatta dell’attuale gruppo dirigente, il che cambierebbe molte cose. Ma siamo al periodo ipotetico. Tuttavia è sull’aspetto “ideologico” che il ragionamento di Cuperlo ci appare discutibile. I Cinque stelle infatti sono non sono solo un movimento post-ideologico ma un partito a-democratico, nel senso che non è attrezzato né intende attrezzarsi a quel libero confronto teso a cogliere la verità interna della posizione dell’avversario nel nome di un superiore interesse nazionale. Che è poi il sale della democrazia dei partiti. Al contrario. E’ un partito che non esita a sopraffare l’avversario politico, ad additarlo al pubblico disprezzo, a storpiarne le posizione, ad infangarne i dirigenti. E infatti Cuperlo nota: “Loro somigliano più a un movimento di impronta ‘rivoluzionaria’ e leggerlo non strappi un sorriso. Sono rivoluzionari nel senso di recuperare sotto il timbro della rete (in questo Casaleggio senior è stato davvero ideologo) la distinzione classica tra legalità e legittimità. Come tutti i movimenti rivoluzionari tendono alla contrapposizione dei due principi e nel segno del primato della volontà generale – mica per scherzo la piattaforma domestica l’hanno battezzata Rousseau – teorizzano il primato del potere costituente (la legittimazione) su quello costituito (la legalità)”. Ecco, diremmo in due parole che in democrazia la distinzione fra “legalità” e “legittimità” è pericolosa. In democrazia esiste solo la legalità (che ovviamente non è immutabile ma per costruire la quale esiste appunto la lotta politica democratica), essendo la “legittimità” , come la descrive Cuperlo, solo una presunzione arbitraria di ciò che è giusto e ciò che non lo è. E infatti il Movimento si arroga il diritto di decidere sulla base del blog, dei clic e di altre espressioni fuori dal circuito democratico: con modalità da loggia segreta. Che poi il M5s sia oggi largamente popolare e molto votato non cambia il discorso di fondo. Ci sono state tante esperienze di movimenti reazionari di massa, o di populismi popolarissimi – si passi il bisticcio: e probabilmente, come ha notato su queste colonne Massimiliano Panarari, il peronismo è il suo riferimento più calzante, anche grazie a quel tratto “sociale” tipico del populismo sudamericano. E quindi bisogna alzare i ponti levatoi? Mai, in politica. Certo che il Pd deve saper parlare – e riconquistare – tanti elettori che hanno creduto nelle fandonie di Di Maio illudendosi che egli potesse fare qualcosa “per il popolo” (magari sottoforma di massicce dosi di assistenza pubblica: lo sappiamo tutti perché il M5s sia andato così bene al Sud e perché oggi Di Maio sia terrorizzato dall’idea che il reddito di cittadinanza finisca nel cestino). Ma se è per questo il Pd dovrebbe parlare ai tanti operai e artigiani che hanno votato per Salvini: è popolo anche quello, e forse più sensibile alla pratica democratica. Alla fine delle parole di speranza sul fatto che il M5s “si ancori al molo delle regole e degli istituti della sola democrazia esistente, quella liberale e partecipata, Cuperlo si chiede: “Ma noi come possiamo tornare a vincere?”. Ecco, non con le alchimie partitiche. Parlando al popolo, tutto il popolo, per rinnovare la democrazia italiana e non per accompagnarla al cimitero, scommettendo sul fallimento del peronismo italiano sia nella versione dimaiana che in quella salviniana. Non sarà facile ma altre strade paiono davvero precluse.

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La contromanovra targata Pd che guarda a giovani e famiglie

Una risposta concreta alle misure del governo gialloverde che promuovono “condoni per gli evasori e più debito pubblico sulle spalle dei giovani.

Giovani, famiglie, casa, contrasto alla povertà, lavoro e investimenti. Sono questi i capisaldi su cui il Pd ha costruito la sua contromanovra basata su equità e crescita; un documento con delle proposte messe nero su bianco e facilmente confrontabili con le promesse irrealizzabili del contratto di governo gialloverde. Elaborate dall’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, insieme a Tommaso NanniciniLuigi MarattinAntonio Misiani e Marco Leonardi, le proposte dei dem rispondono alle misure dannose del governo gialloverde che promuovono “condoni per gli evasori e più debito pubblico sulle spalle dei giovani. Il vicepremier Luigi Di Maio, poi, pensa di giocare a Monopoli” ha commentato il segretario Maurizio Martina.

“Le prime mosse del governo stanno mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro e miliardi di euro per effetto dell’aumento dello spread. L’incapacità aggiunta alla demagogia e alla propaganda fa danni. Noi invece pensiamo sia necessario muoversi sul terreno della concretezza e della verità”, ha commentato Misiani.

Questo è il capitolo più costoso: la spesa è di 9 miliardi di euro, ma costerebbe comunque “meno di un quinto della flat tax” come prevista dal contratto di governo e “sarebbe enormemente più equa”.

Poi c’è il capitolo per il contrasto alla povertà: la proposta è di raddoppiare da 3 a 6 miliardi le risorse del reddito di inclusione destinato a 1,5 milioni di famiglie e di portare le pensioni minime a 750 euro.

E poi il punto che riguarda le detrazioni sugli affitti uguali alle detrazioni sui mutui casa al 19%, con maggiorazione per i giovani under 30 il cui sgravio arriva fino a 1800 euro l’anno con un costo previsto di 1 miliardo di euro.

La parte decisiva per la crescita del Paese è quella che riguarda gli investimenti pubblici e privati. Secondo i dem i primi devono essere riportati entro 3-5 anni ai livelli del 2008, dal 2 al 3 per cento del Pil con una particolare attenzione, però, all’ambiente e alla manutenzione, soprattutto nelle aree del Mezzogiorno. Inoltre si deve accelerare la spesa dei 150 miliardi già stanziati dai governi di centrosinistra e dei finanziamenti Ue. Per quanto riguarda gli investimenti privati, il Pd chiede il potenziamento del programma Industria 4.0 con ecobonus-sismabonus. Proposte concrete con coperture realistiche,  per “rafforzare il sentiero di crescita e uguaglianza dell’economia italiana”.

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Fuori controllo

La crisi rovinosa del vicepremier M5s, senza risultati e oscurato da Salvini Nuovo scontro con Tria: “Ho giurato sull’interesse della nazione” La Rai in mano al teorico delle fake news, con la sola opposizione del Pd.

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I l vicepremier Luigi Di Maio giornalmente fornisce titoli per i giornali. In questo periodo è sempre più schiacciato dalla potenza mediatica del partner Salvini. E così nel gioco a chi la spara più grossa ha alzato il tiro. Bersagli prediletti delle bordate sono il Pd, naturalmente, e il Mef. Ormai è chiaro anche a lui che le promesse elettorali sono irrealizzabili, e dunque ha iniziato un fuoco “amico” nei confronti del ministro Tria e del Mef. Le sparate sono state tante negli ultimi giorni, a partire da “Facciamo come Macron” riferito al rapporto deficit/Pil. L’affermazione di Di Maio dimostra come il leader grillino non sappia di quel che parla, la Francia può permettersi un disavanzo del prodotto interno lordo maggiore in quanto il debito pubblico è al 96,4% del Pil, il nostro è al 130,7%. Ma non basta il vicepremier si è spinto oltre dichiarando solennemente che con la manovra il governo “abolirà la povertà” e che “senza il reddito di cittadinanza il M5s non voterà il Def”. Affermazioni deliranti, che dimostrano come Di Maio sia ormai del tutto fuori controllo. E con il ministro Tria che ricorda di aver giurato “nell’esclusivo interesse della nazione e non di altri e non ho giurato solo io”, continuando a sottolineare l’importanza della stabilità e del tener in ordine i conti. Un modo per rassicurare i mercati, che però continuano a guardare con apprensione l’Italia, pronti a disinvestire con la conseguenza di uno spread alla stelle. Non potevano mancare poi gli attacchi al Pd e agli scorsi governi definiti “assassini politici”, parole gravi e che dimostrano il poco rispetto per l’opposizione e lo stato di confusione di Luigi Di Maio e la sudditanza nei confronti del partner di governo Matteo Salvini, che giornalmente gli ruba le luci della ribalta.

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Povera Genova, in balia di un Governo (e di un’Italia) che non sa più reagire alle emergenze

Solo quaranta giorni fa gli applausi a Salvini e Di Maio. Ora mancano perfino le cifre al decreto per la ricostruzione del ponte. Ed è lo specchio di un’Italia che, a parte i proclami roboanti, non riesce più a reagire in modo pratico alle emergenze.Image

È l’ultima chance per il Partito Democratico: o si cambia o si muore. Il record del 40% alle elezioni di quattro anni fa è un ricordo lontano. Ora il Pd è ai minimi storici, e i prossimi mesi, tra primarie ed europee, saranno decisivi.

Reddito di cittadinanza? Decreto Dignità? Tutto fumo. E governare con le promesse è un boomerang. Sono i fatti, e non le promesse, a determinare il consenso. E finora il reddito di cittadinanza dei Cinque Stelle è una versione un po’ più finanziata del reddito di inclusione. Il “decreto dignità” avrà effetti controproducenti sul mercato del lavoro, come sanno tutti. Governare, decisamente, non è.

La madre di tutte le bugie: non è vero che mandando i pensione gli anziani aumenta l’occupazione tra i giovani. Non è vero che mandando i pensione gli anziani aumenta l’occupazione tra i giovani. Il vero problema è il declino economico del nostro Paese, la scarsa produttività e condizioni di lavoro peggiori che negli altri paesi europei.

Gig economy: autisti e rider guadagnano la metà di 5 anni fa. Un autista di Uber e un rider oggi guadagnano meno della metà (-53%) di cinque anni fa: dai 1.469 dollari al mese del 2013 ai 783 dollari al mese del 2018. Lo studio di JP Morgan Chase.

Ecco i dieci punti da cui l’Italia e l’Unione Europea devono ripartire. Per fermare l’ondata di nazionalismo populista non serve una nuova grande coalizione di partiti di establishment, ma una visione dirompente di Italia e di Europa.

Evasione fiscale: così l’Italia ha sempre aiutato chi non vuole pagare le tasse. Tra condoni fiscali, rientro dei capitali dall’estero, depenalizzazioni e innalzamento delle soglie punibili l’Italia è sempre stata un paradiso per gli evasori. Che ora aspettano sereni la pace fiscale.

Palermo, la città che rinasce con le imprese giovanili. Il Grande Viaggio Insieme 2018 di Conad ha toccato la città di Palermo, che sta vivendo una nuova vita grazie alla creatività economica, culturale e sociale dei cittadini. Le troupe tv non arrivano più per raccontare la mafia, ma per descrivere la vitalità della città.

Perché lo spagnolo ha la punteggiatura invertita (e perché dovrebbe abbandonarla). Tutti hanno notato che le domande e le esclamazioni sono precedute da segni come ¿ e ¡, un uso poco diffuso nel resto del mondo e del resto in calo nella stessa Spagna. Forse è tempo di voltare pagina.

I fumetti più antichi? Ritrovati in una tomba di 2000 anni fa. In una necropoli scoperta per caso durante alcuni lavori di ammodernamento delle strade, gli archeologi hanno rivenuto affreschi con personaggi accompagnati da esclamazioni puntute in aramaico (ma scritte con caratteri greci).

Anche un padre può cambiare vita e dedicarsi pienamente ai figli. In Italia ancora pochi uomini decidono di beneficiare del congedo parentale, ma chi lo fa ritrova equilibrio e può godere dell’infanzia dei suoi bambini.

Deducibilità fiscale 2018: un‘ occasione da non perdere. Per pagare meno tasse il prossimo anno c’è tempo fino a dicembre. Sfrutta il vantaggio della deducibilità fiscale dei contributi versati aderendo adesso a un fondo pensione.

Imparando a dire no risparmierai un sacco di soldi. Se spendere solo quello che abbiamo preventivato, senza esagerare e riuscendo a risparmiare, vi è sempre sembrato difficile, forse è perché non avete ancora provato a dire questa magica parola: no.

IL Governo ATTUALE (l’Italia)  saprà reagire alle emergenze elencate ?

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PER CHI GONGOLA PER LA GIOIA VI RICORDO CHE.La struttura del jobs act è stata lasciata nel provvedimento del nuovo governo con una piccola variazione sulle indennità e quindi non è stato abolito dal decreto dignità.

Consulta boccia il Jobs act, no a determinazione rigida dell’indennità al lavoratore ingiustamente licenziato.Dichiarato l’articolo 3 della legge, che non è stato modificato dal successivo Decreto Dignità

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Quello che non capisco è che la Consulta, fino ad oggi non ha avuto nulla da eccepire, cambiato governo scopre la incostituzionalità. A me sembra volontà di creare problemi, specie con i sindacati.!!

Dato che per i grillini è troppo faticoso leggere l’intero articolo, specialmente se non si loda Di Maio ecco il punto fondamentale.

“ha dichiarato illegittimo l’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n.23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte – NON MODIFICATA dal successivo decreto legge n.87/2018, cosiddetto ‘DECRETO DIGNITA’ – che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato.”

DI MAIO NEL COSIDETTO “DECRETO DIGNITA'” HA CONFERMATO IL METODO DI CALCOLO DEL JOB ACT CHE LA CONSULTA A DICHIARATO ILLEGITTIMO.

Ora vi è chiaro di cosa si sta parlando cari grillioti.

Cosa volete modificare? Senza un criterio, la CC non specifica quale dovrebbe essere, l’entità del risarcimento sarà delegata a giudici ed avvocati. Chi ci guadagnerà secondo voi? Avete poco da stare allegri anche perché il resto dell’impianto è costituzionale e riamane tale e quale. Speriamo di no ma rischia di finire come per le assicurazioni, ovvero con un borsino di risarcimenti in funzione dell’importanza sociale del soggetto. Morale della favola, per le imprese è distruttivo per i lavoratori.Tanto più che con il decreto dignità, Di maio & Salvini hanno salvato l’impalcatura e cambiato leggermente gli indennizzi, per cui ora il jobs act è anche il “loro” provvedimento.

COMUNQUE.Il compenso basato sull’anzianità di lavoro è il criterio usato anche in altri paesi, strano che lo stesso principio possa però essere usato, in Italia, per gli aumenti di stipendio. Non so se sia il compito della corte suggerire alternative ma un “no perché non mi va” pare troppo poco. Quali altri fattori dovrebbero entrare? e perché? più soldi se uno è biondo, meno se l’impresa fa lavatrici? Di più se nel tempo libero il lavoratore usa capi firmati?Tiriamo magari a sorte o includiamo gratta e vinci? Ma non vorrei che non essendo (costituzionale) il comma che quantifica l’indennità, non vi sia più alcuna indennità

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Ecco uno che presto sarà tacciato di essere “nemico del popolo” vogliamo scommettere?

L’allarme della Consulta: “In Ue tendenze politiche contro la Costituzione”

Il presidente della Corte Costituzionale Giorgio Lattanzi avverte: “Alcune idee che prima si vergognavano di comparire, oggi invece circolano in Europa”

L'allarme della Consulta: "In Ue tendenze politiche contro la Costituzione"

“In Europa e non solo c’è un clima politico e culturale che è cambiato. Ci sono orientamenti politici che, senza entrare nel merito, mi pare contrastino con il significato della Costituzione”. E’ l’allarme lanciato dal presidente della Corte Costituzionale Giorgio Lattanzi durante la conferenza di presentazione a palazzo della Consulta dell’iniziativa “Viaggio in Italia, la Corte Costituzionale nelle carceri”
che prenderà il via il 4 ottobre nel carcere romano di Rebibbia.”Alcune idee, orientamenti, non so quanto consistenti, che un tempo si vergognavano di comparire e rimanevano nascosti, oggi invece circolano in Europa” ha detto Lattanzi che, pur non citandoli, sembra riferirsi ai movimenti di estrema destra e a certe istanze sovraniste sempre più forti in Europa. Gia la settimana scorsa, nel presentare il progetto sulle carceri al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Lattanzi aveva sottolineato la convinzione che “sono le Carte e le Corti costituzionali, insieme con i giudici comuni, che ci difendono dai vecchi fantasmi che hanno ripreso ad agitarsi in Europa e a mettere in discussione le regole della democrazia, della libertà e dell’eguaglianza, e i diritti fondamentali che le accompagnano”.

Per risollevare l’Italia avremmo bisogno di tantissime persone così di buon senso. Misura nelle espressioni, intelligenza e senso dello Stato. Bravo

E CARO Presidente Lattanzi, così gira il mondo. Mi ero stupito che il mondo avesse inventato e praticato il fascismo, il nazismo, il comunismo. Francamente ultimamente mi stavo stupendo che simili…voglie (rimpiante con pudore)  non venissero esternate senza vergogna. Talvolta è un piacere essere vecchi…e sono  un semplice cittadino con cultura democratica. Base, tolleranza, dialogo, bene comune, cultura, progresso, ricerca, emancipazione, uguaglianza, libertà di espressione,. Vi chiedo, questo momento storico dove ci porterà… Sono molto preoccupato perché  presto sarò assieme per fortuna a tanti altri tacciato di essere “nemico del popolo” vogliamo scommettere?

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SERVE UN Manifesto per una nuova sinistra.APPUNTAMENTO ALLA LEOPOLDA 9

Serve un nuovo Manifesto della sinistra.

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Tabula rasa dei politici, dei partiti, dei programmi esistenti; un progetto inedito che raccolga e unifichi tutte le istanze e le forze e le personalità che sentono il bisogno di rivivificare il termine sinistra e dargli corpo e sostanza nel senso più ampio: culturale, sociale, politico. Un progetto che si rivolga e accolga i rappresentanti della società civile e della cultura, ma anche delle quotidiane necessità dei semplici cittadini, allo scopo di costruire un modello di vita che, facendo esperienza dagli errori passati, abbia però la capacità di disfarsene, anzichè restarvi rancorosamente attaccati.

Immaginare una società nuova, con nuove regole e con nuovi valori, e cercare di costruirla: cosa meglio, per un progetto di sinistra? E una volta formulato, rivolgersi per la sua attuazione a elementi non contaminati da posizioni governative o di potere nazionale, bensì a elementi che, pur non digiuni di politica, abbiano ancora l’entusiasmo e la lucidità di buttarsi a corpo morto in un progetto entusiasmante pur se difficilissimo.
Insomma, un nuovo progetto per una nuova classe dirigente.

Si spero fortemente NELLA LEOPOLDA 9 nasca una iniziativa che rompe il silenzio degli uomini di cultura, sicuramente amanti della democrazia, sicuramente non imbevuti di ideologie superate, ma desiderosi di obiettivi per il bene comune (che non e’ mai di parte) da sottoporre ai cittadini (pensanti) nel forme dovute,lasciandoli effettivamente liberi di ragionare e scegliere cosa non fatta dagli attuali protagonisti del contratto (di parole)
(chi sa di filosofia, economia ,statistica storia. dei trattati. della cooperazione internazionale, dell’accoglienza dei migranti non si permetterebbe mai il sarcasmo (degli ignoranti) spero che i promotori dell’iniziativa vadano avanti e accolgano intorno tutte le persone che abbiamo valori nel cuore.

SI certo mi contestate che. A “sinistra” il dibattito non è mai mancato (parole, parole, parole) ma a “destra”? Un manifesto della nuova destra si potrà fare mai? Dove sono queste persone di buona volontà che aborriscono “questa” finta sinistra e che ambiscono ad una destra democratica e liberale?

Alla sinistra è stata lasciata la mission dell’autoflagellazione e dell’autocritica (bene così, intendiamoci) e alla destra?

Quella destra, come detto democratica e liberale, che mostra solo pavidità e ignavia di fronte alle politiche razziste e xenofobe della Lega ha rinunciato alle sue idee e a suoi ideali? Bene o male a sinistra si riesce a mettere in fila qualche nome (reduci non reduci, vecchi e non vecchi.bolliti) a da quelle parti che aria tira?

Il dibattito che si acceso sul WEB è lo specchio del Paese: un solo imputato, tanti Pm, tante testimonianze contro, pochissime quelle a favore. Costruiamo un processo da levare la pelle a quel barlume di sinistra mentre la destra degli illusi (sempre quella democratica e liberale) si è data alla latitanza ed è irreperibile almeno da un secolo.

I Salvini sono figli della sinistra, quella autolesionista, tafazziana e radical chic (purtroppo, a mio avviso, sì).

 E QUI ENTRA IN SCENA L’IGNORANZA E L’ITALIA ESULTA E ALLORA Viva l’ignoranza

OK l’ignoranza è un sacrosanto diritto di tutti, ma nessuno dovrebbe approfittarne, abusarne, ossia essere esageratamente ignorante come purtroppo oggi spesso avviene. Ignoranti si nasce, così come si nasce signori; Totò “lo nacque”, signore, ma non fu certamente ignorante.

Quando l’ignoranza raggiunge il potere in qualsiasi parte del mondo, diventa spettacolo grandioso, s’innalza, è pura apoteosi. Gli ignoranti che tutto ignorano salvo che la loro ignoranza sono i meno pericolosi, perché sono titubanti: nel dubbio sono cauti o non operano affatto e così non fanno cose buone ma nemmeno danni. Tutti gli altri (me compreso ovviamente e forse in testa) dovrebbero avere il dono di un lampo di genio e mettersi a leggere, a riflettere, a studiare, e poi riapparire da ignoranti ma non troppo. Però dovrebbero essere fatti dei turni altrimenti scomparirebbero tutto d’un botto in troppi, tra governati, governanti… e badanti.

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Spira forte il vento del “me ne frego”. Poco importa, come nel ventennio, arriverà il momento in cui non potranno più fregarsene

Spira forte il vento del “me ne frego”Caro agli arditi della Prima Guerra Mondiale e reso popolare da Gabriele D’Annunzio con l’Impresa di Fiume, ai tempi delle prime scorribande anti-operaie del 1919 il motto “me ne frego” comparve sulle bende insanguinate che gli squadristi esibivano a significare che l’ideale attenua persino il dolore fisico. Per estensione, “me ne frego” (che nomineremo MNF da qui in avanti) durante il Ventennio fu usato per tacitare qualsiasi obiezione alle scelte del regime, per definizione indiscutibili dai federali e dai podestà in su.

Si comprende facilmente perché, nel secondo dopoguerra, pronunciare e scrivere MNF a scuola, in ambito politico o sui giornali sia stato considerato maleducato e offensivo. In famiglie come la mia, con trascorsi antifascisti e socialisti, era inconcepibile che uno di noi ragazzi s’azzardasse a rispondere “Chissenefrega!” a un rimprovero.

Non è più così. MNF è tornato ad essere frequente intercalare del linguaggio privato e pubblico. A sdoganarlo sono stati uomini di cultura come Vittorio Sgarbi (domenica l’ha usato sei volte in venti minuti parlando ad Atreju, raduno annuale di Fratelli d’Italia), esponenti del giornalismo come Vittorio Feltri (“Chissenefrega di Rocco Casalino, un signorino che non conta un cazzo”, ha ripetuto sabato su Rete 4) o politici, primo fra tutti Matteo Salvini.

Il ministro dell’Interno ha replicato con un MNF a chi gli faceva notare che il Decreto Sicurezza farà scattare centinaia di ricorsi. Inoltre, di recente, Salvini ha avuto modo di postare tonanti MNF su molti argomenti: le decisioni di Bruxelles su immigrazione e limiti economici; lo spread che sale; le inchieste avviate dalla Magistratura a suo carico; le opinioni degli avversari politici.

Luigi Di Maio, per non essere da meno, giorni fa ha sfoggiato un personale MNF nei confronti delle agenzie di rating “che sostengono che il reddito di cittadinanza sia inopportuno”. Nel suo piccolo, prima del contratto di governo, perfino Danilo Toninelli si era esibito in un MNF da prima pagina e rivolto, guarda caso, a Salvini.

Brutto segno. Se nel corso di una discussione qualcuno oppone un MNF, è evidente che vuole troncarla. Se poi l’oggetto della locuzione dispregiativa è di per sé debole e in soggezione, la prevaricazione del MFN è a un passo dal diventare violenza. In un talk show ho sentito un sedicente sovranista apostrofare con un MNF un ragazzo originario del Burkina Faso che tentava di spiegare perché ritiene d’avere diritto di cercare un posto nella società italiana. In quell’occasione, mi sono ricordato che don Lorenzo Milani, su un muro della sua scuola popolare di Barbiana, scrisse “I care” (“Mi sta a cuore”) per spiegare poi ai suoi ragazzi che si trattava di uno degli slogan più amati dai giovani americani degli anni Sessanta. Esatto contrario del fascista MNF.

“I care” era un’espressione comune dal significato politicamente e socialmente inequivocabile già prima della Grande Guerra, usata dai primi sindacalisti di New York e Chicago: dalle femministe come Emma Goldman, dai cattolici come Dorothy Day, che creò una vasta rete solidale durante la Depressione. Radici antiche e nobili, dunque, che Barack Obama rivitalizzò con il suo “Yes, we care”. Ma oggi in Italia a spirare forte è il vento del MNF: fino a quando sarà così?

Siamo ritornati ad acclamare la brutalità politica! Brutto segno. Da vergognarsi. La separazione della politica dall’etica, dalla cultura, dall’intelligenza é un fatto compiuto ormai. E la bacchetta magica non ce l’ha nessuno. Coloro che vogliono un’Italia sulla carreggiata principale verso una democrazia partecipativa, comunitaristica, diversificata possono solo opporre resistenza alla cafonaggine, alla villania e, in definitiva, alla stoltezza di chi ci governa adesso. Ogni forma di governo democratico è sempre a rischio di essere manomessa dalla personalizzazione dell’azione politica. E questa ha il suo sbocco naturale nella dittatura. La storia è li ha dimostrarlo.

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