ANNUNCIARE E RIMANDARE, QUALCOSA RESTERÀ L’analisi più completa della manovra economica del governo. Implacabile.

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ANNUNCIARE E RIMANDARE, QUALCOSA (PURTROPPO) RESTERÀ ovvero, qualche piccola nota per difendersi dalla propaganda (gialloverde)

Provate per un attimo a silenziare il rumore di fondo. Togliete l’audio ai Tg, togliete lo sguardo dai continui aggiornamenti in rete, levate lo sguardo dai tweet compulsivi della (improvvida) maggioranza e della (malmessa) opposizione. Silenziate le notifiche su Facebook e sulle chat a cui partecipate. Ripulite le informazioni che avete dalla sovrastruttura dei commenti, degli annunci e della propaganda (pro o, in misura minore, contro che sia) e.. cosa resta davvero della “manovra del cambiamento”?

Cosa rimane delle promesse elettorali, dell’irriverente supponenza corale contro i mercati e le Istituzioni europee, della (incosciente) battaglia sugli “zerovirgola”, dello spread “mangiato a colazione”? E cosa rimane, soprattutto, della (roboante) promessa di riduzione delle imposte, dell’azzeramento delle accise, dell’abolizione della Legge Fornero, della festeggiata (iperbolica) abolizione della povertà? E, invero, cosa rimane anche della credibilità delle (poche) voci dell’opposizione, spesso presa più a leccarsi le ferite e a corteggiare questa o quella parte della maggioranza, in vista di possibili futuri accordi?

Ecco, analizzare ciò che davvero è, separandolo dagli annunci propagandistici e dalle critiche aprioristiche, cercando di comprendere cosa davvero resterà nella nostra legislazione e come inciderà nella nostra economia è impresa meno diffusa (e anche un po’ ardua, coi tempi che corrono, tra liste di proscrizione ed epurazioni vere o solamente minacciate) di quanto non sembri. Nondimeno, non per questo ci sottrarremo (non è nello spirito di chi qui scrive) al compito assegnatoci, cercando di mantenere, pur nella sintesi e nelle semplificazioni dovute al tentativo di rendere comprensibile ciò che invero è alquanto complesso, la maggior rigorosità tecnica possibile di analisi.

QUOTA 100
Quota 100, per iniziare. Non ha “abolito” la cd. “Legge Fornero”, poiché regola per ora solo una finestra temporale facoltativa di tre anni, rendendola quindi più correttamente solo “temporaneamente sospesa”. I punti “delicati”, qui, ai fini della nostra analisi, sono principalmente tre. Uno è che si rischia di generare una sperequazione nel trattamento dei lavoratori che raggiungessero 62 anni di età e almeno 38 di contributi dopo la scadenza del triennio, qualora la previsione non venisse riproposta (e non vi sono garanzie in proposito, ad ora). La seconda è che si rischia che, tanto maggiore sarà il dubbio che non verrà rinnovata, maggiore sia la propensione (di chi ne può beneficiare) ad aderirvi in questo triennio (soprattutto nell’ultima annualità) invece che a rinviare con maggiori introiti futuri, alterando le stime del fabbisogno individuate dal Governo. La terza, e la più sostanziale, è che attuandola (e vieppiù se divenisse a regime) si genererebbe – secondo le stime dell’attuale numero uno dell’Inps, Boeri, e dell’ormai ex consulente della Lega, grande esperto di previdenza, Brambilla – un buco (rectius, fabbisogno) eccessivo per la sostenibilità del nostro sistema previdenziale nel tempo. Ciò soprattutto tenendo conto della curva demografica prospettica, che rende sempre meno “solida” la cd. “piramide previdenziale” (ovvero, avendo noi da tempo un tasso di natalità in calo, vi sono progressivamente sempre minori nuovi ingressi nel mondo lavorativo per sostenere le uscite pensionistiche crescenti).

IL REDDITO DI CITTADINANZA
Il Reddito di Cittadinanza, poi, ha sin qui già generato effluvi di parole (a volte anche inutili, poiché la versione definitiva, più volte modificata nel tempo, si è saputa solo in concomitanza con l’approvazione in Consiglio dei Ministri). Intanto, occorrerebbe preliminarmente fare una (non tanto) piccola precisazione, poiché quello approvato non è un “reddito universale di cittadinanza”, come tale non condizionato a nulla che non sia la cittadinanza stessa, ma è (tecnicamente parlando) più vicino ad un “reddito di inclusione”, essendo condizionato alla ricerca attiva (tramite gli ormai famosi “centri di impiego”) di un lavoro, al non poterne rifiutare più di due nel tempo massimo di diciotto mesi, alla residenza in Italia da almeno 10 anni (per dire, si vedono esclusi, quindi, i giovani che erano andati all’estero a cercare lavoro), ad attività formative e/o a piccole attività socialmente utili. In relazione agli obiettivi della nostra analisi, poi, tralasciando per ragioni di brevità tanto le critiche inerenti al rischio di abusi (soggetti destinatari della misura con lavori in nero o senza le condizioni previste) che quelle legate ai “tempi” di attuazione (procedure uniformi dei vari centri d’impiego; individuazione dei cd. “navigator” che aiuteranno a trovare le offerte di lavoro; effettiva sussistenza di richieste per cinque milioni di nuovi posti di lavoro in una fase di stagnazione/recessione; durata effettiva dell’importo di integrazione del reddito, riducibile nel tempo in funzione dei fondi disponibili), occorre rilevare che vi sono soprattutto due punti “delicati” da illustrare. Uno riguarda l’effetto del provvedimento sulla nostra economia. Da un lato, è la stessa relazione tecnica allegata che individua un effetto pari solo allo 0,18% sul PIL mentre, dall’altro, generandosi l’effetto di soggetti “inattivi” (che non lavoravano, non studiavano e non cercavano attivamente un lavoro) che “forzosamente” diverranno “disoccupati” (soggetti che non studiano e non hanno un lavoro, ma che lo cercano formalmente), si dovrebbe generare un incremento “sulla carta” di PIL “potenziale” che consentirebbe, secondo le regole europee, un ulteriore maggior deficit per circa 10/12 miliardi di euro. Che, poi, il maggior PIL potenziale sia solo sulla carta e che il maggior deficit in qualche modo si dovrà pur ripagarlo, resta un particolare che non piace sentir ricordare, ai più. L’altro, di cui in pochi parlano, è che, essendo state introdotte delle agevolazioni contributive per i datori di lavoro che assumeranno soggetti destinatari del “Reddito di cittadinanza”, si creerà una sperequazione nei confronti di chi cerca lavoro (e magari era già attivo nel cercarlo) ma non ha le condizioni previste dal provvedimento, con buona pace del rispetto del principio di uguaglianza delle opportunità.

FLAT TAX
Sulla abortita Flat tax (o “tassa piatta”), trasformatasi ad oggi in un semplice allargamento della platea di un regime forfetario preesistente, acuendone le distorsioni (rispetto ai lavoratori dipendenti, esclusi; ma anche fra autonomi forfetari, che non applicano l’IVA, e autonomi in regime ordinario, che la applicano) e introducendo un disincentivo alla crescita (dato dal tetto di fatturato fissato ad un valore ora troppo elevato) e, soprattutto, alle aggregazioni (dato dalla causa di esclusione determinata dalla detenzione di quote associative professionali o societarie) e del ricorso a forme di (pseudo)condoni vari (senza per ora nemmeno avere il coraggio di farne uno ma scritto bene), è invero anche inutile dilungarsi. Anche qui, viene detto che saranno misure che verranno progressivamente allargate negli anni a venire, ma ad oggi c’è solo la previsione di un ulteriore innalzamento della soglia di fatturato (e quindi delle distorsioni e dei disincentivi prima elencati). Insomma, tutto tranne che “tassa piatta” ed equità sostanziale. Salvo poi promuovere una riforma del diritto penale, tutta ancora da vedere nei suoi contenuti, che poggia sull’eliminazione della prescrizione e (questo in piena continuità coi governi precedenti) cavalcare l’introduzione obbligatoria (anticipata) della fatturazione elettronica senza accorgersi che il sistema non era (affatto) pronto. E questo, invero, quando di una “seria” riforma fiscale – che al contempo riduca il carico fiscale complessivo (eliminando le distorsioni sistemiche presenti) e riduca gli spazi dell’evasione patologica presente nel nostro Paese – ne avremmo avuto bisogno come il pane, meritando tale argomento una più ampia e compiuta discussione pubblica, fin qui inesistente (salvo rare singole iniziative).

LA RECESSIONE
Tutto questo mentre i dati ci dicono che siamo tecnicamente entrati in recessione (variazione del PIL negativa nel III e IV trimestre 2018) e le stime del PIL si affievoliscono via via con il trascorrere del tempo. Sono già lontani i tempi della prima versione della manovra con deficit al 2,4%, con tanto di sussulti dal balcone per aver “sconfitto la povertà”. Ma sono lontani anche quelli dell’accordo con la Commissione UE, chiuso al 2,04% di deficit inserendo 18 miliardi di euro di (ipotetiche) privatizzazioni e clausole di salvaguardia (cioè aumento delle aliquote IVA) all’incirca per 23 miliardi di euro (9,4 aggiuntivi) sul 2020 e 28 miliardi di euro (13 aggiuntivi) sul 2021. Oltre alla dubbia realizzabilità dell’intervento sulle privatizzazioni, le stime del PIL per il 2019 scende ulteriormente (1,5% era quella originaria, quando tutti discettavano di illusori effetti moltiplicatori) dall’1% del Governo, secondo l’aggiornamento del quadro di macroeconomia e finanza pubblica, allo 0,6% di Banca d’Italia (che peraltro, criteri consueti alla mano, va considerata stima ottimistica) e del Fondo Monetario Internazionale. Il tutto avrà, come ormai ovvio a tutti, ripercussioni sul parametro debito/PIL portandolo, invece che a diminuire, ad alzarsi ulteriormente (ben oltre il 132% attuale) senza interventi correttivi.

GLI INTERVENTI CORRETTIVI
Va qui chiarito, a futura memoria, che gli “interventi correttivi” possono essere di più tipi: o nella forma di (i) una contrazione delle spese originariamente autorizzate, come da potere delegato al Ministro dell’economia in casi di scostamento dei saldi di bilancio approvati; o con il ricorso alla leva fiscale straordinaria, con (ii) una manovra di inasprimento della pressione fiscale (patrimoniale) o con (iii) una manovra di sanatoria retroattiva (condono). Nessuna di queste alternative, però, appare politicamente praticabile da questa maggioranza “prima” delle elezioni europee di fine maggio. Con ciò intendendo che è molto probabile che la questione si porrà solo dopo – e in ordine a quale risultato – l’esito elettorale (che, en passant, ricordo si giochi con il sistema proporzionale puro, a differenza delle elezioni politiche). Ma, a quel punto, cinque mesi del 2019 se ne saranno già andati e la correzione sarà più difficile; ancor più tenendo conto dell’incombente (da lì a pochi mesi) discussione della manovra 2020, con le già citate clausole di salvaguardia IVA che pendono come spada di Damocle. Già queste, di alternative, lasciano invero poco allegri.

Vi sarebbe, però (e a chi scrive pare sempre più evidente), un’altra strada (auspicata?) nelle valutazioni dell’attuale maggioranza. Scommessa ancora più “al buio” della manovra 2019 e, come tutte le scommesse al buio, pericolosa. Molto, pericolosa (agli occhi di chi scrive), economicamente parlando.

Tutto nasce da quel famoso più volte evocato (esistente o meno, poco importa) “piano B”, sotterrato in fretta e furia per le polemiche che ne sono conseguite, ma le cui ceneri non sono mai sopite del tutto. O, volendo arrivare a spunti più recenti, per ciò che emerge dalle affermazioni espresse in questi giorni (che rubricheremo sotto il titolo: “date le circostanze”) dei presidenti di Commissione, On.le Borghi e Sen. Bagnai. “Date le circostanze” è espressione contenuta in alcuni tweet (due, in particolare, del primo) che rappresentano il senso di alcune loro risposte ai propri interlocutori; questi, frettolosamente, auspicando maggiore velocità su supposti interventi contro la moneta unica e contro l’impianto delle regole europee, li incalzavano chiedendo ragioni dell’apparente immobilismo su detti temi od anche delle ragioni dell’aver ceduto alle (presunte) imposizioni della UE e, per risposta, ottenevano rassicurazioni basate sul consolidamento delle posizioni di forza (“essenziale avere un governo nazionale forte, coeso, sostenuto dagli apparati per trattare qualsiasi cosa”, Bagnai) connesse all’evolversi del tempo (o, talvolta meno sibillinamente, citando “la partita da giocarsi a maggio”, Borghi). Cioè, ove servisse esplicitarlo, le prossime elezioni europee, appunto.

CONCLUSIONI
Intendiamoci, che degli esponenti politici esprimano le loro valutazioni politiche è pienamente legittimo; che cerchino di celarle agli occhi dei più, in virtù di una prossima contesa elettorale, altrettanto. Forse non troppo trasparente, ma comprensibile, oltre che legittimo. Ma il senso resta che la strada alternativa, ulteriormente individuabile per “rispondere” ai problemi economici sin qui trattati, si fonda nell’aspettativa di un risultato elettorale europeo che consenta di modificare dal di dentro e in tempi brevi l’intero impianto delle regole europee di bilancio, così che, una volta modificate, non si possa parlare più di sforamenti eccessivi sanzionabili, spostando la discussione unicamente sul piano interno di opportunità o meno di attuare maggiore disciplina o maggior lassismo nei numeri. Ove fosse vinta la scommessa, non cambierebbe la sostanza, che resta la (in)sostenibilità del debito pubblico nel tempo, ma la forma, venendo meno (in tutto o in parte) il “vincolo esterno” che fin qui ci ha accompagnato. Solo, questo vorrebbe dire l’inizio della fine (dell’euro, per loro; della credibilità economica del nostro Paese, per chi ritiene tale obiettivo una sciagura). Mentre, ove fosse persa (la scommessa, sempre), correggere i conti sarebbe ancor più gravoso, poiché dopo annunci e rinvii, qualcosa resterà: gli aumenti IVA.

Scrivere queste cose non è di per sé semplice; ed ancor più, oggi è difficile per il rischio di ritorsioni cui ci si espone. Ma il dibattito deve poter continuare ad essere libero, per far si che le persone comuni siano informate non già dalle trombe della propaganda (da qualsiasi parte provenga), bensì dalle (flebili) voci della ragione (che discutono fra loro, anche da sponde opposte). Perché, a ben vedere, la propaganda è più pericolosa delle cattive idee che la alimentano: ne impedisce la diffusione degli antidoti per queste ultime.

ANNUNCIARE E RIMANDARE, QUALCOSA RESTERÀ L’analisi più completa della manovra economica del governo. Implacabile.ultima modifica: 2019-01-22T18:01:44+01:00da bezzifer
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