Sindrome 1933-2019

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Siegmund Ginzberg è un signore che ha molto scritto, letto e viaggiato. E all’età di 70 anni si è cimentato in un libro rischiosissimo, quindi benvenuto: “Sindrome 1933“, da poco edito da Feltrinelli.

Rischiosissimo, perché – da quando il filosofo Leo Strauss ha coniato l’espressione “reductio ad hitlerum” – è cosa assai scivolosa andare a cercare paragoni tra qualsiasi presente e il tempo del Führer: quei 12 anni dal 1933 al 1945, con la loro follia e i loro campi di sterminio.

Ma Ginzberg non ha paura dell’inevitabile, quasi pavloviana, accusa che gli può piovere addosso: quella di “reductio ad hitlerum”, appunto. Sa bene che non siamo ad Auschwitz e neanche alla Kristallnacht, ma non ha paura di indagare su un clima, su una situazione culturale, su un ambiente, su un approccio diffuso. Facendo risaltare come l’ambiente, il clima e il sentire diffuso nella Germania del 1933 presenti impressionanti similitudini con quello attuale in Italia.

Ripeto: non si tratta di paragonare Salvini a Hitler e Morisi a Goebbels. Quella sarebbe davvero banalità. Tra l’altro, il primo nel libro è nominato pochissimo, il secondo neppure citato. Quella di Ginzberg è invece un’accurata ricostruzione di un clima sociale e culturale.

Ginzberg lo fa, anzitutto, andandosi a rileggere uno per uno i quotidiani dell’epoca, che era ancora priva di social network. Trovando peraltro un panorama di testate che somigliano parecchio a quelle fasciotrash nostrane, Libero, La Verità e così via.

Era lì – su quelle pagine – che si specchiavano i sentimenti peggiori e li si legittimava, li si carburava, insomma si gonfiava l’intestino di rabbia.

Era lì che si attaccavano ogni giorno gli immigrati, che nel caso specifico erano ebrei in fuga dai pogrom nell’Europa orientale: ogni fatto di cronaca nera che avesse come protagonista uno di loro veniva urlato ed enfatizzato, a stimolare l’odio. Era lì che ci si indignava o si sghignazzava per i loro comportamenti, i loro cibi, i loro presunti privilegi e così via.

Gli ebrei di allora svolgevano esattamente la funzione degli immigrati di oggi: trovare un colpevole verso cui indirizzare la rabbia per la crisi economica che aveva devastato Weimar dopo la Prima Guerra mondiale.

A proposito: una classe politica fallimentare, chiusa nei suoi giochetti di palazzo, si era intanto fatta odiare per non aver saputo ricostruire, per essersi arroccata nei corridoi del potere a Berlino: e quindi prestava il fianco facilmente, con la propria ignavia, al gigantesco vaffanculo con cui la onoravano ogni giorno più tedeschi, vaffanculo rapidamente incamerato dal partito antisistema fondato da Hitler.

In questa classe politica pascolavano, tra l’altro, anche i socialdemocratici, spesso al governo con i centristi o comunque sostenitori dell’establishment.

Di qui la narrazione dicotomica in cui milioni di tedeschi iniziarono a credere: da un lato gli ebrei, i politici, i socialdemocratici e le élite; dall’altro il popolo, parola nobile eppure rapidamente rapinata dallo Nsdap, il partito di Hitler, che iniziò a usarla a dismisura autorappresentandosi come portatore dei suoi interessi in contrasto con ebrei, élite, casta dei politici, intellettuali, socialdemocratici etc.

E poi, il riduzionismo: Il riduzionismo di tanti tedeschi convinti che Hitler non fosse poi così brutto come gli avversari lo dipingevano, si va beh strilla in piazza ma sa anche mettersi la cravatta, vedrete che alla fine verrà normalizzato da un’alleanza con le destre storiche, «non finiremo come in Italia dove c’è Mussolini» (giuro: Ginzberg cita fior di teste d’uovo convinte che la cancelleria di Hitler non sarebbe mai stata dittatoriale come il governo di Mussolini…).

Ma – intellettuali a parte – la parte più interessante della ricerca sul 1933 di Ginzberg sono i “segnali deboli”, quelli che provenivano dalla società. Piccoli fatti di cronaca appena riportati, di solito insulti per strada a ebrei, un tizio che rifiuta di farsi tagliare i capelli da un barbiere quando scopre che è ebreo, una lettera a un giornale in cui una lettrice si lamenta perché la tal negoziante ebrea fa i prezzi troppo alti, altra gente che scrive arrabbiata perché gli ebrei rubano loro i sussidi sociali. E così via.

Sono questi infiniti segnali deboli a farci rivivere il clima, appunto. In cui chi si opponeva al mainstream antiebraico era un pappamolle, un membro dell’élite, un pietista. Vi ricorda nulla?

No, non c’è nessuna “reductio ad hitlerum” nell’impressionante libro di Ginzberg. C’è lo studio e la rievocazione di un ambiente storico, di una fase impazzita che evidentemente l’umanità ciclicamente attraversa, nei momenti di paura e di crisi.

In fondo, ce l’aveva già spiegato bene il nostro Manzoni, tantissimi anni fa, con la sua Storia della colonna infame, e siamo sempre lì, al buon senso che cede al senso comune.

Sindrome 1933-2019ultima modifica: 2019-05-20T18:05:20+02:00da bezzifer
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