Smettiamola di piangerci addosso creando paure oddio e rancore e ripartiamo da ciò che fa grande l’Italia.

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Siamo l’economia più circolare d’Europa, abbiamo una manifattura innovativa, una cultura che crea valore: eppure non lo sappiamo o, se lo sappiamo, non ci crediamo. Davvero penseremo di cavarcela solo coi capri espiatori e le gufate?

I migranti cattivi che ci rubano il lavoro e ci fanno sentire insicuri. L’Europa cattiva che non ci fa spendere i nostri soldi. La finanza cattiva che per qualche imperscrutabile motivo ce l’ha con noi. La Francia e la Germania cattive che ci vogliono distruggere e spolpare. Non c’è che dire: in questo prima anno e mezza di era gialloverde abbiamo fatto il pieno di capri espiatori e di nemici esterni. Nel farlo, tuttavia, abbiamo pure fatto il pieno di negatività. Molti nemici, molto onore, certo, come diceva quello. Ma molti nemici vuol dire anche molta paura. Sopratutto, molte debolezze, che in questi mesi sono state ostentate e messe a vessillo del Paese per dimostrare che gli italiani avessero tutte le ragioni per essere spaventati e incazzati.

Et volià, come una profezia che si auto-avvera ecco la caduta del Pil sotto il livello del mare, la frenata degli investimenti, la crisi di fiducia di imprenditori e consumatori sul futuro del Paese. Una gigantesca auto-gufata congiunta di maggioranza e opposizione: la prima, per andare pugni chiusi e cappello in mano a chiedere soldi da spendere. La seconda, per dimostrare che si stava meglio quando si stava col Pd. Entrambe, perché prive di un pensiero e di una visione sul futuro del Paese, sul ruolo che dovrà giocare nella grande transizione energetica alle rinnovabili, su che partita giocherà nella ricollocazione su scala globale della manifattura, sui valori e sulla cultura che incarneremo nel mondo che verrà, sempre più schiacciato sulla dialettica tra Usa e Cina.

Provate a chiedervelo: come descrivereste oggi l’Italia a uno straniero che non l’ha mai vista, che non sa cos’è? La diciamo meglio: avreste qualcosa di bello da dire, oltre all’elenco dei guai? Avreste un luogo ideale a cui tendere, per scappare dalle miserie quotidiane? Qualcosa per cui lottare, da difendere come fosse l’ultimo tesoro rimasto? Rispondiamo noi per voi. O meglio, lasciamo che sia Ipsos a farlo, che nel contesto del rapporto I.T.A.L.I.A. di Fondazione Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison presentata ieri a Treia nell’ambito del Festival delle Qualità Italiane ha messo in luce come gli italiani non abbiano percezione dei loro punti di forza. Due esempi: l’Italia è tra i primi 10 Paesi al mondo per investimenti in ricerca e sviluppo, ma solo il 13% degli italiani ne è consapevole, e addirittura quasi uno su due (45%) la ritiene una notizia poco attendibile. Ancora, siamo il primo Paese europeo per riciclo di rifiuti col 76,9% del totale di quelli prodotti, ma solo un italiano su 10 lo sa e addirittura il 51% ritiene questa notizia non credibile.

Domanda: può un Paese tornare grande se non si ritiene tale nemmeno quando, per merito o accidente, lo è?

Domanda: può un Paese tornare grande se non si ritiene tale nemmeno quando, per merito o accidente, lo è? Può un Paese sopravvivere a una classe politica – maggioranza e opposizione – incapace anche solo di ridare un po’ di orgoglio e un po’ di prospettiva al suo tessuto economico e sociale? Può un Paese dimenticarsi di essere tra i Paesi più innovativi, più eco-sostenibili, più attraenti per i turisti, più in grado di poter contare sull’effetto leva della cultura e della creatività al mondo. Ad esempio, lo sapevate che ogni kg di risorsa consumata, da noi, produce il 4 euro di Pil, quasi il doppio rispetto alla Germania o alla media europea? O ancora, sapevate che stiamo investendo in robot industriali – sempre sia lodata impresa 4.0 – come pochi altri al mondo nella robotica applicata alla manifattura – +27% nella moda, +21% nel legno-arredo, +23% nella metalmeccanica – senza che tutto questo stia pregiudicando in alcun modo il tasso di occupazione, che invece sta crescendo, così come del resto continua a crescere l’export di made in Italy? O che abbiamo una filiera culturale capace di stimolare valore per 265 miliardi, il 16% del nostro valore aggiunto nazionale?

Sono le ciliegie migliori dell’albero? Certo, non c’è alcun dubbio. Così come non c’è alcun dubbio che nascondere quelle marce serva a poco. Ma se non sappiamo nemmeno di averle, le ciliegie buone, cosa ci impedisce di abbattere l’albero? E se non comprendiamo che sono proprio loro, le nostre eccellenze – parola terribile, ma non ce ne viene in mente un’altra – a definire cosa potremmo diventare, che visione possiamo avere del Paese se non quella di un relitto che si inabissa? E se non sappiamo leggere queste specificità, che ci parlano di eco-sostenibilità, di circolarità, di innovazione e di cultura, come possiamo sperare di non essere subalterni ad altri modelli culturali, ad altre potenze economiche ben più consapevoli di quel che sono? Pensiamoci due secondi, almeno una volta all’anno.

Smettiamola di piangerci addosso creando paure oddio e rancore e ripartiamo da ciò che fa grande l’Italia.ultima modifica: 2019-07-07T09:40:07+02:00da bezzifer
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