Grande partecipazione alla marcia dei primi cittadini venuti da tutta Italia per “fare da scorta” alla senatrice, vittima di minacce antisemite. Una chiamata a non cedere all’odio e a tenere viva la Memoria. Il racconto e le voci dei partecipanti

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L’abbraccio di Milano a Liliana Segre.

Stretti come sardine, più delle sardine. Così, con una folla difficile da contare, Milano ha accolto centinaia di sindaci per la marcia organizzata su iniziativa del primo cittadino Giuseppe Sala insieme a Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, contro l’odio e in sostegno di Liliana Segre, la sopravvissuta di Auschwitz senatrice a vita e promotrice di quella commissione parlamentare contro l’hate speech che tante critiche le ha portato. Di più, veri e propri insulti e minacce, soprattutto online, perpetrati da anonimi incivili che, forti dello schermo che li separa dal resto del mondo, si sentono liberi di scrivere le oscenità più brutali. È paradossale che questo succeda proprio ad una donna che è scampata agli orrori del campo di concentramento, e che con l’odio dovrebbe aver dato abbastanza. Vergognoso che, a distanza di tanti anni, su tutti debba essere proprio lei a tornare in piazza, in parlamento, nelle scuole e in televisione per ripetere ancora una volta che no, l’odio non è la soluzione, con l’odio non si va da nessuna parte. Ma tant’è. Lo fa, lo deve fare, da lottatrice qual è stata e qual è, perché, come ben dice il direttore de Linkiesta nel suo editoriale di oggi, viviamo in un mondo al contrario, e dovremo pur cercare di sistemarlo.

Per fortuna, Liliana Segre ha trovato tanti dietro di sé a sostenerla. Perché l’Italia vera non è quella degli odiatori seriali, dei leoni da tastiera, degli insultatori professionali. È proprio questo il senso che ha mosso l’iniziativa dei sindaci, nella città di cui è originaria e beniamina: un cordone di primi cittadini venuti da tutta Italia a “farle da scorta”, a nome di tutte le loro città. Al di là del colore e dell’orientamento politico. Ne erano previsti 600, ma ne sono arrivati anche di più. «Forse 1000», dice Segre dal palco. Il corteo è fin dall’inizio affollatissimo, la gente un po’ si spintona, qualcuno lamenta che non si riesce a passare. Non facile in effetti riuscire a infilare tutti nella galleria Vittorio Emanuele, per la prima volta attraversata da una manifestazione pubblica. In prima linea ci sono Giuseppe Sala, il sindaco di Palermo Orlando, quello di Bergamo Gori, quello di Bari Antonio Decaro. E tanti, tanti altri sono in mezzo alla folla, mescolati ai comuni cittadini, distinguibili solo dalla fascia tricolore che indossano. Segre li incontra al centro della Galleria. «Vorrei stringerle la mano», dice una signora, sorridente. Malgrado la ressa dei giornalisti che saltano l’uno sull’altro per catturare il momento, i flash delle macchine fotografiche e i vigili e volontari che si sbracciano per fare largo ai protagonisti tra la folla, l’atmosfera è allegra. «Liliana! Liliana!», urlano. Sotto il brillio della cupola, a un paio di settimane dal Natale, le luci sembrano festeggiare lei.

«Siamo pronti a tornare in piazza in continuazione se questo clima d’odio non cambierà»

Beppe Sala

Gialla e grande è la scritta sul palco, “L’odio non ha futuro”, su cui viene condotta la senatrice, accompagnata dall’uomo della scorta. Perché per quanto folle possa essere, ha bisogno della scorta, Liliana Segre. Da sopravvissuta alla Seconda guerra mondiale e allo sterminio degli ebrei, oggi ha bisogno di protezione, perché c’è ancora qualcuno che potrebbe volerle fare del male. Se non ce l’hanno fatta i nazisti non può farlo nessuno, verrebbe da dire. Eppure, così è: una figura troppo grande, una testimone troppo preziosa della memoria storica del nostro Paese per permettere che possa rischiare di trovarsi in pericolo.

«Siamo pronti a tornare in piazza in continuazione se questo clima d’odio non cambierà» annuncia Beppe Sala dal microfono. Fragoroso è l’applauso che si leva da una piazza della Scala gremita. Ai piedi della statua di Leonardo, una coppia di anziani sfodera degli sgabelli da campeggio: prevedendo che non ci sarebbe stato posto per sedersi, si sono attrezzati. La parola passa subito a Segre, protagonista della serata: «Ringrazio i sindaci che hanno voluto essere qui a rappresentare un sentimento condiviso. Non fa nemmeno freddo perché siamo qui a parlare di amore. Lasciamo l’odio agli anonimi della tastiera e guardiamoci da amici». Il riferimento è ad una poesia di Primo Levi, dove l’amico può anche essere quello incontrato solo per un attimo, e però capace di restare. Il discorso è breve, ma carico d’intensità. «Io ho conosciuto l’odio, ho conosciuto cosa significa diventare un rifiuto. Quando ho trovato la forza di raccontare, sono andata nelle scuole: credo nei ragazzi perché ciò che ho visto io non si ripeta più».

«Una volta ho invitato Liliana Segre nella scuola del mio quartiere. È venuta, è stata un’emozione»

La senatrice si rivolge poi ai primi cittadini: «Sindaci, voi avete una missione difficile, ma il vostro impegno può essere decisivo anche nella trasmissione della memoria. Luoghi, nomi, lapidi, pietre d’inciampo, musei e istituti storici: sta a voi e alla sensibilità delle amministrazioni comunali fare sì che questo patrimonio non vada perso. L’odio si combatte anche tenendo viva una memoria condivisa delle tragedie che le generazioni passate hanno subito». A distanza di appena due giorni dal funerale di Pietro Terracina, un altro dei superstiti, ormai sempre più scarsi, dei campi di concentramento nazisti, questo è l’impegno a cui i primi cittadini sono chiamati: non lasciar passare questa memoria, non lasciare che cada nell’indifferenza, ma coltivarla e trasmetterla alle nuove generazioni di cittadini.

Di facce giovani, però, se ne vedono poche. «Ma non sono tutti davanti?», chiede la signora seduta sul suo sgabellino. Anche lei ha vissuto il tempo della guerra; la sventura fu che arrivò con la sua famiglia dall’Argentina nel ’38. «Fu mio zio a venire ad accoglierci, ci disse “Ma siete matti? Qui sta per scoppiare una guerra!”», racconta. A Roma erano riusciti a scampare i bombardamenti, ma il peso del conflitto entrava anche tra le pareti di casa. «Io ero solo una bambina, ma la fame me la ricordo», dice. La guerra le ha portato via il fratello maggiore, caduto lungo la linea Gotica, il fronte tedesco di 300 chilometri sugli appennini tra Toscana, Emilia e Umbria. Una ferita che non si è mai rimarginata, e che ora le fa gli occhi lucidi. Oggi, lei e il marito sono membri dell’Anpi e dell’Aned, l’associazione nazionale degli ex deportati nei campi nazisti. Anche lì, purtroppo, i giovani scarseggiano. «Almeno con gli studenti organizzano i viaggi ad Auschwitz e Mauthausen», sospira lui. Un’altra, piccola aggiunta all’attività di testimonianza che Segre e persone come lei portano da anni tra i più giovani. «Una volta l’ho invitata nella scuola del mio quartiere. È venuta, è stata un’emozione», dice ancora la signora. Sì, ascoltare la senatrice, il suo racconto in prima persona, è una fortuna e un monito per tutti. Ma sappiamo anche che questo privilegio ha una scadenza, perciò il testimone va passato. La speranza è che la piazza non si dimentichi mai di rispondere.

Grande partecipazione alla marcia dei primi cittadini venuti da tutta Italia per “fare da scorta” alla senatrice, vittima di minacce antisemite. Una chiamata a non cedere all’odio e a tenere viva la Memoria. Il racconto e le voci dei partecipantiultima modifica: 2019-12-11T10:51:16+01:00da bezzifer
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