Tutte le domande e i dubbi sul nuovo governo a tre teste.

Al netto delle polemiche sulla sua composizione e degli attriti con la Presidenza della Repubblica per il “gran rifiuto” sul nome di un ministro, il Governo che ha appena giurato ha già una caratteristica e un merito.

La caratteristica – tutta da valutare nel prosieguo del suo cammino istituzionale – è la sua natura “a tre teste”; come un novello Cerbero – il cane a tre teste posto a guardia dell’ingresso agli Inferi –  infatti, vede un Presidente del Consiglio, che per Costituzione è responsabile dell’indirizzo politico del Governo e del suo coordinamento, tuttora silente e due vicepresidenti politici (uno ciascuno, entrambi contemporaneamente a capo dei due Partiti che hanno dato il via a questa inedita alleanza) decisamente loquaci, fin quasi da contenere, stante l’impressione che danno di essere ancora in campagna elettorale. Come coesisteranno, e come (se) ciò verrà ricondotto nel solco costituzionale dell’attività di Governo, sarà interessante da osservare.

Il merito, a ben vedere ancora più interessante da rilevare, è invece che con la formazione di questo Governo si è riportato al centro dell’attenzione i “contenuti” delle proposte avanzate, e con essi la valutazione “tecnica” della fattibilità delle promesse elettorali, soprattutto in campo economico. Non già certo per volontà precipua del novello Consiglio dei ministri, bensì come “reazione” inconsapevole, e a questo contrapposta, dovuta al dibattito generato da quegli analisti (non molti, per la verità) che hanno cercato di basare il proprio giudizio sulla “sostenibilità razionale” di ciò che sta per essere (o si pensa che verrà) fatto. Non già dunque un immotivato fronte contrario all’attuale maggioranza, infatti, necessita al Paese, ma analisi serie, motivate e razionali su cui costruire l’argine (in democrazia funziona così) agli eventuali (troppi) rischi a cui l’azione del Governo potrebbe esporre il Paese. Con l’auspicio, ovviamente, che sia lavoro (tecnico) inutile e che le preoccupazioni (tante, ad oggi), anche di chi qui scrive, si rivelino infondate.

Il programma economico, infatti, è al centro delle attenzioni, vuoi per alcune proposte (anche) innovative avanzate (nel “contratto” di Governo) o vuoi per il clamore mediatico di ciò che è stato detto (da alcuni ministri e da autorevoli membri dei rispettivi partiti di maggioranza) ma che non è stato scritto. Alcuni temi, infatti, spiccano di gran lunga, sulle altre parti del programma, ed è su questi che ci soffermeremo in queste brevi riflessioni.

Secondo le stime dell’Osservatorio sui Conti Pubblici guidato da Cottarelli (invero, poi “mancato premier” di un possibile Governo di transizione), l’applicazione del programma contenuto nel “contratto di Governo” comporterebbe maggiori spese per circa cento miliardi di euro, senza che ne vengano però indicate dagli estensori le coperture ipotizzate (e necessarie, ex art. 81 della Costituzione vigente). Invero, gli esponenti della maggioranza, pur tranquillizzando genericamente sull’esistenza delle coperture, parlano apertamente di una politica a “maggior deficit”, anche forzando (rectius, “trattando con i partner europei”) i trattati internazionali (cui siamo vincolati, ex art. 117, primo comma, della Costituzione vigente) e mettendo in discussione il principio generale del “pareggio di bilancio” (che tiene comunque conto del ciclo economico, sempre ai sensi del già citato art. 81). Tale quadro (ancora ad oggi) nebuloso è, di tutta evidenza, foriero di incertezze valutative e rende difficile fare ora previsioni oggettivamente attendibili; del pari, il perdurare di dette incertezze determina inevitabilmente perdita progressiva di credibilità sui mercati finanziari. A tal proposito, a chi porta l’attenzione sul fatto che mercati e spread oggi siano migliori di quando, pochi giorni or sono, era scoppiata la (nervosa) reazione finanziaria alle (insistenti) voci sulle intenzioni di attuare l’ormai famoso Piano B sull’Euro, va fatto presente che i mercati “non votano”, ma invero “anticipano” ciò che si pensa stia per accadere, attraverso una regola aurea: “sell first, ask later”. Di conseguenza, appare ovvio rilevare che il nervosismo sui mercati sia partito “prima” della formazione del Governo, non si sia “arrestato” subitaneamente all’incarico dato a Cottarelli (il cui compito di formare un Governo di minoranza o, peggio, di traghettatore a nuove elezioni a breve, apriva ad ulteriori incertezze), abbiano iniziato a ripiegare nel corso del suo mandato esplorativo e si sono ancor più attenuate (ma non tornando al livello della situazione pre-crisi istituzionale) con la formazione del Governo ora in carica; al quale, sfruttando l’effetto di maggior stabilità politica rispetto all’alternativa di una nuova tornata elettorale, è concessa implicitamente una finestra temporale in cui tutti (mercati, analisti, opinione pubblica, Istituzioni e cittadini) si aspettano risposte concrete.

Proprio per questo, proprio in questo frangente temporale, nelle more di ricevere quelle risposte, come detto, attese, ora occorre dire con chiarezza alcune cose in materia economica, per più motivi: come monito all’attuale compagine di Governo, affinché (fuor di tatticismi elettorali) ne sappia tener conto per evitare di incamminarsi su chine troppo perigliose; come base per individuare “da dove ripartire”, per chi voglia cimentarsi nel ricostruire un fronte alternativo che poggi su fondamenta (teoriche, economicamente parlando) solide e razionali.

Del Piano B sull’Euro, poi smentito senza troppa convinzione, e delle avvisaglie dei suoi effetti sui mercati, si è già accennato. Resta il fatto che, nonostante le prime parole del Ministro Tria ne abbiano scandito la sua negazione, la presenza nel Governo del Ministro Savona e, nel sottogoverno (o comunque molto vicini al Governo) dei vari Bagnai, Borghi e, nondimeno, Rinaldi – attivissimi nei social e nelle tv “proprio” sulla divulgazione delle tesi no-euro – lasciano esistente il dubbio, in virtù di quanto da loro affermato nel recente passato in ordine alla dissimulazione (“non si può uscire dall’Euro dicendolo prima”) e alle condizioni di necessità (occorre arrivare “alle condizioni” esogene di shock finanziario per “poterne uscire”). E, stranamente, i peraltro loquaci vicepresidenti del Consiglio nonché “capi” dei rispettivi partiti – in passato già “sostenitore” del referendum sul punto, Di Maio, e indossatore di felpe con scritte anti-Euro, Salvini – ne parlano flebilmente.

Della noncuranza di taluni esponenti della maggioranza per la difficile sostenibilità del nostro Debito Pubblico (citando spesso, fuori luogo, il Giappone, diversissimo da noi, nella sua struttura economico-finanziaria), del rischio di ulteriore sua crescita derivante dalla mancanza di coperture per i provvedimenti annunciati e dell’incertezza sui modi di intervento per ridurlo (e/o “metterlo in sicurezza”), occorrerà farsene una (amara) ragione. Fra l’altro, sul tema, basti pensare alla recente querelle tra la Gabanelli, che incautamente ha riportato come “verità condivisa” dei paper (o presunti tali) di alcuni autori ed è stata contestata polemicamente in più interventi da altri economisti e giornalisti economici (a dimostrazione che così “verità condivisa” non era), per comprendere quanto sia necessario porre la massima attenzione alla sostenibilità di ciò che viene proposto.

I tre cardini del programma economico del Governo attuale (e del rebus sulle coperture) possono essere riassunti nel (i) “superamento” (in campagna elettorale era “abolizione”) della riforma Fornero sulle pensioni, con la ormai anch’essa famosa “quota 100”, nella (ii) introduzione del “reddito di cittadinanza” (seppur già in parte ridimensionato per condizioni e tempistiche) e nella (iii) introduzione della “flat tax” (ovvero “tassa piatta”, unica aliquota fiscale per tutti i soggetti).

In realtà, però, oltre al rischio ridimensionamento (già prima incidentalmente indicato) delle prime due misure, la “tax” non sarà poi così “flat”: si parla infatti di una no tax area per i redditi più bassi, due aliquote al crescere del reddito (anche per le imprese), una tempistica progressiva scalettata negli anni per la sua implementazione (attivandola prima per le imprese, che già hanno un aliquota fissa, o la possibilità di optarvi, al 24 %) nonché vi è incertezza se comporterà innalzamento dell’IVA e la eventuale perdita di quali detrazioni/deduzioni.

Insomma, è evidente che, da un lato, le promesse elettorali si stanno già scontrando con gli ostacoli dei numeri mentre, dall’altro, finché non saranno chiari i tecnicismi delle proposte non sarà possibile valutarne la portata, gli effetti su consumi, sul PIL e la conseguente sostenibilità, o meno, delle coperture.

Quanto al PIL e al suo rilancio – come “mezzo” per generare le condizioni di “rientro” del Debito Pubblico (in termini di incidenza percentuale) e di “nuova spesa” (senza alterare il parametro del Deficit) – la strada di discontinuità individuata dal “contratto di Governo”, appare di dubbia sostenibilità. In sintesi, invece che agire sulla riduzione dei nostri “gap” di produttività e investimenti (anche privati), l’idea sottesa è che si vorrebbe sfruttare unicamente il “moltiplicatore keynesiano” della spesa per rilanciare il PIL in misura tale da ottenere successivamente una diminuzione di incidenza dei parametri Debito/PIL e Deficit/PIL. Orbene, tale assunto – che giustifica la richiesta di maggiore flessibilità sui vincoli di bilancio da portare ai partner europei – si scontra però con le valutazioni, antitetiche fra loro, di molti accademici sulla “misurazione” proprio del “moltiplicatore” della spesa, che varia in funzione di vari fattori (quali ad esempio il ciclo economico, il livello di indebitamento, il livello di propensione al risparmio, la correlazione con le dinamiche economiche internazionali, et al.) e che non è affatto univoco possa generare di per sé esiti positivi.  E, in caso di fallimento della “scommessa” ci si ritroverebbe con più debito, più deficit e meno credibilità sui mercati: le condizioni esogene, appunto, del prima citato “Piano B”, con tutto ciò che irrimediabilmente ne consegue (e che abbiamo già assaggiato in passato).

Va altresì detto, per completezza di trattazione, che il programma contenuto nel “contratto di Governo” parla (troppo) poco di contrasto (serio) all’evasione, anzi ammiccando (parte della maggioranza) ad una sorta di sanatoria fiscale – necessaria, forse, per i piccoli contribuenti in difficoltà, pur se già in parte attuata dai precedenti governi, ma deleteria per ragioni di equità sostanziale, ove applicata a tutti indistintamente e foriera di nuovo moral hazard – invece che cercando di riequilibrare, a parità di condizioni, le difese a tutela del contribuente onesto, magari attraverso un’Authority terza che agisca in via preventiva. E invece parla (troppo) discutibilmente di sistema bancario, finanche qualcuno ammiccando all’utilizzo pubblico di banca privata, avviluppandosi nella contraddizione di promettere l’eliminazione della pignorabilità della prima casa (che vorrebbe dire però meno nuovi mutui per le famiglie) e, contemporaneamente, più credito generalizzato (difficile da realizzare – se non con proposte mirate, agendo sulla sostenibilità del merito creditizio – nelle attuali condizioni del sistema bancario; ancor meno realizzabile, però, in termini di sostenibilità, uscendo dall’Euro).

Per quanto siano criticabili le mosse economiche dei Governi precedenti (e chi scrive non si è risparmiato in tal senso, ove ritenuto necessario), alla luce delle proposte economiche di questa maggioranza, la favola del “non potrebbero fare peggio” appare per quello che è: una favola. Quella che abbiamo di fronte è il progetto di una “grande scommessa”, al buio. Con un piano B, pericolosissimo. Ammesso che non annacquino prima le loro proposte, per sopravvivere al potere. Tre opzioni; vincere la scommessa è (per quanto se ne sa ad oggi) improbabile, il piano B o l’annacquamento, in misura diversa fra loro, vedrebbero peggiorare le condizioni del Paese. Come si sia ottenuto il “consenso” (elettorale) per arrivare sino qui, ritenendo credibili queste scorciatoie, è, invece, responsabilità di tutti. Ezio Vanoni, nel 1956, scrisse: “Voi [rivolto ai docenti universitari; vale però anche per i professionisti economico-giuridici e per i giornalisti economici, ndr] che avete nelle vostre mani gli strumenti della tecnica economica, potete e dovete diffondere questa persuasione in mezzo al popolo italiano: che non esistono miracoli, in economia, che non esistono macchine capaci di creare automaticamente il benessere, ma esistono modi di ragionare, esistono impegni che, se assunti in modo conseguente e lucido e con fondamento, possono portare ai risultati di sviluppo, di tranquillità, di equilibrio politico e sociale che interessano ognuno di noi” (“Discorsi sul programma di sviluppo economico”, Roma, Poligrafico dello Stato, 1956, p. 29; citato da Giovanni Marongiu ne “Una storia fiscale dell’Italia repubblicana”, 2017, G. Giappichelli Editore).

Tutte le domande e i dubbi sul nuovo governo a tre teste.ultima modifica: 2018-06-05T12:47:53+02:00da bezzifer
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