Pesantemente sconfitto alle elezioni del 4 marzo, il Partito democratico resta alle prese con un problema ormai patologico di leadership. In attesa del prossimo congresso, il reggente della segreteria Maurizio Martina prova a tenere unite le fila. Ma il socio di maggioranza del partito resta, seppure dietro le quinte, Matteo Renzi, e il destino del partito si lega inevitabilmente al suo futuro. L’ex premier punta a guidare il Nazareno anche nei prossimi anni.

Debole e divisa, la maggior garanzia per i legastellati è l’inconsistenza dell’opposizione.I risultati dei ballottaggi dimostrano l’assenza di un’alternativa solida al governo Conte. Il centrodestra (FI-FdI) è un’opposizione di facciata, il Pd perde anche nelle roccaforti. A guadagnarne è Salvini, il cui iper-attivismo mediatico offusca persino l’alleato 5 Stelle.

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Debole e diviso, forse persino impreparato. Davanti all’avanzata del governo legastellato, il fronte antipopulista si scopre inadeguato alla sfida. Se c’è un dato che può rassicurare Matteo Salvini e Luigi Di Maio sul futuro dell’esecutivo è proprio l’inconsistenza delle opposizioni, come hanno fotografato anche gli esiti dei ballottaggi. Intanto il tandem di governo continua a crescere nei sondaggi. Stando alle stime più recenti il Carroccio e i Cinque Stelle ormai avrebbero raggiunto il 60 per cento, voto più voto meno. Un bel salto in avanti, per due partiti che il 4 marzo avevano conquistato, rispettivamente, il 32 e il 17 per cento. È una ascesa rapida, a tratti imprevista e, per il momento, non priva di conseguenze. La crescente popolarità del leader leghista Salvini ha iniziato a preoccupare i grillini. La Lega vicina al 30 per cento insidia il primato pentastellato (secondo alcuni istituti di ricerca il sorpasso sarebbe già avvenuto). Intanto l’altro vicepremier, Luigi Di Maio, è sempre più in difficoltà. Offuscato dalla bulimia mediatica dell’alleato e pressato dai suoi stessi parlamentari.

L’assicurazione sulla vita del governo, però, è rappresentata dalle opposizioni. Finché gli avversari di Lega e Cinque Stelle proseguono su questo spartito, a Palazzo Chigi possono stare tranquilli. Da destra a sinistra, la mappa delle minoranze è sorprendentemente impalpabile. Ogni partito paga i propri errori e le tante debolezze. L’opposizione meno interessata a fare l’opposizione è proprio il centrodestra che infatti ha vinto molti ballottaggi trainato dalla Lega. Dopo che per settimane Di Maio aveva posto un veto sulla presenza di Silvio Berlusconi, Forza Italia non ha votato la fiducia al governo di Giuseppe Conte. In questi mesi il Cavaliere è il leader che si è schierato più apertamente contro il Movimento 5 Stelle: accusando i grillini, non sempre a torto, di giustizialismo, pauperismo e di aver portato in Parlamento una classe politica ignorante. Eppure da qualche tempo l’ex premier sembra sparito dalla scena. Non potendo rompere con Salvini – che di fatto gli ha soffiato la leadership del centrodestra – e non potendosi permettere, da imprenditore, di avere dei nemici a Palazzo Chigi, il Cav ha preferito fare un passo indietro. I suoi parlamentari voteranno contro i provvedimenti che non condividono, ma alle Camere nessuno si attende barricate. Dopotutto sono in molti, tra i deputati e i senatori forzisti, a sperare che la legislatura si interrompa prima del tempo per andare a nuove elezioni. Sarebbe l’occasione perfetta per tornare al governo, con una coalizione di centrodestra a forte trazione salviniana. Berlusconi lo sa, e agisce di conseguenza. Uomo d’affari e politico navigato, è consapevole che la sua classe dirigente, in Parlamento e nelle amministrazioni locali, è pronta a trasferirsi armi e bagagli con la Lega. In questo momento dichiarare apertamente la guerra al Carroccio potrebbe mettere a rischio la stessa esistenza di Forza Italia.

E poi ci sono i Fratelli d’Italia. La linea nazionalista e sovranista imposta da Matteo Salvini ha già conquistato gran parte dell’elettorato di Giorgia Meloni. Eppure, quando si è tratto di votare la fiducia, l’ex ministra ha deciso di astenersi nei confronti del governo Conte. Ha scelto un’opposizione mediatica, che nei fatti assomiglia più a una benevola neutralità. Dopotutto i rapporti con il Carroccio restano buoni, nessuno sembra avere troppa voglia di marcare la distanze. Non a caso i leghisti hanno spinto per affidare la poltrona di vicepresidente della Camera – in sostituzione del ministro Lorenzo Fontana – al capogruppo di FdI, Fabio Rampelli. Né stupisce che da via Bellerio si voglia affidare a Fratelli d’Italia anche la presidenza del Copasir, la commissione sui servizi segreti che il Partito democratico considera di propria pertinenza come principale forza di opposizione al governo Conte.

Dal centrodestra al centrosinistra, lo scenario è ancora peggiore. Pesantemente sconfitto alle elezioni del 4 marzo, il Partito democratico resta alle prese con un problema ormai patologico di leadership. In attesa del prossimo congresso, il reggente della segreteria Maurizio Martina prova a tenere unite le fila. Ma il socio di maggioranza del partito resta, seppure dietro le quinte, Matteo Renzi, e il destino del partito si lega inevitabilmente al suo futuro. L’ex premier punta a guidare il Nazareno anche nei prossimi anni, ma sembra aver definitivamente perso la popolarità che nel giro di poco tempo lo ha portato a Palazzo Chigi. Intanto la guerra tra correnti che si era riaccesa negli ultimi mesi è finita nel congelatore. Davanti all’incredibile avanzata di Lega e Cinque Stelle, i toni delle polemiche interne sono stati leggermente abbassati di tono. Eppure le scelte sulla nuova linea politica continuano a dividere il gruppo dirigente. Martina ha chiesto ai parlamentari di incalzare il governo sui temi concreti.Proprio pochi giorni fa i dem hanno presentato una proposta di legge per incentivare il Reddito di inclusione introdotto dal governo Gentiloni. Una misura per combattere la povertà e denunciare le irrealizzabili promesse grilline sul reddito di cittadinanza.

Inutile dire, però, che l’iperpresenzialismo mediatico di Salvini sta mettendo in crisi anche il Pd. «L’opposizione sta cadendo nella trappola di Salvini commentando ogni fesseria (anche gravissima) che dice», ha detto Carlo Calenda, ex ministro e protagonista della nuova fase al Nazareno. «E siccome Salvini ne dice dieci al giorni, finisce che l’agenda la fanno loro. Lavorare su alternativa, idee e proposte subito e mobilitarsi seriamente. Chiacchiere a zero». Facile a dirsi, molto meno a realizzarsi. Le Amministrative hanno indebolito ancora di più il Pd che ha perso a favore del centrodestra (e quindi di Salvini) in quelle che erano considerate Regioni Rosse. Tre città su tutte: Pisa, Siena e Massa. Imola è andata invece al Movimento 5 Stelle. Risultato finale: 28 sfide vinte dal centrodestra, 20 dal centrosinistra, 5 dai 5 Stelle.

Opposizione debole e frammentata, dunque. In alcuni casi persino sparita. Dove è finita la quarta gamba del centrodestra, il polo centrista, che avrebbe dovuto bilanciare l’estremismo leghista? Pochissimi gli eletti, scomparsi i simboli. I capi corrente d’area sono praticamente usciti di scena. Maurizio Lupi è iscritto al gruppo Misto della Camera, Raffaele Fitto si è ritirato in un momentaneo silenzio, Lorenzo Cesa è uscito dai radar. Rispetto alle ambizioni della vigilia ha finito per perdere consistenza anche il progetto politico della sinistra. Dopo il tracollo elettorale, Liberi e Uguali ha iniziato a perdere pezzi. A breve inizierà il tesseramento in vista del congresso. Entro fine anno Mdp e Sinistra Italiana concluderanno il percorso verso il partito unitario. Intanto Possibile, il partito di Pippo Civati, ha già preso le distanze e sta studiando un progetto comune con il movimento transnazionale di Yanis Varoufakis. E così si va avanti, in ordine sparso. Le iniziative fioriscono una dopo l’altra. È il caso, ad esempio, di Futura, la rete organizzata da Laura Boldrini. Ulteriore progetto fondativo nel campo progressista, ennesimo tentativo di dare vita un nuovo fronte antipopulista.

 

Pesantemente sconfitto alle elezioni del 4 marzo, il Partito democratico resta alle prese con un problema ormai patologico di leadership. In attesa del prossimo congresso, il reggente della segreteria Maurizio Martina prova a tenere unite le fila. Ma il socio di maggioranza del partito resta, seppure dietro le quinte, Matteo Renzi, e il destino del partito si lega inevitabilmente al suo futuro. L’ex premier punta a guidare il Nazareno anche nei prossimi anni.ultima modifica: 2018-06-25T17:28:49+02:00da bezzifer
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