GUARDARE AVANTI. Per contare non è indispensabile andare a palazzo Chigi. Ma bisogna avere le idee chiare e sapere che cosa fare per il bene del ITALIA.Vince chi guarda avanti. E’ sempre stato così.

E’ un POST un po’ lungo, ma per un Pd in cerca di idee può essere utile leggere.

Risultati immagini per GUARDARE AVANTI

 

 

Per capire cosa è ancora possibile fare bisogna partire dai fatti. Nel 2017 abbiamo avuto tutta una serie di condizioni favorevoli: buona congiuntura internazionale, aiuti di Draghi, persino pace sociale. Eppure ci si è mossi poco, meno di tutti gli altri. Perché?La risposta a questa domanda purtroppo non è difficile e si tira dietro tutto il resto.

 

Siamo cresciuti poco perché siamo un paese vecchio, burocratico, con poca concorrenza, nemico delle iniziative. Qualche anno fa si diceva, per scherzare, che se Bill Gates o Steve Jobs avessero fatto quello che hanno fatto a Napoli invece che in un garage in America sarebbero finiti arrestati dalla guardia di finanza o dai carabinieri del servizio anti-frodi e non sarebbero mai diventati grandi. Un po’ è vero.

E lo dimostrano anche studi molto seri e che andrebbero presi più in considerazione. L’Ocse, ad esempio, ha calcolato che fra il 2000 e il 2014 la produttività italiana è diminuita invece di aumentare. In termini più semplici questo significa che abbiamo imparato, e la cosa è paradossale, a fare peggio quello che facevamo già. Per fare le stesse cose, insomma, abbiamo avuto bisogno di usare più gente o più tempo, o entrambe le cose. E questa è un’assurdità: è naturale che, anno dopo anno, si impari a fare le stesse cose più in fretta e meglio, impiegando meno energie. Anche una colf o un contadino con la zappa riescono a aumentare la propria produttività, è sempre stato così.

Ma noi, come paese, siamo andati invece indietro, siamo peggiorati. E’ contro ogni logica. E’ un po’ come se i sassi prendessero a volare o i fiumi a andare verso le montagne. Ma è successo. Come mai? La risposta sta in una sola parola: burocrazia. Quando la burocrazia, i regolamenti, gli uffici lontani dalla realtà, prendono il comando accade appunto questo: si va indietro invece di andare avanti. Le procedure si complicano, i pareri si moltiplicano, gli interventi crescono.

La burocrazia non ha alcun interesse verso la produttività. Anzi, il suo esistere, il suo potere, la sua crescita dipendono proprio dal contrario.

Se uno fa scarpe il suo problema è quello di farne tante, e bene, nel minor tempo possibile. Se invece uno fa il burocrate, concede autorizzazioni, il suo problema consiste nel moltiplicare i timbri richiesti perché questo aumenta il suo potere di intervento, il suo ruolo via via sempre più centrale. Aumenta anche la corruzione: più permessi devo chiedere più occasioni ci sono perché qualcuno mi chieda una tangente. Ma questo è un discorso a parte.

Ci si deve domandare, per rimanere in tema, come mai si è lasciato uno spazio crescente alla burocrazia (e alla magistratura). Anche in questo caso la risposta non è complessa: burocrazia e magistratura si fanno avanti quando la politica va indietro. E è esattamente quello che è successo in Italia.

Se la politica non ha il coraggio di fare delle scelte, di prendere delle decisioni, di dare indirizzi, allora anche il più oscuro dei burocrati diventa potente. Sta a lui stabilire i tempi delle autorizzazioni, mettere o non mettere i timbri, far partire un’iniziativa o relegarla in un limbo.

In Italia questo fatto è ancora più complicato. Nel senso che è istituzionale. Per ragioni storiche (anche facili da comprendere) la nostra Costituzione è stata congegnata in modo che nessuno potesse veramente decidere nulla di importante. Ogni cosa di un certo rilievo deve necessariamente coinvolgere maggioranza e opposizione, sindacati e datori di lavoro. E’ una Costituzione nata dalla guerra, dopo vent’anni di fascismo e, giustamente, si aveva timore di qualche potere troppo forte. Allora si è scelto di andare verso un sistema di condivisione: ciò che non viene condiviso non si può fare. Ma la condivisione è un processo lungo, lento e che a volte non si conclude mai. Da qui una politica inconcludente: non poteva essere diversamente perché questo era ciò che si era stabilito.

Con interventi successivi si è poi peggiorata una situazione già pessima: si sono distribuiti i poteri, sempre in un disegno di massima condivisione. Il risultato è che in Italia c’è un soggetto che tassa (lo Stato) e che raccoglie il denaro dei cittadini e mille soggetti che spendono (comuni, regioni, province, enti vari). Si è costruita una specie di famiglia anomala: è il padre che porta a casa lo stipendio, ma sono tutti gli altri che decidono su come spenderlo, su come indebitarsi e cosa comprare.

Una famiglia fatta così non potrebbe funzionare. L’Italia non può funzionare. E quindi burocrazia e magistratura si fanno avanti e decidono, con i codici o con i regolamenti, quello che si deve fare. E’ la morte della politica. E’ ciò a cui abbiamo assistito in questi anni.

Come se ne esce? E’ facile, davanti a un computer o a un foglio bianco dettare ricette semplici. Ma non si tratta di fare questo. Il Pd sta cercando (come tutti gli altri partiti) di elaborare un programma per le prossime elezioni politiche. Non c’è niente da inventare.

Basta che il Pd torni sui propri passi. Basta che rilegga le sue proposte di riforma costituzionale bocciate il 4 dicembre 2016: le cose da fare stavano scritte là, il disegno di uno Stato non basato sulla condivisione estrema, sulla pace eterna fra le parti c’erano tutte. Magari scritte male o un po’ confuse. Ma c’erano.

Si tratta di fermarsi un attimo e di tornare a quei testi. Se non si fa questo, se non si cambia lo Stato e il nostro modo di essere società, non si andrà da alcuna parte. Si continuerà a girare in tondo intorno alla nostra bassa crescita, alla nostra declinante produttività, al nostro essere posseduti, di volta in volta, dalla burocrazia o dalla magistratura.

Detto questo (e, francamente, non era difficile) viene la parte complessa. Come si fa a fare queste cose, a cambiare lo Stato, in una situazione in cui la politica sembra essere arrivata al suo punto zero, divisa com’è in tre parti che non consentono alcuna vera maggioranza decisa, alcuna scelta ragionata, inquinata da un’ondata di populismo demente che pensa alla dieta vegana piuttosto che alle riforme?

La risposta può venire solo da quelli che fanno davvero la politica pena l’arrivo della Troika, mandata dall’Europa.

E avere chiaro in testa che il populismo, che oggi si porta via quasi metà dell’elettorato (almeno secondo i sondaggi) non è un fenomeno stabile, ma sempre passeggero. Non esistono populismi al potere, da nessuna parte. Ci sono le destre, le sinistre, le coalizioni destra-sinistra, ma i populisti no.

Non solo. Per definizione i populisti sono fenomeni temporanei, una sorta di malattia epidemica, che poi se ne va, misteriosamente, così come era arrivata. E se ne va tanto più in fretta se le cose cominciano a funzionare, anche solo un po’. Si può essere più precisi: il populismo muore quando torna la speranza in un cambiamento, in un miglioramento.

E’ quanto sta accadendo in questi giorni in Italia.

Se questo è vero, e è vero, la seconda cosa da fare è non arretrare mai. Diagnosi e possibile terapia vanno sempre indicate con chiarezza, senza mascheramenti. I voti, in questa fase, e lo stesso potere, contano fino a un certo punto.

Faccio sempre l’esempio di Ugo La Malfa (ma potrei fare anche quelli di Nino Andreatta e di Carlo Azeglio Ciampi, che nemmeno aveva un partito) e del suo Partito Repubblicano, che credo non abbia mai superato il 5 per cento dei consensi popolari. Ebbene, chiunque rilegga la storia italiana del dopoguerra vedrà che le idee di La Malfa hanno condizionato le nostre vicende assai più di quelle di altri, politicamente forti anche 6-7 volte tanto. Non è magia. La semplice verità è che La Malfa, che era colto e preparato, conosceva i meccanismi dentro i quali si stava muovendo la società italiana: e allora bastava qualche piccola spinta per prendere la giusta direzione.

Oggi la situazione è più complessa. E lo è perché siamo arrivati al punto in cui lo Stato, nella sua interezza, è franato. Non funziona più.

Ma, se abbiamo capito questo, abbiamo anche capito quale è il punto da tenere fermo. Il punto è  che con questo Stato, con questi assetti istituzionali, con queste regole che ci siamo dati, non si va da nessuna parte. Non esistono più piccoli aggiustamenti possibili. Non può funzionare un paese in cui un magistrato, anche di non elevato livello o un burocrate di bassa categoria, può sequestrare un impianto industriale o imporre comportamenti a altri corpi dello Stato mai decisi da alcuno.

Non può funzionare un paese in cui mille soggetti spendono e spandono lasciando a uno solo (lo Stato

centrale) l’obbligo di trovare le coperture.

Ma si può essere ancora più precisi: spesso ci si lamenta perché, si dice, siamo un paese a sovranità limitata. Questo è in parte vero politicamente. Ma è vero soprattutto sul piano economico. Un paese con 2300 miliardi di debiti ha inevitabilmente un padrone: i creditori. Da qui la necessità (il primo obiettivo, direi): ridurre il debito, non aumentarlo.

Se proviamo a tirare le fila di quanto appena detto nelle poche righe più sopra, si arriva rapidamente alla conclusione.

Capisco che quelli che fanno politica (penso a Matteo Renzi, ma anche a Silvio Berlusconi) puntano in alto e quindi a palazzo Chigi, alla conquista del potere. Ma per arrivare al cambiamento non è necessario, non è inevitabile.

Il Pd può anche rimanere un forte partito di opposizione, ma se ha le idee chiare, se tempesta il quartier generale non perché vengano aumentate le pensioni, ma perché si facciano riforme serie, allora è come se avesse già conquistato palazzo Chigi.

In sostanza, il Pd e Renzi vincono, al di là della mera conta dei voti, se riescono a essere, nel centro della società italiana, un blocco compatto pro-riforme. Se continuano a rappresentare l’idea di società che vorremmo essere, il nuovo.

Vince chi guarda avanti. E’ sempre stato così.

GUARDARE AVANTI. Per contare non è indispensabile andare a palazzo Chigi. Ma bisogna avere le idee chiare e sapere che cosa fare per il bene del ITALIA.Vince chi guarda avanti. E’ sempre stato così.ultima modifica: 2018-09-21T08:39:33+02:00da bezzifer
Reposta per primo quest’articolo
Share