Pd, tra apprendisti stregoni e accampamenti: 6 mesi per ripartire, se Renzi ci crede

La sera del 16 marzo, all’assemblea del mio circolo, ho deciso di restituire la tessera del Pd. La quarantasettesima, considerando il vecchio albero, la dodicesima dal Lingotto.

Non cambio il mio orientamento per un nuovo riformismo. In quella casa, con Emiliano, Cuperlo, Orlando, semplicemente, non posso più starci. Diventerei, nei fatti, nemico delle mie idee.

Un vecchio amico e compagno, tra gli unanimi che mi invitavano a desistere, mi ha suggerito una moratoria di due settimane dicendomi: aspetta almeno il referendum che si farà tra gli iscritti per decidere il sostegno a una soluzione presidenziale.
Tanta ingenuità mi ha commosso e confesso che sono stato tentato.

Non si farà nessun referendum. Questa genia teme, come il diavolo l’acqua santa, un pronunciamento della base che li sconfesserebbe, ancora una volta, irrimediabilmente, dimostrando che il ‘dimesso’ è ancora saldamente in comando.

Hanno costruito la segreteria con tutti dentro e la benedizione di un fine dicitore che ha indicato nella “regia del Colle” il nuovo segretario. Questo è quello che faranno: disporsi in fila, todos caballeros.

Scrivo questo post, veramente lungo, per dare pubblicamente ragione della mia decisione. Dolorosa ma necessaria.

L’attuale reggenza del Pd chiama i militanti al rito tanto frusto e periodico quanto puntualmente inetto della riflessione post factum e non rivendica l’orgoglio di aver difeso la ragione e di aver salvato il Paese dal fallimento, di aver proposto una riforma istituzionale in grado di mettere in sicurezza il sistema democratico, di aver dato all’Europa, da soli, dopo tanto parlare di radici cristiane, un esempio di umana solidarietà. La nozione di interesse nazionale si sposta dal suo valore essenziale e si muta in salvaguardia delle personali carriere.

Il lessico di questi giorni è invece tornato ad essere quello del 2008 all’indietro. Continuando così, il Pd si dileguerà come neve al sole. Déjà vu, dice Orfini, l’unico a non sbracare in questa Caporetto organizzata e annunciata. Assieme a quella splendida compagna che è Teresa Bellanova.

Io ci parlo ogni giorno con i disoccupati, gli evasori, i lavoratori in nero, i commercianti senza scontrini, gli immigrati super sfruttati. Ma parlo anche con quelli che lavorano e faticano a 1000 euro al mese, con quelli che pagano le tasse, che rispettano le regole, creano, espatriano e che hanno tirato la carretta della ripresa. Ditelo a questi che hanno votato Pd, convintamente, che volete riflettere sui contenuti proposti nel governo d’emergenza. Che bisogna capire chi picchia o spara a un diverso e dare il premio ai disoccupati disorganizzati del sud. Perderete loro e non conquisterete mai nessuno degli altri.

Di più – ed è questa l’essenziale ragione del mio disagio – il Pd ha perso , per malinteso democraticismo, l’etica della comunità che prevede luoghi e tempi della discussione, ma una volta deciso, non tollera la pratica della divisione.

Così è un attrezzo inservibile nel passaggio rischioso del ripetersi degli stalli istituzionali ai quali ci hanno condotto 40 anni di scelte rinviate nella riforma istituzionale.

Se questo Pd , alla prima violenta reazione della conservazione, pensa davvero che bisognava fare come la Lega nel cavalcare la paura e come i 5Stelle nel promettere reddito ai nulla facenti , vuol dire solo che tre primarie e due congressi sono passati come acqua su vetri sporchi di grasso. Vuol dire che il suo gruppo dirigente nazionale e diffuso non ha nessuna fondata e metabolizzata analisi dello stato delle cose. Vuol dire che non ha capito nulla di quel 41% all’europee e al referendum. Su entrambi i versanti, sicurezza e welfare il Pd è, nella sua burocrazia diffusa, prigioniero di concezioni vecchie, stantie, superate. Che trema ogni volta che sente invocare la tolleranza zero nella violazione della legalità e spaccia per progetti di solidarietà le pratiche parassitarie dei lavori socialmente utili sulle quali è ingrassato il cacicchismo nel sud.

Ce lo dice Macerata! Ce lo dice la Puglia! E il voto degli italiani all’estero – dopo tutta la retorica dei cervelli cosmopoliti in fuga – e il voto dei centri urbani di Milano, Torino, Firenze, Roma , questi non ci dicono niente? Questi è meglio sottacerli? Siamo un partito progetto o un supermercato?

Matteo Renzi, l’Antipatico, lui ha ammesso l’errore: non aver mantenuta la barra della coerenza, nelle sue analisi e nella sua condotta, dopo il Referendum. Da rottamatore ha fatto un passo indietro. Ma è errore tattico non strategico. Temporeggi pure, con un occhio ai suoi sostenitori: che non si disperdano intorno ai vecchi idoli.

Ma la domanda che pongo a tanti come a me è: quando si è avvitato il sistema? Quando l’arroganza delle oligarchie e le pratiche clientelari corruttive hanno infranto ogni diga? Quando – per dirla con l’ineffabile – si è “coriandolizzata” (sic) la società civile? Con quale classe dirigente? Con quali maestri del pensiero? Quante prove di un fallimento che data venti anni occorrono per tenersi alla larga da questa gattopardesca e inetta classe dirigente?

Si avanzano stuoli di maestrine riflessive, mentre il sistema in loop conferma tutti i contenuti delle piattaforme elaborate dalla prima Leopolda. A pochi minuti dallo spoglio i vecchi e nuovi corifei della sinistra neocom e del fronte referendario del No , a una sola voce, salgono sul carro decisionista e consigliano/intimano al Pd, autodecapitatosi, di arrendersi . Sembra il comunicato di una Direzione strategica dormiente che rivendica, al posto della srl milanese, padrona del marchio, la linea politica.

Persone intellettualmente oneste dovrebbero inorridire di fronte a questa compagnia che qualcuno continua a definire di intellettuali. E cosa sarebbe mai un intellettuale se non un verificatore dei fatti? Questi, tutti questi, negli ultimi cinque anni – ma molti vengono da più lontano – i fatti li hanno falsificati, inventati, sovrapponendogli le loro macabre ideologie. E dunque l’appello al sostegno dei 5Stelle da parte di costoro è l’indizio più terribile della pulsione totalitaria che anima quel movimento . In confronto Casa Pound e FN sono congreghe di nostalgici in costume.

Neanche questo è stato sufficiente all’intimorito gruppo dirigente del Nazareno, per fare uno scatto nell’orgoglio di partito.

Non si superano i passaggi cruciali con il codismo. Il codismo procura qualche strapuntino, non prepara rivincite. I passaggi cruciali si affrontano con un partito che sappia esprimere con la sua iniziativa “un grado di previsione” che dia fiducia ai pilastri portanti del futuro.

Non offre il capro espiatorio a folle di manipolati ed eterodiretti.

Dal 4 marzo tutta la rappresentazione per giungere a una qualche soluzione nella governance diventa pedagogica e vale incomparabilmente più di mille proclami.

Questi apprendisti stregoni che giocano al cialtrone in chief statunitense, senza averne le miniere e le ricchezze in loco per gridare “America first”, non hanno altra strada che allearsi e dare una tale sgangherata e disastrosa prova di sé, da valere mille Appendino e mille Raggi nella vaccinazione politica di massa.

È il prezzo da pagare a un ventennio che con il berlusconismo e l’antiberlusconismo ha bruciato ogni senso dello Stato, ha fanatizzato plebi inermi, ha lasciato il campo agli incendiari.
Il suicidio è pagare più del dovuto a questo tornante della storia, come qualcuno vorrebbe fare.

Se, Lega e 5 Stelle, invece, si tirano indietro, non avendo i polsi per governare congiuntamente con la verifica delle loro false promesse, si abbia il coraggio di convocare i comizi elettorali per un’Assemblea Costituente che ci dia una nuova Costituzione e una governance certa e duratura. Si tagli corto con tutti gli imbroglioni paludati e accademici, falsificatori di fatti, che calcano le scene da 40 anni.

A Roma dicono: “Te regge la pompa?”

Leggo citazioni di Cincinnato, di Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore e, anche, del Mao della lunga marcia. Si evocano dunque figure di condottieri che furono in grado di uscire vittoriosi da situazioni date irrimediabilmente per perdute. Ognuno dei citati aveva molto coraggio e fiducia nella ricognizione dei dati permanenti del terreno, della soggettività, del pensare al di là. Io scorgo uno solo che abbia qualche talento e il coraggio necessario per essere all’altezza dei tempi.

Chi è il leader

Anche a me piace evocare una qualche metafora che alluda alle strade che portino a far prevalere il senso comune ragionevole che appare, al momento, umiliato e battuto.

E la mia metafora è quella degli accampamenti.

Sono sparsi un po’ dovunque, dalle Alpi ai Lilibeo e anche extra moenia.

C’è innanzitutto l’accampamento principale, quello che ora è retto dal buon Martina. Resiste con la bandiera dell’opposizione ai conciliaboli che si tengono nelle tende dei vari generali. Ma assiste, imbelle. alla sguaiata epifania traditrice di un Emiliano, alla inettitudine debilitante di un Cuperlo, al corruttivo doroteismo di un Orlando. Un accampamento destinato, se non si libera dei cavalli di Troia, ad avere più generali che divisioni. Non vi ingannino le adesioni eccellenti – c’è una dote di sette milioni e mezzo di elettori e qualcuno pensa che a Matteo Renzi si possa sostituire Renzo Mattei – la realtà invece, dopo le prime debolissime reazioni è che l’emorragia dal basso, di chi ha visto mortificato il suo impegno dal quotidiano picconamento dei suoi presunti compagni di partito, senza che vi si opponesse una decisione, è costante. Di più, lo sventolio dell’opposizione a Salvini-Di Maio è un falso scopo per tenere buona la base sul punto di fare le valigie: quello che gli stremati generali in tenda realmente auspicano è il manifestarsi della “regia del Colle” per accodarsi con compunto sussiego. La fine della politica e del Pd.

C’ è l’accampamento dei laici radicali, europeisti senza se e senza ma, un po’ troppo tecnocratici, magari, sempre un po’ supponenti, ma decisi a non arrendersi agli eserciti barbarici convergenti da Nord e da Sud.

C’è l’accampamento dei Sindacalisti Liberi. Liberi dalla gabella corporativa, curiosi del futuro, tempratesi in quel di Taranto e di Piombino, nelle crisi aziendali, nella vincente ristrutturazione della Fiat, sempre più distanti dalle fumisterie inattuali del secolo passato.

A fianco, enorme e operoso, c’è l’accampamento dei Volontari, laici e cattolici. Una riserva strategica di altruismo e di coscienza civile. Da non confondere con quella mutualità di secondo tipo che è servita a drenare appalti e ad alimentare caporali e clientele o a farsi partitini ideologici in proprio , accampati intorno alle faglie di crisi, invitati nei salotti televisivi a pontificare sui loro Risiko all’amatriciana.

C’è il piccolo accampamento di tende rosse socialiste e di tende bianche, moderate, centriste, cattoliche . Meno numerosi delle bandiere che sventolano ma intellettualmente onesti e leali compagni di viaggio.

C’è l’accampamento di Pizzarotti, autentico interprete delle ragioni dei cittadini mobilitatisi contro il fallimento del feudalesimo partitocratico ma non succubi del totalitarismo di tipo nuovo. Nei Games of Throne sarebbero le truppe dei “secondi figli”. È, a torto molto sottovalutato, ma avrà meriti in un futuro molto prossimo.

C’è l’accampamento di Tosi il leghista pragmatico,ex amministratore di un territorio laborioso, che ha sperimentato la pesantezza delle burocrazie regionali. Lui sì una costola, ma del produttivismo infaticabile e creativo del Nord.

C’è l’accampamento degli Scampati. Quelli liberatisi da tutte le soggezioni ideologiche. In crescita e in attesa, con l’attitudine tipica dei cinici che ne hanno viste di cotte e di crude. Molti di questi non sono neanche andati a votare: gli è basto il rinculo del 5 dicembre 2016 per dire: “Ah, sì, avete scherzato”.

C’è l’accampamento dei Millennials dove uno vale per il merito di ciascuno, che ascoltano Jack Ma ed Elon Musk in inglese, inventano app, sognano viaggi interplanetari, curano la bellezza italiana in tutte le sue forme e guardano ai fratelli più grandi oltre confine senza timori e con ottimismo.

Chi ha a cuore il riformismo democratico e la patria deve seguire con cura questi accampamenti e lavorare a radunarli in un solo esercito. Senza ansia e senza correre ma con grande determinazione, liberandoli dei piccoli e grandi detriti che li frenano. Una nuova sintesi è di nuovo possibile. Oltre quel fatidico 41%.

Ma non la faranno mai i caminettoformati. Hanno la faccia tosta di presentare come leader del futuro (Zingaretti, ndr) un quadro del passato, che ha regnato a Roma nel periodo in cui si è sviluppato, fino a trionfare, il sistema consociativo di Buzzi e della terra di mezzo. Memorie corte.

Tempo al tempo. Lavoriamo a concentrare tutta la nostra intelligenza, coraggio e creatività sugli appuntamenti prossimi venturi quando sarà chiaro anche alle pietre dove risiede la rovina dell’Italia e che non si dà un’altra strada democratica se non quella di una grande riforma. Merkel e Macronnon ci faranno sconti: il precipizio del default, peggiore dei drammi della brexit inglese.

Naturalmente i miei suggerimenti li rivolgo, oltre che a me stesso, al neosenatore Matteo Renzi. Vada in ciascuno di questi accampamenti: è l’unico che ancora può entrarvi senza danno. Si sieda intorno ai loro fuochi, e ascolti. Dodici mesi buoni per prepararci agli appuntamenti decisivi con una grande riforma e facce nuove, tante e soprattutto di donne e di giovani.Nel frattempo mi sono iscritto a La Republique – En Marche Sezione di BRESCIA.

Pd, tra apprendisti stregoni e accampamenti: 6 mesi per ripartire, se Renzi ci credeultima modifica: 2018-11-26T18:39:42+01:00da bezzifer
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