Il vittimismo nazionale che ci allontana dal mondo

Risultati immagini per Il vittimismo nazionale che ci allontana dal mondoLe forze ora al governo sono riuscite a trasformare l’Unione Europea in nemica, accusata di essere un soggetto esterno che impoverisce il nostro Paese

Quando nel corso degli anni 90 si sviluppò il dibattito attorno alla decisione di entrare nell’euro, gli europeisti riuscirono a convincere l’opinione pubblica che un vincolo esterno avrebbe giovato all’Italia, aiutandola a risolvere alcuni dei suoi mali endemici: bassa produttività, inefficienza amministrativa, disordine di bilancio. In buona sostanza, l’Europa venne presentata come una medicina, magari un po’ amara ma necessaria, che avrebbe permesso di curare il Paese da se stesso. Il governo Monti, fortemente sostenuto dalle istituzioni comunitarie, fu il momento in cui questa idea toccò il suo apice: si trattava, come si disse allora, di eseguire finalmente «i compiti a casa», che il Paese si era dimenticato di fare. Nel bene nel male, quell’esperienza ha segnato uno spartiacque. Perché da Monti in poi la percezione dell’Europa è completamente cambiata. Gli italiani hanno smesso di essere europeisti e l’Unione Europea si è trasformata in nemica, accusata di essere un soggetto esterno che impoverisce il nostro Paese. Un’Europa carnefice e un’Italia vittima.

Essere riusciti a cambiare così radicalmente i termini del discorso è il capolavoro politico delle forze ora al governo, che attendono le elezioni europee come un passaggio fondamentale per il loro stesso futuro. La scommessa di Di Maio e Salvini è che, dopo maggio, le politiche seguite a Bruxelles cambieranno di segno e questo permetterà al governo di proseguire sulla strada intrapresa. Se e quanto un tale calcolo si rivelerà corretto lo si vedrà. In attesa degli sviluppi, il nuovo corso politico ha già prodotto due effetti importanti che peseranno negli anni a venire.

In primo luogo si è riusciti a convincere gli italiani che il Paese è nello stato in cui si trova fondamentalmente a causa di una congiura internazionale. Se siamo messi male, se abbiamo problemi con la nostra economia, se le nostre istituzioni non funzionano, ciò dipende in minima parte da noi, dai nostri difetti, dai nostri fallimenti. La causa principale va cercata all’esterno e in particolare nelle politiche europee. Ciò produce un «vittimismo nazionale» che, oltre ad alimentare una diffusa deresponsabilizzazione, favorisce la progressiva chiusura rispetto al mondo. Sempre più spesso descritto come qualcosa di cattivo e malevolo. Una china pericolosa, soprattutto quando i dati economici diventano poco rassicuranti, mettendo in discussione l’azione dell’esecutivo. Poiché, come è naturale, il fallimento è ammesso, ecco allora alzare i toni nei confronti del nemico esterno, con il rischio di un progressivo allontanamento dalla realtà.

Il secondo effetto va nella direzione di rafforzare un’idea tradizionalmente molto radicata nella cultura del nostro Paese. Dove lo Stato non ha quasi mai saputo incarnare la figura paterna — che costringe all’impegno e allo sforzo del guardare avanti — esercitando piuttosto il ruolo di «madre accudente» sempre pronta a essere comprensiva nei confronti dei propri figli. Uno Stato, quindi, che dispensa benefici, anche indipendentemente dalle possibilità reali. Creando in questo modo un legame di dipendenza tra coloro che controllano i cordoni della borsa e chi riceve i benefici, trasformato da cittadino a suddito. Questo «complesso materno» dello Stato — che per una serie di ragioni storiche tende a essere particolarmente forte nel Centro Sud — deprime le energie imprenditoriali e tende a rafforzare la passività dell’economia e della società civile. Una tendenza che riemerge soprattutto quando le sfide da affrontare si fanno più impegnative e quando la componente «paterna» della statualità dà cattiva prova di sé. Tutta la retorica contro la casta — peraltro fondata su un numero sterminato di casi di corruzione e malgoverno — ha col tempo eroso la fiducia nelle istituzioni, al punto che il cittadino non si aspetta più nulla dallo Stato se non la concretezza di qualche trasferimento economico.

Al fondo rimane il problema che l’Italia si rifiuta di affrontare ormai da molti decenni. Ci sono problemi negli assetti europei e certamente l’Italia ha pagato un costo molto alto per le politiche seguite in questi anni da Bruxelles. Tanto più che i governi degli ultimi 20 anni hanno fatto ben poco per proteggere gli interessi italiani nel contesto europeo. Ma detto questo, rimane il fatto che il Paese non riesce a interrogarsi su ciò che è necessario per navigare nell’oceano della globalizzazione. E tanto meno riesce a scrivere un patto tra le forze sociali capace da un lato di soddisfare i vincoli che il quadro internazionale pone in tema di efficienza e produttività e dall’altro di garantire condizioni eque di inclusione sociale e nella distribuzione della ricchezza prodotta. La cosa frustrante è che, da questo punto di vista, il «governo del cambiamento» non ha cambiato proprio nulla. Anzi, il richiamo al «vittimismo nazionale» e il ritorno del «complesso materno» rendono oggi l’Italia ancor meno consapevole e preparata di fronte alle sfide che le si parano davanti.

Il vittimismo nazionale che ci allontana dal mondoultima modifica: 2019-03-05T12:28:53+01:00da bezzifer
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