europeo.
Ecco allora perché è importante cercare di capire che cosa significhi oggi, per noi, l’Europa. E che cosa abbia significato negli oltre sessant’anni in cui ha condizionato la nostra vita, garantendoci non solo il più lungo periodo di pace mai vissuto dalla Penisola, prima ancora che si chiamasse Italia, ma anche una crescita economica e civile il cui unico riscontro è forse nei decenni del Rinascimento. È questo lo scopo della serie di articoli e inchieste che cominciamo in questa pagina e che ci accompagneranno fino al 26 maggio, giorno delle elezioni europee.Ma non sarà solo un viaggio nell’Europa e nei suoi meccanismi, spesso inceppati e incapaci di parlarci. Sarà anche un’esplorazione dei molti luoghi comuni stratificatisi nel corso di questi decenni, spesso per colpa di una politica nazionale non all’altezza della sfida europea. Luoghi comuni che oggi appesantiscono e stravolgono l’immagine della Ue spianando la strada al risorgere dei nazionalismi, dei sovranismi e degli autoritarismi sulle cui macerie fumanti e insanguinate vennero gettate le fondamenta europee.
Il primo, e forse il più micidiale di questi luoghi comuni riguarda la nostra moneta unica. Il Movimento 5 Stelle e la Lega hanno vinto le elezioni con una piattaforma “no euro”. La realtà delle cose e il buon senso degli italiani, primo fra tutti il presidente della Repubblica, si sono poi fatti carico di smorzare i loro entusiasmi isolazionisti. Ma questo governo continua a comportarsi come se l’euro fosse una gabbia dalla quale non si può liberare.
Bisognerebbe allora ricordare che solo grazie alla moneta unica l’Italia ha potuto in questi anni sostenere il peso di un debito pubblico che avrebbe schiantato qualsiasi altra valuta. Nel 2001, quando c’era ancora la lira, gli interessi sul debito pubblico ci sono costati l’equivalente di 79 miliardi di euro. Nel 2018, nonostante il debito sia passato da 1.400 a 2.300 miliardi, gli interessi sono scesi a 65 miliardi. Lo stesso discorso vale per le esportazioni: nonostante l’impossibilità di ricorrere a svalutazioni competitive, l’Italia registra da anni un forte attivo della bilancia commerciale.Se tutto questo non si è tradotto in crescita economica, come è avvenuto in tutti gli altri Paesi della Ue, la colpa non è dell’euro, ma dei governi che hanno lasciato declinare la produttività e la competitività del Paese. Fino ad arrivare all’attuale governo anti-europeo: il primo che sia riuscito ad imporre all’Italia, unica in Europa, una recessione le cui cause sono essenzialmente politiche e non economiche.