Il rischio dell’immobilismo nella sinistra italiana.Una dimostrazione evidente delle difficoltà del Pd sta nella prevalenza del problema delle alleanze su quello dell’identità e delle proposte di governo

Commento | Il crollodelle nascite, emergenza di cui nessuno si occupa

Nel sistema politico italiano il Pd è l’unico grande partito (tra il 18 e il 22 per cento dei votanti nelle ultime elezioni politiche ed europee) ad assomigliare vagamente alle organizzazioni politiche della Prima Repubblica, essendo di fatto l’erede parziale di due di esse: del Partito Comunista e della componente di sinistra della Democrazia Cristiana.È lecito dubitare, in questi tempi di grande volatilità elettorale, se si tratti del mitico «zoccolo duro», destinato a non restringersi ulteriormente. Ma l’emorragia verso i movimenti populisti e l’astensione potrebbe essersi arrestata: la Lega ha ormai assunto un profilo nettamente di destra e i 5 Stelle sono in crisi, anche se la confusione (e di conseguenza l’astensione) regna sovrana.

 

Il 22 per cento è bel gruzzolo: ha resistito allo stress test di Renzi e ora si è ricompattato(?) sotto la leadership più tradizionale di Zingaretti. Ma è un gruzzolo difficilmente spendibile in una guerra di movimento, qual è quella che un partito con ambizioni di governo deve affrontare nei prossimi anni. La ragione di questo immobilismo sta proprio nel profilo dei suoi elettori, in buona parte un «popolo» di sinistra, ma che non sa mettersi d’accordo su che cosa «sinistra» voglia dire nelle attuali circostanze. C’è una sinistra che soprattutto teme la minaccia di un nuovo fascismo e del razzismo ad esso associato e una che l’esclude. C’è una sinistra giustizialista e una garantista. Una sinistra in cui gli atteggiamenti verso il mercato e il capitalismo, verso gli Stati Uniti e l’Unione europea, sono diversi. Una sinistra dell’accoglienza degli immigrati a tutti i costi e una preoccupata da una accoglienza indiscriminata. Una sinistra nostalgica dei tempi in cui il sindacato e la difesa inflessibile dei diritti conquistati dai lavoratori erano la spina dorsale del partito. C’è la sinistra degli ultimi e dei poveri. E poi c’è la sinistra liberal e renziana. Queste sinistre, frutto di una vicenda ideologica antica e di altre più recenti, non sono tutte inconciliabili, ma alcune lo sono se si vuole dare agli elettori un profilo nitido del partito e stabilire un contatto con i problemi che li preoccupano e hanno condotto al grande successo dei movimenti populisti.

Ma è proprio questo che l’attuale strategia di Zingaretti non è in grado di assicurare. Tutti insieme, a difesa del gruzzolo, del recinto della sinistra plurale, terrorizzati dal timore di perdere pezzi: lascito di una lunga storia, le differenze nel popolo della sinistra si riflettono nei militanti, nei quadri, nei leader nazionali. Anzi, sono questi ad alimentarle. Una dimostrazione evidente sta nella prevalenza del problema delle alleanze su quello dell’identità e delle proposte di governo. Le alleanze dopo l’esito elettorale offrono, in un sistema proporzionale, la scelta indolore di mantenere la propria identità plurale e costruire poi la maggioranza di governo mediante una coalizione di forze politiche. Ma quale? Il Pd non è riuscito con Renzi a sfondare la barriera che divide la politica italiana in due compartimenti stagni, di destra e di sinistra, e mi sembra improbabile che ce la faccia con Zingaretti. I suoi parlamentari sono spesso efficaci nel contestare i provvedimenti dell’attuale governo, ma non è così che si spostano i confini se non si risponde ad un’ovvia domanda: sui temi che preoccupano la gran parte degli elettori — l’immigrazione, l’insicurezza, il ristagno economico, le diseguaglianze, la povertà — voi che proposte concrete avete? Sbagliate, controproducenti, irresponsabili, ma maledettamente semplici e facilmente comunicabili sui media vecchi e nuovi, i populisti le risposte le avevano e cercano di metterle in atto.

Se il Pd non riesce a dare queste risposte, se cerca un alleato, non fa che passargli la patata bollente: l’onere di definire una proposta politica altrettanto netta, polemica e facilmente comunicabile di quelle dei populisti . Non può allora trattarsi di un «partito di centro», costruito a tavolino con i centristi e i moderati che albergano insoddisfatti nello stesso Pd, in Forza Italia e in altri partiti minori: gli italiani, mobilitati dall’efficace propaganda populista, sentirebbero puzza di collusione con i vecchi partiti e non gli darebbero ascolto. Dovrebbe trattarsi di un movimento politico con una forte leadership, del tutto indipendente dai vecchi partiti non populisti, da Pd e Forza Italia, e che non lesina loro le critiche più severe. Un movimento che sappia rispondere ai timori che stanno diffondendosi nella popolazione: soprattutto al timore che la cura Salvini-Di Maio non faccia che aggravare i problemi che i vecchi partiti non sono riusciti a risolvere. Una cura che lascerebbe l’Italia più povera, inefficiente, ingiusta e isolata di prima .

Carlo Calenda ha appena scritto (sul Fogliodel primo luglio) un manifesto che illustra una risposta realistica e liberale ai timori crescenti dei nostri concittadini. Forse questi timori non sono ancora così forti—per la lentezza con cui si sta trascinando la crisi economica e politica del nostro Paese—da provocare una rivoluzione nello stato d’animo popolare che ha dato origine al successo populista. In alcuni alberga forse ancora la speranza che i sostenitori di quota cento e del reddito di cittadinanza possano farcela contro l’Europa e i mercati, e soprattutto contro il buon senso; per altri le promesse «realistiche» sembreranno poco attraenti a fronte di quelle che li avevano indotti a votare per i populisti; per altri ancora Calenda potrebbe essere visto come un fiancheggiatore del Pd e questo, nel clima politico attuale, limiterebbe la credibilità della sua iniziativa. Credo che l’autore del manifesto sia consapevole della difficoltà dell’impresa in cui intende buttarsi: vedremo come si svilupperà e intanto gli facciamo i più sinceri auguri di successo.

Il rischio dell’immobilismo nella sinistra italiana.Una dimostrazione evidente delle difficoltà del Pd sta nella prevalenza del problema delle alleanze su quello dell’identità e delle proposte di governoultima modifica: 2019-07-05T09:11:58+02:00da bezzifer
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