La linea rossa di Di Maio sul Conte bis

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Consultazioni sprint del premier incaricato con i partiti. Ma il leader del M5s alza la posta: «O il nostro programma o il voto». Delrio: «Inaccettabile ultimatum». E Patuanelli getta acqua sul fuoco: «Non vogliamo rompere, trattiamo». Resta il nodo della vicepresidenza: Orlando e Franceschini a Palazzo Chigi.

Doveva essere un giro di consultazioni sprint per comporre il nuovo governo giallorosso, si è trasformato in una drammatica frenata. Il premier uscente e incaricato Giuseppe Conte il 30 agosto a Montecitorio ha guardato negli occhi gli esponenti dei partiti. Anche quelli che di sicuro non hanno intenzione di appoggiarlo. Come Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, i primi a essere ricevuti. Poi è toccato a Partito democratico. Ultimo faccia a faccia con il Movimento 5 stelle che doveva essere quasi un passaggio formale. E invece tutto è cambiato con l’intervento di Luigi Di Maio dopo le consultazioni.

DI MAIO ALZA LA POSTA, MA PER PATUANELLI NON VUOLE ROMPERE

Il leader M5s ha alzato la posta, fatto muro sui decreti sicurezza – «Non ha senso parlare di modifiche» -, accusato il Pd di aver sollevato un dibattito surreale sugli incarichi, e sparigliato presentando un nuovo documento programmatico: «O si va avanti con questo programma o meglio il voto». Eppure, il capogruppo al Senato del M5s, Stefano Patuanelli, ha negato che ci sia una volontà di rottura: «Adesso ci siederemo a dei tavoli con Pd e Conte e troveremo soluzioni. Non ho visto toni critici o aggressivi da parte di Di Maio, è stato onesto e schietto. Vogliamo capire qual è il progetto». Ma Di Maio vuole staccare la spina? «Non è così. Non c’è da preoccuparsi di niente». Alle 17.30 Andrea Orlando e Dario Franceschini, papabili per il ruolo di vicepremier conteso con Di Maio, sono arrivati a Palazzo Chigi per incontrare Conte.

DI MAIO: «O SI VA AVANTI COL NOSTRO PROGRAMMA O AL VOTO»

In ogni caso, l’intervento del capo politico pentastellato è stato molto duro e il M5s ha portato a Conte un testo composto da 20 punti.

«Siamo d’accordo a realizzare i punti del nostro programma o non si va avanti. Non guardiamo a un governo solo per vivacchiare, consideriamo alcuni dei punti del documento imprescindibili», ha detto il leader M5S. Da parte del Movimento c’è una «netta contrarietà alla patrimoniale», mentre «il carico fiscale è disordinato anche a causa della burocrazia». Quello giallorosso, se mai nascerà, «dovrà essere un governo pro-imprese. E l’aumento dell’Iva va bloccato». Per Di Maio non si dovranno più costruire inceneritori e non andranno più autorizzate trivellazioni in mare. Un nuovo governo, inoltre, «ha senso se si fa una serie legge sul conflitto di interessi» e se dimezza i tempi della giustizia. Al presidente Conte «abbiamo detto chiaramente che dobbiamo continuare a perseguire le ambizioni dell’autonomia differenziata, assieme a un nuovo piano di ripartizione della spesa e alla banca pubblica per fare investimenti nel Mezzogiorno».

«NIENTE MODIFICHE AI DECRETI SICUREZZA»

Infine, per Di Maio, il tema immigrazione deve essere affrontato a Bruxelles, chiedendo che venga riconosciuta una procedura d’emergenza per la redistribuzione dei migranti. E qui ha affrontato un punto cruciale: «Per questo crediamo che non abbia senso parlare di modifiche ai decreti sicurezza», anche se bisogna tenere conto delle autorevoli osservazioni del Capo dello Stato. Ma senza modificarne «la ratio». Il capo politico ha poi attaccato il Pd pur senza nominarlo, accusandolo di aver trascinato il M5s in un dibattito surreale sulle poltrone: «Abbiamo espresso il nostro sconcerto per il surreale dibattito sugli incarichi. Era prevedibile il totoministri sui media, con nomi di fantasia, ma non troviamo sano che questo dibattito contagi anche le forze politiche». In conclusione: se non si realizza il programma del M5s, «meglio tornare al voto il prima possibile». 

DELRIO: «INACCETTABILE ULTIMATUM DI DI MAIO A CONTE»

Una presa di posizione che è stata bollata come «incomprensibile» da Andrea Orlando, vice segretario Pd che ha chiesto al leader M5s
di dire «se ha cambiato idea». E che ha fatto dire al capogruppo Graziano Delrio: «I democratici sono impegnati a sostenere lealmente lo sforzo del presidente Conte. Questo sforzo da solo ha già fatto recuperare fiducia nell’Italia. Gli ultimatum di Di Maio al presidente incaricato sono davvero inaccettabili». E proprio Conte ha fatto capire con un gesto di non aver avuto modo di ascoltare l’intervento del M5s e a chi gli chiedeva un commento ha replicato: «Un discorso duro di Di Maio? Non l’ho sentito proprio».

MISIANI: «O GOVERNO SERIO O MEGLIO VOTARE»

Intanto dentro al Pd già si sono già levate voci contrarie come quella di Matteo Orfini: «I decreti sicurezza vanno abrogati». Paola De Micheli ha accusato il leader grillino di fare un «gioco dell’oca». «Non comprendiamo Di Maio», ha aggiunto, «oggi è tornato indietro. la sua posizione ci sarà chiara nelle prossime ore». E sui decreti sicurezza ha ribadito la linea: «Chiediamo il recepimento delle richieste di Mattarella, è una indicazione in accordo con i Cinque Stelle», ha detto la vicesegretaria. Antonio Misiani dato come possibili ministro dell’Economia ha commentato: «A colpi di ultimatum non si va da nessuna parte. O si fa un governo serio che nasca da un programma condiviso, oppure meglio votare».

INCOMBE IL VOTO SU ROUSSEAU

Nel frattempo il blog delle Stelle ha acceso i riflettori sul voto sulla piattaforma Rousseau: «Il voto degli iscritti del Movimento 5 Stelle sulla piattaforma Rousseau conta». «Non è un vezzo, ma uno strumento che la nostra comunità politica si e’ dato per far arrivare nelle istituzioni la voce dei cittadini – si sottolinea – Ricordiamo a chi critica questo strumento che ogni eletto delMovimento, dai Comuni all’Europarlamento passando per Regioni e Camere, è un portavoce di queste istanze. Rousseau conta perché è parte integrante dei nostri processi decisionali». Alcuni sostengono che le dichiarazioni di Di Maio siano funzionali a galvanizzare gli attivisti in vista della consultazione online.

 

ZINGARETTI: «ASILI E SCUOLE GRATIS PER I SALARI MEDIO BASSI»

Il segretario Pd al termine delle consultazioni con Conte era stato cauto: «È stato un incontro che si è svolto nel giorno nel quale l’Istat conferma purtroppo alcuni dati negativi per la nostra economia, dati che confermano la necessità di una svolta e l’esigenza di aprire quella che lo stesso presidente incaricato ha chiamato una nuova stagione politica per il Paese», ha detto il segretario dem. «Per i redditi medio-bassi si stanno studiando formule per la formazione gratuita per i figli di famiglie con reddito medio basso dall’asilo nido all’università», ha spiegato il leader del Partito democratico che ha ribadito «il taglio delle tasse per i salari medio-bassi del Paese come incentivo alla ripresa e come stimolo dei consumi ed elemento di giustizia rispetto alle famiglie italiane».

Sui decreti sicurezza, il segretario dem si è allineato di fatto alla posizione dei Cinquestelle citando il capo dello Stato: «Abbiamo proposto al Presidente che anche sui cosiddetti decreti sicurezza si proceda nelle forme dovute almeno al recepimento delle indicazioni pervenute dal Presidente della Repubblica». «C’è il tema della sanità pubblica, perché sappiamo che l’innalzamento dell’età media della popolazione rende fondamentale il riaprire la discussione sulla qualità dei servizi e di un investimento che noi abbiamo quantificato di almeno 10 miliardi per i prossimi 10 anni», ha aggiunto Zingaretti, che a chi gli chiedeva se avesse discusso della squadra dell’esecutivo con Conte ha risposto lapidario: «No».

BERLUSCONI: «LA LEGA HA CONSEGNATO L’ITALIA ALLA SINISTRA»

Il presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi dopo il colloquio con il premier ha detto: «Sarebbe un errore madornale l’aumento dell’Iva perché si ridurrebbe la domanda interna e aumenterebbero le spese delle famiglie». Poi l’affondo: «Il fatto che la Lega abbia proposto di resuscitare l’esperienza gialloverde rappresenta per noi un problema politico molto serio, su cui tutti gli elettori di centrodestra devono riflettere seriamente perché così si è consegnato il Paese alla sinistra». Infine la promessa: «Faremo una opposizione ferma, coerente, senza sconti ma composta. La condurremo innanzitutto in parlamento, ma saremo pronti a mobilitarci se aumenteranno l’oppressione giudiziaria o la pressione fiscale mettendo le mani nelle tasche degli italiani».

IL CARROCCIO: «I NOSTRI PRESIDENTI DELLE COMMISSIONI RESTANO»

Claudio Durigon del Carroccio al termine dell’incontro ha subito chiarito un punto chiave: «I presidenti di commissione non si dimetteranno. Assolutamente no. Sono lì e restano. Del resto, a suo tempo io ho votato per Roberto Fico…». Insomma restano 11 leghisti che possono rallentare l’azione del governo. Sempre che l’esecutivo nasca, visto che Durigon auspica la mancanza di voti alla maggioranza: «Il nostro è un appello alla coscienza dei senatori a non votare questo mercificio».

FRATELLI D’ITALIA: «FAREMO OPPOSIZIONE SENZA SCONTI»

In precedenza Luca Ciriani, capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, aveva dichiarato: «A Conte abbiamo ribadito che Fdi sarà nettamente alla opposizione di questo governo: una opposizione che sarà senza sconto alcuno a un governo inaccettabile che si fonda su una alleanza tra partiti che fino a ieri litigavano e che nasce solo per una operazione di potere e per impedire il voto dei cittadini».

RESTA DA SCIOGLIERE IL NODO VICE PREMIER

Tra dem e pentastellati restano ancora nodi da sciogliere, a partire da quello relativo alla formazione della squadra di governo. In particolare, scotta la partita del vicepremier, tra un Luigi Di Maio deciso a non abdicare a questo ruolo e un Pd che, a partire da Nicola Zingaretti, punta a un vice unico che faccia riferimento al Nazareno e pare disposto a concedere al M5s il sottosegretario, oltre a un premier, Conte, che del Movimento è considerato emanazione.

IPOTESI 4 SETTEMBRE PER IL VOTO SU ROUSSEAU

I vertici pentastellati, da parte loro, non prendono in considerazione l’ipotesi di due vicepremier che non siano né Di Maio né Zingaretti. Ipotesi dettata da chi, nella prima giornata di consultazioni, poneva in Transatlantico un quesito: se il leader del Pd è fuori dal governo perché Di Maio dovrebbe essere vicepremier? Il M5s, insomma, non cede e la votazione su Rousseau, in fondo, è un’ulteriore arma di pressione messa in campo. Il voto potrebbe essere indetto mercoledì 4 settembre, ossia il giorno dopo che Conte dovrebbe vedere i gruppi che formeranno la nuova maggioranza e il giorno prima del possibile giuramento. Nel quesito su Rousseau, peraltro, non è escluso che il nome del Pd non figuri nemmeno, come riportato dal Corriere della sera.

 

 

La linea rossa di Di Maio sul Conte bisultima modifica: 2019-08-30T18:14:51+02:00da bezzifer
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