La prima volta a Mario Draghi sono bastate tre parole: “Whatever it takes”, cioè faremo tutto quello che c’è da fare. E ha aggiunto: vedrete che basterà. Di solito i banchieri centrali non amano sfidare i mercati: in passato sia la lira che la sterlina sono state abbattute dalla furia degli operatori, ma da quel pomeriggio a Londra il capo della Bce ha deciso di fare quello che non andrebbe mai fatto: sfidare i mercati.

In questo atteggiamento, che non ha mai cambiato, c’era la sapienza monetaria di un grande esperto, ma anche l’intuito di un politico di prima classe: senza l’euro, l’Europa di Mitterand e di Khol si sarebbe sfasciata, forse addirittura in poche ore. L’euro insomma come e prima e ultima trincea della costruzione europea.

E per difendere la moneta unica, Draghi ha rotto tutti gli schemi. Ha tagliato i tassi fino all’inverosimile, ha spinto le banche a comprare titoli di Stato dei paesi più deboli, ha convinto i tedeschi che non c’era altro da fare.

Ma, soprattutto, ha vinto perché è sempre stato fermo sulla sua linea del “Whatever it takes”: fate quello che volete, ma mi troverete sempre qui di traverso a sbarrarvi la strada. Nemmeno per un minuto, nemmeno di fronte alle analisi più impietose e alle critiche più severe, ha dubitato. Più che le astuzie monetarie, hanno vinto la sua fermezza e la sua determinazione. Hanno vinto le parole, e come sono state pronunciate.

Sono passati otto anni e oggi nessuno dubita dell’euro. Draghi ha vinto la sua battaglia. Al suo posto, dal 1° novembre, arriva Christine Lagarde, e non potrà che seguire il suo esempio, anche se ormai l’euro ha un ruolo stabile nel panorama monetario mondiale, grazie proprio a Draghi.

La linea di marcia, anche per il nuovo presidente, rimane la stessa: “Whatever it takes”. Fate quelli che volete, ma sempre qui ci troverete.