Impiccato il primo manifestante.Il regime iraniano imploderà come il Sudafrica davanti alla sfida di Mandela, dice Azar Nafisi

«Ci sono migliaia di persone che scendono in piazza e non puoi certo ucciderle tutte. E anche se ne uccidi qualcuna ce ne sono ancora altre», spiega la scrittrice. «Per il regime come per il popolo è una lotta per la sopravvivenza. Se fosse stata solo una rivolta politica, sarebbe stato facile prendere i leader dei gruppi politici e ucciderli». Teheran ha annunciato di aver giustiziato Mohsen Shekari, 23 anni, arrestato durante una protesta.

«L’Iran di oggi è come il Sudafrica dell’apartheid, da noi il razzismo è contro le donne ma il regime perderà anche questa volta». Azar Nafisi, scrittrice iraniana in esilio e autrice di best seller come “Leggere Lolita a Teheran”, spiega in un’intervista a Repubblica il senso delle proteste contro Teheran e l’importanza delle iniziative di solidarietà in Occidente. «Se l’opinione pubblica nei Paesi liberi parla di loro, compie l’opera più decisiva, importante»

Il regime ha annunciato di aver eseguito la prima condanna a morte di un manifestante. Mohsen Shekari, 23 anni, è stato impiccato. Era stato arrestato durante le manifestazioni, accusato di aver bloccato una strada il 25 settembre scorso a Teheran e di aver estratto un’arma con l’intenzione di uccidere. L’udienza si è tenuta il 10 novembre e l’imputato — secondo quanto riportato dalla magistratura iraniana — «ha confessato». Il tribunale rivoluzionario lo ha dunque riconosciuto colpevole di «inimicizia contro Dio».

Secondo le testimonianze di un gruppo di medici iraniani raccolte dal Guardian, le forze di polizia di Teheran sparano alle manifestanti donne, mirando al viso, al seno e ai genitali.

«Ci sono migliaia di persone che scendono in piazza e non puoi certo ucciderle tutte. E anche se ne uccidi qualcuna ce ne sono ancora altre», dice Nafisi. «E in questo modo il regime sta spingendo sé stesso contro il muro. Non può farcela. Imploderà come avvenuto con il Sudafrica davanti alla sfida di Nelson Mandela», dice Azar Nafisi. Però «non è una lotta politica, ma esistenziale. Per il regime come per il popolo è una lotta per la sopravvivenza. Se fosse stata solo una rivolta politica, sarebbe stato facile prendere i leader dei gruppi politici e ucciderli».

Tutto è partito dalle donne, dal simbolo del velo. Ma poi le proteste sono andate ben oltre. Prima della Repubblica Islamica, il governo non si occupava del velo o di cosa indossavano le donne, spiega la scrittrice. «Eravamo libere. Mia nonna era una musulmana ortodossa e mia madre non indossava mai il velo. Eppure vivevano fianco a fianco. Mia nonna diceva che il vero Islam non forza le donne a indossare il velo». Ma per la teocrazia iraniana il velo obbligatorio è così importante perché è «un efficace mezzo di controllo. In pratica ci dicono “non possiedi te stessa”, “non possiedi il tuo corpo: siamo noi i tuoi padroni, ti diciamo cosa fare”. È una lotta per il potere. Questo è il motivo per cui oggi indossare il velo è diventato un simbolo, una dichiarazione a favore o contro il regime. Il regime è un sistema totalitario, che impone una divisa ai suoi cittadini, che controlla attraverso la repressione e ci porta via la nostra identità nazionale e individuale».

Per cui «quello per cui stiamo lottando non è a favore o contro il velo, ma libertà di espressione e libertà di scelta». Una rivolta che ora continua perché – dice Nafisi – «questa generazione, paradossalmente è quella dei figli della rivoluzione. Non hanno visto come era prima. Eppure le loro mamme, nonne e bisnonne lo ricordano bene. E a casa vedono che ci sono due Iran, quello privato e quello pubblico imposto dalla Repubblica Islamica. È questa giovane generazione che non vede futuro per sé stessa all’interno del sistema».

E il regime non riesce a domare le proteste con la repressione proprio perché «l’unica lingua che usa è la forza. Per questo regime, come per qualunque altro regime totalitario, riforme significa rivoluzione. Non possono cedere di un millimetro perché poi si vorrà di più e di più. Non puoi essere un po’ conciliante, devi essere totalitario. Vedono la loro sopravvivenza nell’eliminazione delle voci del popolo iraniano».

Le contraddizioni certo «ci sono state fin dall’inizio all’interno del regime e con le proteste delle donne ci sono state anche defezioni interne al regime. Anche queste crepe ricordano il Sudafrica dell’apartheid, quando l’élite bianca iniziò a dividersi».

Ora le democrazie posso aiutare aiutare le donne iraniane «parlando di loro. Perché il regime gli dice in continuazione che sono sole, nessuno al mondo si interessa a loro. È una guerra psicologica. Se l’opinione pubblica nei Paesi liberi parla di loro, compie l’opera più decisiva, importante. Non farle sentire sole. Per questo sono importanti eventi di solidarietà come quello in programma domenica al Teatro Parenti di Milano che voi avete organizzato».

Condividi:

Impiccato il primo manifestante.Il regime iraniano imploderà come il Sudafrica davanti alla sfida di Mandela, dice Azar Nafisiultima modifica: 2022-12-09T08:14:56+01:00da bezzifer
Reposta per primo quest’articolo
Share