Ecco dunque che il Pd si trova stretto fra due Colli di Roma, l’Aventino e il Quirinale.

Il Pd tra l’Aventino e il Quirinale

Non si può chiedere al Pd di appoggiare un monocolore Di Maio

Čto delat’, la famosa frase di Lenin del 1902 si ripropone, forse in maniera meno solenne ma ugualmente problematica, alla sinistra italiana. Che fare, dunque. Soprattutto: che fare qui e ora, dinanzi a una crisi politica del Paese, crisi che le elezioni del 4 marzo hanno squadernato: le elezioni del malessere, senza che vi sia alcuna indicazione del popolo sulla strada da imboccare.

1. Dalle prime discussioni nel Pd emerge una posizione chiara, quella indicata da Matteo Renzi nelle prime ore del dopo-disfatta: nessuna alleanza di governo con gli estremisti-populisti. Le ragioni di questa posizione sono state spiegate ormai tante volte da Maurizio Martina e dagli altri dirigenti del Pd. Non vi sono divisioni su questo punto. I programmi del Pd sono incompatibili con quelli del M5s e a maggior ragione con quelli di una destra salvinizzata.

Di Maio-Salvini già annaspano

2. Dopo il voto, Di Maio e Salvini si comportano da padroni del Paese ma non stanno cavando un ragno dal buco. Il M5s è sparito e al suo posto c’è una specie di Dc malata di tatticismo (cioè la Dc di corto respiro, non certo quella rievocata in questo quarantennale della morte di Aldo Moro). Il centrodestra non esiste, come previsto: esistono due destre in lotta fra di loro e purtroppo prevale quella più estremista.

3. Poiché né Di Maio né Salvini hanno i numeri, si devono mettere d’accordo fra di loro. Sarebbe lo sbocco più naturale del voto. Ma non hanno il coraggio di farlo, forse perché non vogliono assumersi l’onore di governare, dunque per vigliaccheria politica. Forse perché temono ripercussioni negative nei rispettivi elettorati. O per entrambe le ragioni.

4. Il Pd potrebbe sbloccare la situazione o deve rimanere sull’Aventino? Ma l’Aventino significa “tirarsi fuori” dal contesto: il che può avvenire solo in condizioni estreme (come appunto nel 1924, e peraltro anche quella fu una scelta molto discussa). Dunque, niente Aventino.

Le condizioni del Pd

5. Ma a quali “condizioni” (il termine usato da Walter Veltroni), il Pd potrebbe sedersi a discutere di un nuovo governo? Qui entrerà in gioco la politica, un ambito nel quale il nostro Presidente della Repubblica giocherà un ruolo fondamentale: anche se per il momento nulla è prevedibile circa la direzione di questo ruolo. Ma comunque al Quirinale spetterà un ruolo attivo, da autentico “motore” della situazione politica.

6. Difficile se non impossibile trovare una mediazione programmatica con i grillini. Ma intanto, secondo il nostro personale parere, vi è una condizione per sedersi a discutere: togliersi dalla testa l’idea che il Pd possa appoggiare un monocolore M5s guidato da Di Maio.

Ecco dunque che il Pd si trova stretto fra due Colli di Roma, l’Aventino e il Quirinale. Rispondere alla fatidica domanda sul “che fare” significherà fare i conti con il probabilissimo fallimento delle prime trattative di Di Maio e Salvini. Dopodiché, bisognerà dirigersi al Quirinale lasciandosi alle spalle l’Aventino.

Ecco dunque che il Pd si trova stretto fra due Colli di Roma, l’Aventino e il Quirinale.ultima modifica: 2018-03-18T15:45:03+01:00da bezzifer
Reposta per primo quest’articolo
Share