QUESTO NON E ALTRO CHE ACCATTONAGGIO DI STATO

Il deficit doveva essere dello 0,8 per cento: è stato triplicato per consentire la distribuzione delle mancette elettorali.

QUESTO NON E ALTRO CHE ACCATTONAGGIO DI STATO

Non si capisce, veramente, che cosa abbia fatto l’Italia a Beppe Grillo da indurlo a scatenarci contro questa massa di sprovveduti. È miliardario, viene anche ricevuto al Quirinale, giornali e tv lo ospitano volentieri (ha addirittura emesso un tariffario per simili questioni).

L’ultima impresa dei suoi meravigliosi ragazzi è il Def. Insieme a quell’altro bel tomo di Matteo Salvini, hanno obbligato Tria a accettare un deficit del 2,4 per cento. Non solo per il prossimo anno, ma per i successivi tre.

La storia di questo deficit dà la misura di come siamo caduti in basso. Secondo gli accordi con Bruxelles doveva essere dello 0,8 per cento (per rientrare un po’ dai nostri ingenti debiti). Tria, consapevole che i meravigliosi ragazzi avevano fatto promesse un po’ avventate in campagna elettorale, lo ha subito elevato al doppio: 1,6 per cento. Ma i due eroi hanno una fame antica e così lo hanno triplicato: 2,4 per cento.

Questa scelta farà arrabbiare, e molto, la Commissione europea, la Bce, il Fondo monetario, i mercati e le agenzie di rating. Ma i gialloverdi se ne sbattono allegramente. Si sono costruiti un mondo immaginario autosufficiente, provinciale, tutto quello che accade fuori dai nostri confini è solo polvere, rumore di fondo, non interessa.

L’operazione è tutta un’indecente pagliacciata. Per capire, invece, come la cosa è stata vissuta dai protagonisti, bisogna riportare una breve cronaca che riguarda Luigi Di Maio, avvertendo che per lui quasi tutto è storico, anche quando due volte al giorno va al cesso (“Evento, evento, mirabile evento”).

Il brano è questo: “Oggi è un giorno storico! Per la prima volta lo Stato è dalla parte dei cittadini. Per la prima volta non toglie, ma dà. Gli ultimi sono finalmente al primo posto perché abbiamo sacrificato i privilegi negli interessi dei potenti. Sono felice”.

Su queste poche frasi un buon psichiatra avrebbe molto da lavorare: nelle pause caffè lo psichiatra potrebbe ricordargli che lo Stato italiano a furia di dare ha messo insieme 2300 miliardi di debiti, e tutto questo prima che Di Maio smettesse di fare il bibitaro. Quindi lui non è il primo che si occupa del popolo, cronologicamente è l’ultimo e il più avventato.

Ma, se andiamo alla sostanza, basterà citare quello che diceva un vecchio Ragioniere generale dello Stato: i debiti di oggi sono le tasse di domani. Quindi, mano sul portafoglio, e pronti a pagare.

Quello che i meravigliosi ragazzi hanno fatto non ha nulla di rivoluzionario o di straordinario: hanno semplicemente deciso di fare molti debiti (se glieli lasciano fare i mercati), una quarantina di miliardi, e poi di distribuirli un po’ a casaccio al popolo sotto varie forme (sconti fiscali, reddito e pensione di cittadinanza, anticipo età pensionistica). Insomma, si sono comportati come il buon papà che va in banca si fa prestare 100 mila euro e poi regala l’auto alla figlia, la moto al figlio e la pelliccia alla signora, più una scatola di sigari al vecchio zio che vive con loro (e della cui pensione campano tutti). Chi restituirà i soldi alla banca? Domani, ci pensiamo domani.

Che cosa ci sia di così eccezionale un’operazione così stupida, lo sa solo Di Maio: hanno deciso di fare nuovi debiti. Non hanno scoperto il petrolio in Val Padana, non hanno trovato la luna nel pozzo, non hanno vinto la lotteria americana. Hanno deciso di fare nuovi debiti, molti debiti, cosa per cui da tutto il mondo verremo guardati con occhi compassionevoli, ma anche irritati: in effetti ci stiamo qualificando come gli accattoni del mondo libero, sempre con il cappello in mano a chiedere soldi.

Tutto questo non per distribuire, come vaneggia Dei Maio, un decoroso stipendio a 6,5 milioni di persone: al massimo a quei poveretti toccherà una mancetta di qualche decina di euro alla settimana. Qualche caffè in più, forse un paio di scarpe a Natale.

Giornata storica? Sì, nel senso che abbiamo fatto un altro passo verso un destino sudamericano, sempre più inevitabile

E pensare che per mille anni l’economia del mondo è stata l’economia di Roma, e che l’Europa, in fondo, l’abbiamo inventata qui: prima con il documento di Ventotene, poi con i trattati istitutivi della Comunità, firmati in Campidoglio (ma loro non lo sanno) e che giustamente si chiamano “I trattati di Roma”.

Altri tempi, altri personaggi, altra Italia.

QUESTO NON E ALTRO CHE ACCATTONAGGIO DI STATOultima modifica: 2018-09-28T11:22:53+02:00da bezzifer
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