“Non so se,se ne rendono conto questi (sindacalisti giornalisti, giuristi, populisti, costituzionalisti) hanno scelto di fargli la guerra, perseguendo un loro personale tornaconto oppure servire qualche padrone che aveva da temere dalle riforme messe in cantiere da Renzi! Su tutti sicuramente dovranno rispondere di questa responsabilità i “sinistri” del PD. Ma pare che questi cinici e incoscienti demolitori ancora oggi continuino con più ostinazione che mai a osteggiare qualunque progetto di ammodernamento del partito e adeguamento ai tempi nuovi! Fanno invocazioni all’unità, ma pare che il loro obiettivo non sia una grande sinistra attrezzata per il governo del paese, quanto piuttosto una piccola sinistra che continui a fare quello che è stato il suo mestiere nel secolo scorso: stare all’opposizione”. Io ci aggiungerei: stare all’opposizione dopo aver sistemato i loro parenti e amici.
NON SI RENDONO CONTO DEI danni prodotti nel paese e nel PD in particolare, dalla guerra condotta contro Matteo Renzi, sono davvero incalcolabili. Un giorno si scriverà la storia di questi anni scorsi e le responsabilità, che al momento vengono negate o gelosamente nascoste, verranno fuori in tutta evidenza, e allora molti, se saranno ancora viventi, dovranno nascondersi, se ancora non hanno trovato il coraggio di chiedere scusa al paese. Magari il politico Renzi ha potuto apparire antipatico a qualcuno o aver commesso degli errori prestando il fianco a critiche e disapprovazioni da parte degli oppositori, ma il paese con il suo governo stava ritrovando orgoglio e soprattutto la strada per una risalita economica. Non so se se ne rendono conto quanti (giornalisti, giuristi, populisti, costituzionalisti) hanno scelto di fargli la guerra, perseguendo un loro personale tornaconto oppure servire qualche padrone che aveva da temere dalle riforme messe in cantiere da Renzi! Su tutti sicuramente dovranno rispondere di questa responsabilità i “sinistri” del PD. Ma pare che questi cinici e incoscienti demolitori ancora oggi continuino con più ostinazione che mai a osteggiare qualunque progetto di ammodernamento del partito e adeguamento ai tempi nuovi! Fanno invocazioni all’unità, ma pare che il loro obiettivo non sia una grande sinistra attrezzata per il governo del paese, quanto piuttosto una piccola sinistra che continui a fare quello che è stato il suo mestiere nel secolo scorso: stare all’opposizione. Manca il coraggio di un approccio nuovo e un nuovo progetto di governo per un mondo in rapida evoluzione da cui rischiamo di rimanere travolti e superati. Intanto non è solo Renzi che paga i torti di un governo dissennato, ma tutti noi cittadini. In secondo luogo, ho accennato a possibili errori di Renzi, collocandomi nell’ottica dei suoi avversari, ma sia chiaro che personalmente non ho assolutamente niente da rimproverargli, anzi lo ritengo, oltre che politico intelligente e coerente, anche una persona talmente per bene che fa da contrappeso alla cialtroneria, alla falsità e alla odiosità di quanti lo osteggiano.
E ALLORA ORA SERVE UNA RIFLESSIONE SUL CONGRESSO DEL PD
Matteo Renzi ha già vinto, almeno sul piano politico e morale, il Congresso del Pd.
Vi domanderete: come fai a dirlo? Il congresso è appena agli inizi? Deve ancora svolgersi? Eppure io penso che sia così. Il Congresso si apre con sette candidati alla segreteria. Una cosa mai vista. Almeno per quello che io ricordo nella mia lunga storia di militanza, con qualche ruolo, dal PCI al Pd.
Sette candidati, dunque. Questo che significa? Che convivono nel Pd sette linee politiche diverse e in conflitto tra di loro? Se è così il Pd non è un partito, non è un progetto politico e programmatico. Non è e non sarà una forza unitaria in grado di prospettare una piattaforma alternativa, riformista, liberale ed europeista all’attuale governo gialloverde. È un assemblaggio confuso di posizioni e progetti in conflitto tra di loro che lo porteranno sempre di più, come nella peggiore tradizione della sinistra italiana, verso una balcanizzazione del dibattito interno. A rotture e lacerazioni. Dopo quella, già avvenuta, di Bersani, D’Alema, ecc.. Un partito, quindi, ingovernabile, incapace di definire un progetto unitario e forte, adeguato a fronteggiare la crisi drammatica che l’Italia sta vivendo.
Ma c’è una seconda lettura. Persino peggiore di quella già esposta. Che il Pd sia un’accozzaglia di piccole correnti, guidate da capetti, animate soltanto da logiche di posizionamento interno, dalla ricerca di posizioni di potere, dalla occupazione di un misero potere personale. Dalle poltrone, insomma. Meglio sarebbe dire di qualche strapuntino, come è ampiamente dimostrato dalla disponibilità di taluni di ricercare una impossibile e distruttiva alleanza con il M5S, da cui tutto ci divide.
Se questa seconda ipotesi fosse quella reale, potremmo già oggi prevedere un partito governato da capetti e da correnti, quotidianamente impegnati nella spartizione di poltrone, nella ricerca di una prospettiva politica funzionale a se stessi piuttosto che al Paese.
Non mi interessa, in questo momento, dire quale delle due ipotesi considero quella più credibile e reale.
Quello che mi interessa mettere in evidenza è che nelle modalità di avvio e svolgimento del Congresso affondano le ragioni della sconfitta del Pd in una fare storica in cui, attraverso Renzi, ha espresso il meglio del riformismo italiano oggi possibile.
Renzi andava “abbattuto”, il progetto, soprattutto quello della grande riforma costituzionale, andava sconfitto. Se avesse prevalso, ci sarebbe stata la vera rottamazione e il vero cambiamento dell’Italia.
Molti sarebbero apparsi come residuati bellici, rottami di una storia che fu.
Renzi è stato combattuto per far sopravvivere il vecchio. Per continuare nel vecchio tran tran delle correnti, dei capetti senza arte né parte. In ragione di ciò si è preferito “regalare” l’Italia alla peggiore destra che la nostra storia ricordi dopo il Fascismo.
Ecco, il Congresso Pd dimostra, qualora ve ne fosse stato bisogno, che Renzi aveva ragione. La sua era una grande scommessa, una prospettiva che guardava al futuro e all’Italia.
In questo senso, il Congresso che sta per svolgersi, rappresenta il migliore riconoscimento della vittoria politica e morale di un leader vero, che, pur con i suoi difetti ed errori (anche lui è un umano), avrebbe potuto e potrebbe ancora, cambiare il nostro Paese.
Fa bene, dunque, Renzi a tenersi lontano dal teatrino di un Congresso penoso, che non dice niente a me e, credo, a molti altri. Più se ne sta lontano e più emerge la sua statura incommensurabilmente diversa dagli attori che lo stanno deprimendo.
In questo quadro c’è solo un candidato che può rappresentare un elemento di continuità con il progetto di cambiamento, momentaneamente sconfitto, di Renzi.
Si tratta di Marco Minniti, che naturalmente aspettiamo alla prova dei fatti. Marco non è un capocorrente, non ha mai partecipato ai giochini correntizi interni al Pd, è una persona leale e schietta, ma soprattutto è un uomo dello Stato. Un servitore dello Stato. È Marco Minniti persino quando dice: “Non sono renziano”. Noi non vogliamo un renziano, anche se io, come sapete, lo sono sin nel midollo. Noi vogliamo uomini veri. Che non debbano “apparire” simpatici, ma che siano al servizio del loro Paese, che abbiano un progetto riformista, che siano rispettati per la loro intelligenza, cultura e capacità, che pratichino la politica in senso alto e non per andare dietro ad un piatto di lenticchie. Uomini, insomma, politici veri, uomini di Stato e non buffoni di corte.