LA NOSTRA PRIORITÀ: FERMARE LA CINA

La nostra priorità: fermare la CinaL’impressione è che al G7 di Carbis Bay, in Cornovaglia, sia successo qualcosa di grosso. Tanti annunci, tanti sensazionalismi, tante buone intenzioni: di concreto, tuttavia, c’è solo l’inizio di quella che si spera essere una nuova era. Per un attimo, la posizione intransigente del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che chiedeva agli alleati europei di fare fronte comune contro l’invadenza e l’aggressività economica della Cina, aveva fatto ben sperare tutti coloro che – magari un po’ nostalgici dell’era di Donald Trump e dei relativi provvedimenti in difesa dell’economia americana che l’Europa si ostina a non adottare – vedono nella Cina non una realtà con la quale competere, ma un avversario sleale col quale qualsiasi tentativo di essere concorrenziali è destinato a fallire.

Come può, infatti, un’economia di mercato come quella europea essere concorrenziale con un’economia “drogata” come quella cinese che si sostiene grazie ai massicci investimenti pubblici, ai costi del lavoro tenuti artificialmente bassi e all’assenza di tutele e garanzie nei confronti dei lavoratori? Un po’ come chiedere a un atleta di competere e di essere più veloce con un suo avversario dopato fino al midollo: un’assurdità.

Tuttavia, la questione ha dei risvolti pratici che non possono essere trascurati, ed è precisamente su questo punto che alcuni alleati europei (Italia e Germania primi fra tutti, a quanto sembra) hanno chiesto agli Stati Uniti maggior prudenza, invitando Biden alla calma e alla riflessività: come arginare lo strapotere economico della Cina che nel frattempo si è infilata in tutte le economie del globo e che ha messo radici ovunque in Occidente? La risposta del G7 – frutto di una complessa mediazione tra il preteso rigore americano e la posizione conciliante degli europei – è un’intesa sul dumping salariale e sui diritti umani. L’idea è quella di stabilire un limite oltre il quale, se i prodotti cinesi vengano venduti a prezzi troppo bassi, applicare dei dazi anti-dumping, in quanto presumibilmente prodotti attraverso lo sfruttamento della manodopera. Logicamente, questo richiede di ribadire e conservare la definizione della Cina come “economia non di mercato”.

Ora, sebbene possa sembrare una grande vittoria, in quanto capace di coniugare una certa equità sociale e il rispetto dei diritti delle persone con la necessità di tenere “la porta aperta” agli scambi commerciali con la Cina, c’è da domandarsi se tali provvedimenti sortiranno l’effetto sperato. Cosa impedirebbe, infatti, al Governo cinese di continuare a tenere bassi i costi del lavoro, ma di applicare una tassa sulle esportazioni verso l’estero, in maniera tale che quei prodotti, arrivando sui mercati occidentali a un prezzo più alto, riescano ad aggirare la “soglia di prezzo” e con essa i dazi? Sembrerà paranoico, ma da chi è abituato a frodare c’è da aspettarsi di tutto.

Ho come la sensazione che tale pronuncia da parte del G7 sia un tentativo di difendersi economicamente dalla Cina senza sembrare protezionisti: ci si nasconde dietro i diritti umani e il gioco è fatto. Per dirla con Biden (dopo la tirata d’orecchie da parte di Mario Draghi e Angela Merkel): la Cina è nostra antagonista sui diritti umani, ma economicamente rimane un partner importante. La sostanza rimane però immutata. In ogni caso, l’accordo raggiunto, secondo molti osservatori e commentatori politici ed economici, inaugura un “nuovo corso” nei rapporti con l’Asia e una rinascita dell’asse euro-atlantico (in realtà mai entrato veramente in crisi, se non per l’isteria dei leader europei che guardavano a Donald Trump come a un parvenu della politica, un volgare arricchito populista che doveva essere contrastato a tutti i costi, anche vendendo l’anima “al Dragone rosso”).

A questa “restaurazione” fanno da corollario le altrettanto dure condanne contro la Russia – la migliore alleata della Cina – pronunciate durante il summit della Nato: ma anche con Vladimir Putin si cerca un dialogo al margine delle condanne, un po’ come con Pechino. La Russia – dice Biden – sta conducendo una politica aggressiva che minaccia la sicurezza e la stabilità globale, e fa sapere all’Europa che gli Stati Uniti ci sono e che l’alleanza transatlantica è più forte che mai. Il messaggio tra le righe indirizzato Putin è chiaro: attento a quel che fai, perché ti teniamo d’occhio. Mai avrei osato pensare che Biden sarebbe stato capace di simili decisioni: anche se quello a cui si è arrivati non è ancora sufficiente, è comunque un buon punto d’inizio.

L’Occidente ha bisogno di essere unito contro la minaccia economica proveniente dalla Cina e contro quella geopolitica proveniente dalla Russia (personalmente, aggiungerei anche dal mondo islamico, che come la Cina ha saputo mettere radici in casa nostra seppure in maniera diversa). La nostra civiltà, i nostri valori e la nostra economia sono a rischio: dunque dobbiamo reagire e difenderci. Tuttavia, la reazione non può essere solo la pratica di un “mezzo protezionismo” contro le merci cinesi o di una condanna bonaria alla Russia: non sarà questo che li fermerà. Forse ho una visione idealista, ma non posso non pensare che l’Occidente debba rispolverare il vecchio isolazionismo americano e farne la sua politica ufficiale.

Il grande difetto dell’Amministrazione Trump fu proprio questo: riscoprire l’isolazionismo americano senza pensare che esso avrebbe potuto essere esteso a tutto l’Occidente, anche grazie all’influenza statunitense. Come può un liberale guardare con favore ai dazi? Se viene messa a rischio l’esistenza stessa della civiltà che al liberalismo ha dato i natali la cosa diventa non solo coerente, ma finanche necessaria: non si tratta di fuggire la competizione, ma di difendere i propri valori, di sopravvivere. Come può un liberale essere contrario alla cooperazione economica con realtà importanti come la Cina e la Russia? Libertà è anche non voler intrattenere relazioni con chi si comporta in maniera sleale cercando di destabilizzare e sottomettere il suo partner: il prezzo del libero scambio non può essere la crisi di quell’Occidente che del liberalismo è patria. Quindi, avanti tutta e speriamo bene.

LA NOSTRA PRIORITÀ: FERMARE LA CINAultima modifica: 2021-06-15T10:34:12+02:00da bezzifer
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