Archivio mensile:dicembre 2018

Per qualche briciola in più: è tutta qua la rivoluzione sovranista contro l’Europa?

Risultati immagini per Per qualche briciola in più: è tutta qua la rivoluzione sovranista contro l’Europa?Annunciato in via ufficiosa in tarda serata, l’accordo tra governo italiano e Commissione Europea è la dimostrazione che lo scontro frontale con Bruxelles non porta a nulla: quel poco che si è portato a casa è arrivato grazie a Macron e al suo maxi sforamento anti gilet gialli. E l’anno prossimo?

Quindi è tutto qua quello che riusciamo a ottenere battendo i pugni sul tavolo europei? Uno zero virgola uno in più di deficit – o zero virgola quattro, vedete voi – rispetto a quello che avremmo già potuto portare a casa due mesi fa? Due mesi di mercato delle vacche, di spread in tempesta, di declassamenti del rating ormai quasi a livelli spazzatura per una manovra che, nei saldi finali, avrebbe potuto benissimo fare un qualsiasi governo Gentiloni?

Dimentichiamo reddito di cittadinanza, quota 100, flat tax delle partite Iva e tutto il resto, per un attimo: perché la vicenda della manovra del cambiamento questo racconta: di un Paese, il nostro, che anche guidato dal governo più sovranista e anti-europeo che può esprimere – peraltro sostenuto da un consenso stellare – fatica a raccogliere da terra più di qualche briciola.

Il bello è che quelle briciole avremmo pure rischiato di non raccogliere, e di finire in esercizio provvisorio o con una procedura d’infrazione sulla testa, o con una ritirata ancora più ignominiosa dei sovranisti nostrani, se non ci fosse stato Emmanuel Macron e il suo maxi sforamento

Il bello – o il brutto, dipende dai punti di vista – è che quelle briciole avremmo pure rischiato di non raccogliere, e di finire in esercizio provvisorio o con una procedura d’infrazione sulla testa, o con una ritirata ancora più ignominiosa dei sovranisti nostrani, se non ci fosse stato Emmanuel Macron e il suo maxi sforamento, annunciato pochi giorni fa per provare a mitigare le proteste dei gilet gialli. Possiamo discutere all’infinito se sia giusto o meno che ai francesi sia permesso quel che a noi non è consentito, ma questi sono i risultati: se oggi si chiude è perché politicamente non avrebbe potuto essere possibile spiegare perché a loro sì e a noi no. Di fatto, Salvini e Di Maio devono ringraziare la loro nemesi transalpina, non certo i nostri grandi pseudo-amici di Visegrad come l’austriaco Kurtz e l’ungherese Orban, che si sono opposti con tutte le loro forze rispetto a un accordo che avesse consentito all’Italia di fare più deficit.

Non è finita qui, peraltro. Perché ancora non sappiamo quali e quante polpette avvelenate ci siano, dentro questo accordo. Se davvero per salvare Quota 100 è stata inserito un aumento dell’Iva il prossimo anno. Se ci sarà una revisione mensile dei livelli di spesa in funzione della crescita effettiva del Pil, come più volte promesso da Conte quando ancora ostentavamo fieri il nostro deficit al 2,4%. Perché se queste indiscrezioni saranno confermate dai fatti, quella del Def e della legge di bilancio 2020 sarà una pantomima ancora peggiore, con spazi di manovra ancora più esigui, senza elezioni europee di mezzo da usare come arma di ricatto e con Moscovici e Juncker di nuovo interlocutori del governo italiano. Si accettano scommesse su cosa si inventeranno i nostri eroi. Sempre che saranno ancora al governo entrambi, s’intende.

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Il governo che doveva spezzare le reni a Bruxelles ha raggiunto l’accordo con Bruxelles

juncker balcone

Il governo che doveva spezzare le reni a Bruxelles ha raggiunto l’accordo con Bruxelles. Ieri sera è arrivato un ok sulla manovra per ora informale ma che verrà ufficializzato oggi: il deficital 2%, accompagnato dal nuovo programma di spending review e dalla revisione al ribasso del Pil, è stato il punto decisivo per convincere Bruxelles sulla mini-riduzione del deficit strutturale richiesta.

Manovra, il governo trova l’accordo con l’Europa

Il Sole 24 Ore spiega oggi che i 6,7 miliardi di maggiori risparmi sono prodotti per la maggior parte dai tagli ai fondi per quota 100 (2 miliardi) e reddito di cittadinanza (1,9 miliardi), a cui sul nominale si aggiungono intorno ai due miliardi di dismissioni immobiliari spinte dal piano in quattro mosse e dagli incentivi ai Comuni che aiutano nella sfida con i cambi di destinazione d’uso.

Su quest’ultimo aspetto, che avrà ripercussioni anche sul 2020 e 2021 anche se per cifre minori, si è a lungo discusso con Bruxelles nel tentativo di considerarne una componente strutturale. In termini opposti, Roma ha provato a proporre di non considerare strutturale la spesa per quota 100, che sarà in vigore per tre anni, ma il tentativo si è scontrato con il non possumus di Bruxelles.

 
manovra del popolo
La Manovra del Popolo e della UE (La Repubblica, 19 dicembre 2018)

Una volta effettuati i tagli, rimanevano circa tre decimali di Pil per raggiungere un obiettivo potabile a Bruxelles, e la mossa decisiva è arrivata dalla revisione al ribasso delle prospettive di crescita. Con un aumento del Pil più basso del previsto di circa sei decimali, si riduce di due decimali la correzione richiesta. Il resto, circa 1,8 miliardi, arriva da un nuovo pacchetto di tagli di spesa ai ministeri.

Repubblica fa invece sapere che su richiesta degli europei (la telefonata viene definita rude), Giuseppe Conte ha dovuto promettere che avrebbe messo nero su bianco gli impegni in una lettera a doppia firma con Tria. Ultima trattativa sponsorizzata ancora da Juncker, tenuto informato degli sviluppi mentre era in visita a Vienna, pensata per placare i rigoristi tra i suoi commissari e nelle capitali. Per tutelarsi di fronte a eventuali ripensamenti gialloverdi, la Commissione ha comunque preparato tutti i documenti per lanciare, già oggi, la procedura sul debito italiano che nell’ultima bozza sul tavolo Ue durerà almeno 6 o 7 anni.

Tanto rumore per il 2,04% di Deficit/PIL

A convincere la commissione quindi è stato l’avvio ritardato di reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni, la rimodulazione di un numero cospicuo di agevolazioni fiscali, le privatizzazioni immobiliari, in aggiunta a quelle già promesse e l’avvio della tassazione sulle transazioni elettroniche. Questo è il motivo per cui le ripetute grida d’aiuto arrivate per rimandare l’avvio della fatturazione elettronica non sono state ascoltate né dai leghisti né dal governo del cambiamento.  E poi c’è la tassa sulle transazioni elettroniche. La webtax, già prevista, rimaneggiata, e più volte rinviata dovrebbe scattare dal primo gennaio del 2019, con un gettito superiore ai 200 milioni stimati per la versione originaria della nuova imposta.

manovra
Come il governo del cambiamento ha cambiato la Manovra del Popolo (Corriere della Sera, 19 dicembre 2018)

Cedere sulla crescita programmata dovrebbe avere un sapore di sconfitta in particolare per Giovanni Tria, che sulle previsioni (sballate) di crescita aveva litigato con tutte le istituzioni italiane che nelle audizioni in Parlamento sostenevano che quel numero fosse sovrastimato. Alla fine lo ha dovuto accettare anche il ministro dell’Economia, che ancora non ci ha spiegato cosa avesse di scientificamente sbagliato la tabella dell’INPS sul Decreto Dignità ma in compenso ha dovuto sostenere in questi mesi talmente tante parti in commedia (dal duro e puro contro Bruxelles all’amico di Bruxelles contro i duri e puri di Roma) che alla fine smentirsi è stato il minimo sindacale. Rimangono molti problemi: se adesso le dismissioni immobiliari sono pari a 20 miliardi di euro, significa che l’obiettivo da raggiungere è ancora più lunare. Rimodulare le tax expeditures significa, a rigor di logica, aumentare le tasse e questo sarà difficile con un paese che si avvia verso la recessione.

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Via libera dalla Commissione, ma i problemi verranno dalla recessione e dallo spread.

Risultati immagini per CONTA IL VOTO DEI MERCATI.CONTA IL VOTO DEI MERCATI.

Conclusa positivamente, sembra, la trattativa con Bruxelles (che di fatto ha scritto la versione definitiva della manovra italiana), adesso il governo dovrà vedersela con un interlocutore molto più tosto e senza alcuna motivazione politica al quieto vivere: i mercati.

La Commissione, che deve lasciar correre uno sfondamento rilevante della Francia, non aveva voglia di mettere sotto accusa l’Italia, che comunque era già stata un po’ ridotta a più miti consigli con la riduzione del deficit dal 2,4 al 2 per cento (7-8 miliardi in meno di spese), e quindi ha chiuso la vertenza (probabilmente con qualche altro taglio).

Ma la questione vera che si apre ora è appunto con i mercati. Contrariamente a quello che si dice, nella manovra non ci sono misure espansive: c’è solo una forte ridistribuzione del reddito, fatta per di più a debito.

Ma questi sono tempi difficili, tutta l’Europa sta entrando in una fase di contrazione dell’attività economica: già il nostro terzo trimestre è stato negativo. Se lo sarà anche il quarto (probabile), saremo ufficialmente in recessione.

Ma con la non-crescita tutti i conti della manovra saltano, non tornano più. Saranno necessari tagli alle spese o nuove imposte. Due cose che questo governo vuole assolutamente evitare, in vista delle elezioni europee, che saranno un banco di prova decisivo per la maggioranza.

E i mercati, che già hanno dato segni di grande nervosismo nei nostri confronti nei mesi scorsi, non saranno tanto teneri.

Al primo segnale di cattivo andamento dei nostri conti, lo spread riprenderà a volare, aggravando ancora di più la situazione.

In sostanza, il confronto vero sarà (come è sempre stato a partire dal 2011) con lo spread, cioè con la comunità finanziaria mondiale.

L’impressione è che il governo abbia perso un’occasione con questa manovra: in vista dell’andamento della congiuntura, doveva essere più espansivo, con più investimenti e più soldi per la crescita.

Non è escluso che nel giro di qualche mese si debba provvedere a una sostanziale rettifica. A deciderlo saranno i mercati, dai quali dobbiamo attingere ogni anno 400-500 miliardi.

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L’IDEA GRILLINA: IL NORD PAGHERÀ IL SUD

 

Risultati immagini per IL NORD ITALIANO DEVE STIPENDIARE IL SUDUno stipendio pubblico a tutti e anche la questione meridionale sarà risolta.

Gli anni passano, gli interventi per “aiutare” il Sud si accumulano, ma nella realtà non accade quasi niente. L’Istat ha appena pubblicato i dati territoriali del Pil italiano e risulta che ancora nel 2017 il reddito del Mezzogiorno italiano era poco più della metà di quello del Nord. Di fronte a simili considerazioni i commenti sono quasi inutili. È ancora l’Istat che ci spiega come faccia, in queste condizioni, il Sud a sopravvivere: tanta economia sommersa. In Calabria, regione record, essa raggiungerebbe il 20 per cento di quella totale.

Il Sud, cioè, non riesce a decollare, ma si arrangia. Adesso, dopo i grandi impianti (le famose “cattedrali nel deserto”) l’ultimo grido è quello dei 5 stelle: stipendiare il Sud, tutto, e non pensarci più. Milioni di stipendi di Stato, così finalmente tutti staranno meglio anche a Sud di Roma.

Si tratta, come è facile immaginare di un’autentica follia: non si può immaginare mezzo paese, il Nord, che mantiene l’altra metà, il Sud.

In realtà il Mezzogiorno italiano soffre, e non decolla, un po’ per le stesse ragioni che affliggono, in misura minore, il Nord: eccesso di burocrazia, mancanza di infrastrutture adeguate, classi dirigenti un po’ da quattro soldi. Con in più uno stock di malavita organizzata molto rilevante. Il Nord, almeno, non ha la malavita e la vicinanza al centro dell’Europa, più una lunga tradizione industriale, gli ha consentito di crescere, anche in anni recenti. Basti pensare che mentre si assisteva alla paralisi del Sud, il Veneto esplodeva di attività e oggi è una delle regioni più dinamiche del paese. In sostanza, nel Veneto si è riusciti a fare quello che ancora non si è riusciti a fare al Sud. Perché?

Non si tratta di questioni “razziali” (meridionali “lazzaroni”), ma di semplici fatti. Il Veneto si è trovato a due passi da una delle aree più industrializzate d’Italia, il Nord Ovest, e dal centro dell’Europa (Austria e Germania). Quando è servito lavoro, il Veneto, ex regione contadina, era pronto, era una grande riserva di mano d’opera e di talenti imprenditoriali. Le aziende hanno fatto presto a trasferirsi e il Veneto è decollato, diventando il principale sub-fornitore dei tedeschi.

Il Sud, purtroppo, è lontano dalla Germania e dai grandi mercati europei. È davvero una periferia e come tutte le periferie non riesce a essere il centro di niente e a decollare.

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Facciano pure tutti i referendum che vogliono, l’importante è che il Parlamento decida una volta per tutte, perché questo balletto ha stancato.L’unico referendum che ha senso è quello sull’accordo: o si esce con questo, oppure senza.

Ci sarà un secondo referendum su Brexit? Se ne parla sempre di più e nelle ultime settimane ci sono state diverse aperture, ma resta un’ipotesi molto complicata da attuare.

Più passa il tempo, maggiori sono le possibilità che lo stallo su Brexit si risolva con una soluzione radicale. Una di queste è l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europa senza alcun accordo: al momento è richiesta da alcuni politici Conservatori ma osteggiata da una grande maggioranza dei parlamentari, soprattutto perché comporterebbe conseguenze molto negative a breve e medio termine. Un’altra soluzione radicale sarebbe un secondo referendum su Brexit. È un’ipotesi che fino a poco tempo fa era considerata quasi impensabile, ma che sta prendendo sempre più concretezza.

Dipende quante opzioni ci sono e se tra le altre ce ne sarebbe almeno una con un appoggio più ampio. Ma se le altre sono solo tre (approvare l’accordo, hard-Brexit e remain) matematicamente almeno una ha piu’ del 20%, quindi l’appoggio al referendum rimane un po’ bassino. In ogni caso, e’ un bel pasticcio, e comunque come andrà’ sara una debacle a livello politico. A dimostrazione del fatto che la maggior parte dei GB si sta facendo intortare come dei bimbi creduloni (per usare un eufemismo).

Un parlamentare è eletto per rappresentare e decidere. Se fallisci devi dichiararlo e non è facile. Un nuovo referendum su questo argomento rappresenta una dichiarazione di fallimento della politica e della rappresentanza.Una dose di autocritica difficile da digerire per tutti, politici e cittadini.Le percentuali espresse nel sondaggio lo dichiarano apertamente.

Sono totalmente in disaccordo per un secondo referendum. Non ci sarebbe dovuto essere nemmeno il primo. Come ha ribadito la High Court, in materia di trattati internazionali il Parlamento Uk è sovrano, quindi prenda una decisione e abbia il coraggio di assumersene la relativa responsabilità politica, invece di scaricare la patata bollente sempre su una popolazione che non potrà mai avere le competenze per valutare pro e contro.
Tra l’altro, la brexit non è mai stata un’alternativa secca tra due possibilità, ma un complesso di scelte del tutto incompatibili con un referendum popolare.

COMUNQUE: In linea di massima penso che si debba imparare a votare con maggior consapevolezza, quindi il Referendum non andrebbe rifatto perché l’elettorato doveva pensarci meglio prima. Però quella della “volontà popolare” è retoricuccia. Il 48% dei votanti ha scelto remain. Non sono “popolo”? Poi ci sono gli astenuti e pure quelli che non hanno potuto votare perché troppo giovani (ma dovranno pagarne le conseguenze). Quindi al massimo si può parlare di rispetto delle regole, importantissimo, ma non tiriamo fuori la “volontà popolare”. E anche per quanro riguarda le regole… tecnicamente era un Referendum consultivo. Mi chiedo che senso abbiano i referendum consultivi…
Infine, sul piatto vi è una questione delicatissima come quella dell’Irlanda del Nord. Trovo assurda l’idea del secondo voto ma allo stesso tempo i costi di una Hard Brexit sarebbero alti e ricadrebbero su tutti, non solo chi ha votato leave o si è astenuto.

Perchè. Il problema è questo integralismo della volontà popolare quando:

1) Il popolo è in gran parte ignorante, in senso tecnico: vorrei sapere quanti di quelli che han votato avessero una profonda conoscenza dei meccanismi dell’unione e di tutte le conseguenze di un’uscita dalla UE. Insomma: chi ha votato con cognizione di causa?
(NB: si applica praticamente a QUALSIASI tema. Qualsiasi sia l’argomento, solo percentuali da zero virgola voteranno con piena cognizione di causa, il resto lo fa la propaganda).

2) Il popolo si è dimostrato diviso sin dal referendum del 2016, e pare sia ancora più diviso ora.

3) Il popolo ha scelto di uscire, e adesso sarebbe chiamato a riconfermare la scelta, e addirittura scegliere la modalità dell’uscita, alla luce delle nuove informazioni.

4) Il popolo ci ha anche regalato (per acclamazione, ma anche mediante regolari elezioni) delle belle dittature… non è che la preferenza popolare sia una qualche sorta di garanzia di buona riuscita.

5) La democrazia è una cosa più complessa e articolata della dittatura della maggioranza.

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Manovra, Renzi: “Balle su balle, adesso il conto lo paga la povera gente”

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“Oggi vengono al pettine i nodi della campagna elettorale, non solo del rapporto con l’Europa. Noi abbiamo detto la verità agli italiani sui conti pubblici. E abbiamo perso. Loro hanno raccontato un sacco di balle. E hanno vinto”
 
“Il Governo non riesce a chiudere la Legge di Bilancio. Il Senato non lavora da giorni, in attesa degli emendamenti. Non si tratta solo di una scorrettezza parlamentare, vergognosa. Purtroppo è molto di più. Oggi vengono al pettine i nodi della campagna elettorale, non solo del rapporto con l’Europa. Noi abbiamo detto la verità agli italiani sui conti pubblici. E abbiamo perso. Loro hanno raccontato un sacco di balle. E hanno vinto. Ma adesso i soldi non ci sono. E la realtà presenta il conto. E se ci fosse onestà intellettuale bisognerebbe riconoscerlo”. Lo scrive su facebook il senatore Pd Matteo Renzi.

“Quello che sta accadendo oggi- aggiunge- non riguarda allora solo il rapporto tra Bruxelles e Roma, o tra il Senato e il Governo, ma il modo con il quale dei politici si sono candidati e hanno vinto le elezioni. Non è colpa degli italiani: sono i pentaleghisti ad aver raccontato un sacco di frottole. Faccio tre soli esempi. 1) Reddito di cittadinanza. Avevano promesso di dare a tutti 780 euro minimo netti. Costo: 65 miliardi. Ne hanno messi 6, forse. 2) Flat Tax. Avevano detto. Pagheremo tutti il 15%. Costo 95 miliardi. Ne hanno messo 1, forse. 3) Pensioni. Aboliremo la Fornero e torneremo al passato. Servivano 120 miliardi. Ne hanno messi 5, forse”. 

“Non discuto il merito dei provvedimenti – su cui peraltro non sono d’accordo – ma il fatto che questi hanno vinto le elezioni truffando gli italiani- dice ancora Renzi- Un anno fa ci dicevano: voi siete antipatici. Chissà. Loro forse sono più simpatici e probabilmente sanno anche raccontare le barzellette. Ma la truffa messa ai danni degli italiani è scandalosa. E purtroppo non è una barzelletta. Vi hanno raccontato balle su balle. E adesso il conto lo paga la povera gente”.

MANOVRA. MARCUCCI (PD): CONTE IN AULA O LA OCCUPIAMO

“Abbiamo ampiamente superato il livello di guardia sulla legge di bilancio. L’incapacità di questa maggioranza ci ha trascinati in piena emergenza democratica. Chiediamo che il presidente Conte venga subito in Aula a spiegare le ragioni di questo intollerabile ritardo. Se Conte ignorerà ancora una volta il Senato, siamo pronti a mettere in pratica la più estrema delle proteste: occuperemo l’Aula. È un appello che rivolgiamo anche agli altri gruppi di opposizione ”. Lo dichiara il capogruppo del Pd a Palazzo Madama Andrea Marcucci .

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Massimo D’Alema ? Sconcertato dalle polemiche insensate! Tu sei l’unico responsabile di questo sfacelo. Quindi non fare tanto la mammoletta. Il tuo odio per Renzi che ti ha negato la beneamata poltrona ha causato il disastro attuale e prima o poi la pagherai. Credimi

 Massimo D’Alema  “Sconcertato dalle polemiche insensate contro di me, non partecipo al Congresso Pd” MA QUESTO CI FA O CI è. Scrive: Sono sinceramente sconcertato dalle insensate polemiche che si leggono in queste ore. Sabato scorso, la Fondazione Italianieuropei ha organizzato una giornata di discussione libera, aperta, partecipata sul futuro dell’Unione Europea. Ci siamo confrontati in modo vero, anche da posizioni diverse, sulle prospettive del progetto europeo. All’incontro hanno partecipato anche diversi esponenti del Partito Democratico”. Lo scrive Massimo D’Alema, in una lettera scritta a ‘Repubblica’.

“Le reazioni di alcuni dirigenti del Partito Democratico, talvolta cariche di odio, non turbano affatto la mia persona – aggiunge – tuttavia confermano in me una notevole preoccupazione per il drammatico stato di salute in cui, evidentemente, versano quel partito e il centrosinistra italiano. Non sono iscritto al PD, non parteciperò al congresso e ovviamente non sosterrò alcun candidato. Gli auguro di fare una discussione chiara e nel merito che possa rappresentare un passo in avanti per tornare a svolgere un ruolo positivo per la società”.

Ma stando a quello che scrive perché si preoccupa ancora del PD , stanno già sbagliando da soli, non ci si metta anche lei a intorbidare le acque!

Bravo stattene a casa a brindare con Speranza all’anno nuovo come avete fatto quando il PD ha perso il referendum. E questo governo è passato per l’ennesimo tradimento del giuda d’alema.Senza la sua sponda ruspetta-casapuond-dimailavorato non sarebbe stati elevati a statisti.E’ un verme traditore che cura solo il suo ego.Bravo stattene a casa, sei solo capace di fare disastri, e poi con quale diritto vorresti partecipare al congresso .Credo ,dopo tutto quello che ha combinato nel PD,..siluramento di Prodi..e Veltroni…la organizzazione della cordata all’interno del PD per non votare Prodi a Presidente della Repubblica contro la volontà del partito.. infine la SCISSIONE dal PD in piena campagna elettorale , mi chiedo con quale faccia-tosta fa certe dichiarazioni?…
Ha sfasciato tutto..!! Ha consegnato L’ITALIA ai populisti e fascisti si è presentato alle ultime elezioni è stato trombato dagli elettori e ancora non ha capito la lezione… ma di che cosa vogliamo parlare…???

E’ solo un giuda traditore che doveva essere espulso dal csx già dal ignobile tradimento di Prodi.L’inventore della lega costola della sinistra e del m5s centrista. Ignobile politico capace solo di distruggere il campo amico e strizzare l’occhio all’avversario.

Avvelenatore di pozzi. Da dentro e da fuori.Mi chiedo : perché Rep da ancora spazio a D’Alema ? Ritiene possa ancora dare “contributi” ?

D’alema ha fondato un nuovo partito a sinistra per riportare nel suo alveo gli elettori ex comunisti e riprendersi la BOTTEGA oltre la CADREGA perché secondo lui non rappresentati dalla linea di Renzi. Il risultato elettorale non esaltante, sommando i voti PD+ Leu, è dovuto al tardivo riconoscimento che l’onda migratora mussulnana non era gradita alle classi che l’ex comunista avrebbe dovuto tutelare. Come mai la sua Fondazione, produttrice di relazioni, congressi, studi , etc, non ha mai individuato tale questione tra quelle meritevoli di attenzione politica oltre a quella invece portata avanti dal PD RENZI-GENTILINI del reddito di inclusione? e convoca tutti gli ex ai 20 anni della Fondazione e ci vano pure! Anche per questo ti reputo l’unico responsabile di questo sfacelo. Quindi non fare tanto la mammoletta. Il tuo odio per Renzi che ti ha negato la beneamata poltrona ha causato il disastro attuale e prima o poi la pagherai. Credimi. E IL PRIMA O POI DEFINITIVO E MOLTO VICINO .

 

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IL DILEMMA DEL POPOLO LIBERALDEMOCRATICO: ASTENSIONE O VOTO?

 E  QUELLI   DELLA BOTTEGA  

DIRANNO

   

 

 

 

 

 

 

A tutti coloro che vorrebbero non votare alle primarie del PD, perché non c è il nome di Renzi o a tutti coloro che sono tentati di scrivere Matteo Renzi e cosi fare annullare la scheda. Repetita juvant. Io Voterò per il Ticket Giachetti – Anna Ascani, una giovane donna, capace, preparata e determinata. Ma … ma … per rispettare il nostro attuale stato dell’arte … Posto le considerazioni di un grande e storico esponente della sinistra romana.
Ci ho pensato a lungo.
E credo che chi si agita per essere presente in ogni caso nel Congresso non ha capito la sostanza di ciò che Renzi sta provando a dirci. Io mi baso su una frase che disse giorni fa in una bella intervista all’Avvenire:
“Il futuro del PD e soprattutto del Paese non dipendono dal Congresso del PD”.
Allora evitiamo tutti noi la corsa a chi si definisce più renziano di un altro. Non siamo tifosi di politica, ma gente che ragiona di Politica. Ed allora collochiamoci liberamente come ci pare ma non facciamolo tirando la giacchetta a Matteo. Io Renzi non l’ho sposato e starò con lui fino a quando mi convincerà la sua linea politica. E finora, da quando lo conosco, non ho mai avuto motivi di dubitare della giustezza della sua condotta e della sua linea e non li ho neppure oggi.
E la linea ora è quella di porsi di lato rispetto al congresso del PD, di lavorare intensamente per l’opposizione ad un Governo di cialtroni e di condizionare culturalmente (chiunque sia il segretario) la linea del PD sul tema delle alleanze (è un successo di Matteo Renzi e nostro, il fatto che nessuno dei candidati, almeno a parole dica di non volere alcuna alleanza con i 5 Stelle), e di lavorare alla costruzione ed all’allargamento della rete di Comitati di Azione Civile; dobbiamo guardare di meno dentro l’ombelico del PD e molto di più a quel che si muove nel paese (ad es. quel balzo dal 49% di favorevoli alla UE, al 64%, segnalato dall’euro barometro è un segnale positivo che nella guerra congressuale si rischia di non cogliere); dobbiamo aumentare la potenza di fuoco (che è ancora un lumicino) sul web, con l’obiettivo di far diventare virale la verità, e non le falsità con cui i cialtroni hanno costruito e mantengono i loro successi mediatici.
E per far questo io credo che bisogna dar vita ad una struttura comunicativa autonoma dal PD (e sicuramente la web tv annunciata da Matteo è un pezzo di questa strategia ma non è sufficiente se non ci mettiamo anche del nostro).
Il mio atteggiamento quindi durante la campagna congressuale sarà in linea con il disimpegno di Matteo (che non è un disimpegno dalla Politica) e non sosterrò nessuno, pur comprendendo le ragioni di tutti che però sono tutte interne ad una logica autoreferenziale. Comunque io Voterò per il Ticket Giachetti – Anna Ascani, una giovane donna , capace, preparata e determinata.

Si perché: Nonostante la candidatura di Minniti venisse considerata renziana, molti ne sottolineavano più la funzione tattica di pacificazione interna, che la cifra marcatamente liberaldemocratica. Lo stesso Minniti aveva chiesto, ai maggiorenti leader liberaldemocratici, di evitare spassionati endorsement in modo da scongiurare le stigmate del “renziano”.
Ora, con la candidatura del duo Giacchetti-Ascani, lo scenario è mutato: sul tavolo c’è una candidatura marcatamente liberaldemocratica. Infatti, non si può negare che, durante l’interminabile tiritera per individuare il candidato di area, Giacchetti e Ascani erano nomi gettonatissimi tra i simpatizzanti.
Al momento, la candidatura Giachetti – Ascani raccoglie pochissimi appoggi dal gruppo dei renziani, che hanno spostato in massa il sostegno su Martina. Se non ci saranno riposizionamenti di truppe dirigenziali e non ci saranno endorsement di pezzi grossi del partito, la candidatura rischia di rimanere di pura testimonianza: anche i sondaggisti non sembrano crederci, li danno sotto il 10%.
Quello che il duo Giachetti – Ascani potrebbe fare, per cercare di scalare il consenso del popolo delle primarie, è caratterizzare pesantemente la piattaforma programmatica in senso liberaldemocratico, facendo dei principali item di rottura con la Ditta gli slogan della campagna elettorale:
1) mai e poi mai con il M5S;
2) alleanze verso Macron e non verso Corbyn e Melechon;
3) Il jobs act non si tocca;
4) no a patrimoniali e meno tasse sul lavoro.
Con il ritiro di Minniti, gli elettori liberaldemocratici sembravano avere un’unica possibilità per influenzare le prossime primarie, quella dell’astensione: il crollo dell’affluenza deligittimerebbe inequivocabilmente il futuro segretario. Oggi, ci sono due possibilità: il “non voto” o il voto all’accoppiata Giachetti – Ascani.
Non sembra arrivato il momento della decisione finale: il popolo liberaldemocratico, che speriamo marci compatto, ha ancora tempo a disposizione per capire se è meglio astenersi o giocarsi la partita dentro il partito.
Tutto sommato, “du gust is megl’ che uan”…

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Viaggio tra i dem al collasso, mentre si corre verso l’ennesimo congresso IN CONCLUSIVO.

Risultati immagini per Pd, il partito che non c’è (più)Pd, il partito che non c’è (più) A Bologna il Pd ha chiuso un quarto delle sedi. A Genova gli iscritti sono scesi a tremila. A Roma il debito supera i tre milioni. A Torino si sono inventati anche il counseling psicologico. Viaggio tra i dem al collasso, mentre si corre verso l’ennesimo congresso.

DOMANDE PER LA VECCHIA DIRIGENZA PD quella dei Da Lema  Bersani Grasso Zingaretti & C. CHE VUOLE NUOVAMENTE DETTARE LE LORO REGOLE DEL 800

– se scrivo che il PD ha fatto più battaglie per gay e lesbiche (cosa giusta, sia chiaro) negli ultimi dieci anni, che per i lavoratori negli ultimi venti, mi date dell’omofobo?

– se scrivo che mi sono stancato di vedere i centri storici delle nostre città simili a dei suk, o a delle casbah, credete che io sia simpatizzante di Casa Pound?
– se vorrei che i colletti bianchi colpevoli di reati, e la delinquenza comune che ammorba la nostra società, finissero in galera con pene esemplari anziché rimanere fuori grazie a leggi fatte ad hoc e a emendamenti svuotacarceri, mi date del giustizialista?
– se scrivo che i vari Pierferdinando Casini, Graziano Del Rio e Matteo Renzi non c’entrano nulla con la storia della sinistra, mi bollate come antiquato?
– se scrivo che la storia del patto del transatlantico Britannia, se fosse vera come sembra, è stata l’inizio della svendita dell’Italia, mi date del complottista?
– se scrivo che vorrei una maggiore tutela dei prodotti italiani, compreso uno scudo sulle acquisizioni dall’estero, mi date dell’ottuso sovranista?
– se scrivo che ormai siete il partito dei benestanti, mi date del sognatore?
Essendo “un democratico riformista” veramente  pur votando verso PD ritenevo che fosse indispensabile un partito di sinistra socialdemocratico…..non considerando i comunisti un partito degno di stare al governo.Ma è anche vero che è difficile oggi capire cosa c’è nella testa del politico di sinistra..non certo le esigenze dei cittadini più deboli (attenzione ho parlato di “cittadini” non di deboli in senso lato),Credo che in testa ci sia la visione di un mondo onirico emanato da una ormai nebbiosa democrazia originata dal mito olimpico (non reale) della resistenza  un mondo da fiaba dove tutti hanno quasi tutto e i bisogni sono i diritti civili ad eccezione del migrante….migrante che se è nella merda non è colpa di quello che la sinistra non sa fare o promettere ..ma del cittadino razzista e di destra….Beh, se una parte importante del mondo che conoscevamo sembra ora diventato il pianeta delle scimmie con gli oranghi a fare la politica e gli scimpanzè gli intellettuali, c’è da sospettare che la sinistra italiana o i liberal americani trattassero i propri elettori già come scimmie, che a quel punto, sono entrati nella parte fino in fondo e hanno puntato direttamente sugli oranghi.E il PD MUORE
PS: L’ex PCI e l’ex DC si sono fusi per dar luogo al PD. Chi li avrebbe immaginato solo negli anni ‘80. Perché ora fa tanto scandalo che Renzi voglia “fondersi” con la parte di FI che non si riconosce nell’alleanza con Salvini? Guarda caso sembrano gli stessi che occhieggiano al M5S, che insieme al suo alleato di governo, fa strame della Costituzione. Basti vedere come stanno riducendo il Parlamento in queste giornate. Le latrine le terrebbero più in ordine. Quindi in fondo questa sinistra/sinistra, alla fine, come è nel suo DNA, è disposta anche ad allearsi con chi passa con i cingoli sulla Costituzione, pur di avere uno strapuntino di potere.
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Il Pd dalla ‘ditta’ alla ‘bottega’ Se prevale la “bottega”, liberi tutti.

Risultati immagini per PD Se prevale la “bottega” DEI DA LEMA, liberi tutti.

Tra ieri e oggi sono avvenuti tre eventi che mettono in luce, ancor più di quanto fosse già evidente, quale sia la vera partita che si sta giocando nel congresso del Pd.

Si tratta del convengo di ItalianiEuropei nella quale D’Alema ha raccolto uno stuolo di personalità della sinistra  storica, dalla Boldrini a Vendola, a Bassolino,  a Cuperlo; dell’intervista a Bersani che si è dichiaro disponibile a spingere per la creazione di un nuovo soggetto della cosiddetta “sinistra di governo”; l’intervista al filosofo Cacciari, che con la brutalità da uomo di talk show – non dimentichiamoci che Martina lo aveva invitato alla Conferenza programmatica di qualche fa –  ha spiegato che il congresso sia una finzione e che Martina e Zingaretti si devono mettere d’accordo per rifondare il Pd tornando a prima del Lingotto, sulla base di una non meglio precisata proposta di partito federale che un quindicennio fa aveva fatto lui insieme a un gruppo di dirigenti del Pds/Ds; se poi Renzi si fa un suo partito “centrista” meglio ancora.  Inoltre, da una settimana il filozingarettismo del “partito di Repubbica” ha incrementato l’assalto a Renzi, al cosiddetto “gigliomagico” con le inchieste farlocche dell’Espresso sul fratello della Boschi, con l’assalto ad personam di un gruppo di politologhi in servizio permanente attivo, con gli sproloqui dei giornalisti di partito capeggiati da Giannini.

E’ del tutto evidente che questa accelerazione risponde a un ben preciso disegno che era già chiaro a poche ore dalle elezione di marzo: fare del Pd la stampella a un governo 5s attraverso il quale prendere due piccioni con una fava: tentare o meglio presumere di “romanizzare i barbari” e renderli uno strumento seppur ancora  indocile per consentire agli anfitrioni di un sinistrismo da salotto di poter continuare a pontificare sul futuro del paese e mantenere solidi agganci con i centri del potere politico. Sognano di rifare quello che Croce e Albertini pensavano  di fare con Mussolini: usarlo, guidarlo, integrarlo e poi metterlo da parte…si è visto come è andata a finire.   

Il ritorno di un vecchio ceto politico

Si staglia un’amalgama ideologico e di politique politicienne nel quale confluiscono il ministerialismo,  proprio di un vecchio ceto politico ex comunista e ex democristiano aduso da due decenni a stare nella “stanza dei bottoni”,  gli interessi editoriali ed economici che da  sempre sono cresciuti in un rapporto simbiotico con la politica, la  vanagloria di un gruppo di intellettuali di sinistra – ma non solo,  basti pensare a Prodi – che non vuole rinunciare, a dispetto di tutti i fallimenti e degli anni, di svolgere un ruolo di maitres à penser, parlandosi addosso dai circuiti televisivi, dalle “feste delle idee”, dalle presentazioni di libri che scrivono ( o fanno scrivere) solo per poterli presentare e  alimentare il circuito autoreferenziale nel quale sopravvivono; ma anche esprime la forza di un richiamo ricorrente di natura massimalista, populista, giustizialista, presente in quel campo di forze,  che può non solo riagglutinare  ciò che si è mosso alla sinistra del Pd con quello che ha continuato a militare al suo interno  – la figura amletica e patetica di Cuperlo ne è l’emblema più significativo – ma costituire il terreno d’incontro programmatico e ideale con la “sinistra” del M5S.

Queste forze e questi gruppi, seppur con attori diversi e in un contesto diverso, sono gli stessi che per un decennio, sempre in nome della sinistra, hanno rallentato la nascita del Pd, che con Bersani e D’Alema, hanno cercato di ucciderlo in culla e che per un quinquennio hanno costruito una massa d’urto sempre più forte per affossare il riformismo europeista di Renzi e della maggioranza dei militanti del Pd. Nonostante siano andati a sbattere in tutta Europa e siano anche in Italia in via di estinzione, utilizzando la  sconfitta elettorale del Pd,  di cui sono pienamente corresponsabili, si ripropongono di riprendere il controllo del partito,  utilizzando questo vasto fronte interno ed esterno, dopo che da due congressi consecutivi erano usciti con le ossa rotte.

Ora nonostante l’atteggiamento di superiorità messo in campo verso un dibattito congressuale spacciato come inutile o tattico, queste forze sono assolutamente consapevoli che invece la partita è decisiva: è come un’ultima chiamata; ora o mai più. L’attivismo di D’Alema ne è il sintomo e il simbolo al tempo stesso, mettendo in luce chi sono i veri padrini dell’operazione Zingaretti: un burocrate di partito – una specie di riedizione  di Bettini al tempo di Veltroni –  uscito da una sconfitta elettorale peggiore di quella di Renzi, che governa il Lazio con l’appoggio di due esponenti di estrema destra e in un dialogo fitto con la Raggi pensa di fare di quella regione il laboratorio dell’alleanza rosso-gialla, che però può tornare utile però a raccogliere dentro e fuori il Pd tutte quelle forze che non sono in grado di pensare la sinistra al di fuori dell’estenuata tradizione del Pci e del suo massimo tentativo di rinnovamento  rappresentato dai Ds.

Una ‘cosa’ casereccia

Dentro questo mondo c’è ovviamente di tutto: dai “mélenchoniani” alla Fassina, dai pansindacalisti massimalisti alla Camusso e Landini, dagli ultimi togliattiani alla D’Alema e Cuperlo, dagli eredi del prodismo ulivista, fino a cacicchi meridionali alla  Bassolino e Emiliano: un impasto che è lontano mille miglia da quel riformismo europeista che in virtù di una leadeship molto forze e di una elaborazione culturale restata per quasi un decennio ai margini dei processi di organizzazione politica del centrosinistra, è riuscita nell’impresa di assumere la guida del Pd,  e cercare di farne quello che era implicito nella sua stessa nascita,  e di conquistare il governo del paese.  Si tratta di un’aggregazione che in Europa ha ben pochi referenti che non siano un ‘estrema sinistra minoritaria, assai poco europeista come Corbyn, che è il loro massimo punto di riferimento, assai poco riformista come la Linke tedesca e che fatica a dialogare con quel che resta della socialdemocrazia europea, che ha sono nella penisola iberica una sua effettiva consistenza politica; una “cosa” casereccia di cui D’Alema sarebbe la testa pensante,  Zingaretti il presunto leader e Bettini l’organizzatore occulto.

Infatti il fiasco di Leu ha messo in luce che non c’è nulla alla sinistra del Pd, non ci sono praterie elettorali, non ci sono foreste dove andare a rintracciare i delusi del Pd ivi nascosti. Per rifare i Ds e ritornare a “socialismo” che hanno in testa Bersani e Rossi è indispensabile  reimpossessarsi del Pd, non importa se rimpicciolito e ridimensionato  da una inevitabile fuoriuscita di Renzi e dei riformisti. Meglio pochi – un po’ come i massimalisti degli anni venti che espulsero Turati e Matteotti, che volevano fare un governo con Giolitti per combattere il fascismo incipiente, in nome di una alleanza con l’appena nato Pcd’I per fare la rivoluzione – ma coesi attorno all’unica idea di cui dispongono: allearsi con il populismo per fermare la destra parafascista di Salvini. In sintesi, un’operazione “grande LeU”.

Perché no ad un’alleanza con il M5S

Da più parti è stato scritto, a ragione,  che si tratta di un analisi sbagliata perché il M5S non sta a sinistra, ma rappresenta solo la variante “di sinistra” del populismo che è un movimento di destra: un po’ come confondere la sinistra fascista,  che c’era nel movimento e nel sistema totalitario, con la sinistra degli esuli e dei carcerati. Cosi come risulta evidente che un’operazione di questo genere rimodellerebbe il sistema politico attorno al dominio assoluto del populismo che occuperebbe con il “fichismo” il campo  della sinistra, con la stampella  subalterna e ininfluente del Pd, e con il “salvinismo”  il campo della destra con una Fi ancora più ancillare e marginale. Un capolavoro politico da cui la sinistra non si risolleverebbe più per molto tempo, ma che rimarrebbe quella che quest’area ha sempre pensato: una forza minoritaria che si deve alleare con qualche altro per sedersi al governo del paese.

Si tratta dunque di un operazione sbagliata e vecchia,  costruita su un rinculo ideologico a prima del 2008,  che distrugge il Pd e la sua novità politica: ma nelle intenzioni dei proponenti salva un perimetro politico, politicamente ininfluente, ma in grado di garantire al un ceto di professionisti della politica non solo degli stipendi, ma anche uno spazio politico-culturale tanto più apparentemente grande, quanto più condito dalla boria del suo ceto di intellettuali al seguito; salva dunque l’ identità di una generazione di ex comunisti e di ex democristiani, molto di più di quanto non accadrebbe se il progetto liberalprogressista di Renzi andasse avanti e venisse percepito come effettiva e unica alternativa al populismo.  Farebbero la fine di Marchais e del Pcf al tempo di Mitterand, quando emerse in modo chiaro che quella tradizione politica non aveva più nulla da dire, né da dare.

Molti dubbi sui candidati

Se è chiaro cosa si sta muovendo nelle effettive dinamiche congressuali attorno alla candidatura di Zingaretti, cosa voglia rappresentare Martina per ora è assai poco chiaro. Martina è l’uomo sbagliato nel posto sbagliato: essendo vicesegretario del Pd, quindi corresponsabile come Renzi della sconfitta del 4 marzo, dopo la reggenza, fin troppo lunga, doveva farsi da parte. Invece finge un nuovismo inconsistente (si è fatto persino fatto crescere la barba per sembrare un’altra persona): dopo avere chiesto anche lui scusa degli errori del passato, che lui stesso ha prodotto e rappresentato il progetto proposto è confuso, perché cerca di collocarsi in uno spazio mediano tra il riformismo “alla Renzi” e il progetto di restaurazione diessina proposto da Zingaretti, senza dire né attorno a chi e a cosa si struttura, né perché è necessario stare in mezzo… Per ora si è vista una serie di proposte scriteriate: la patrimoniale, un “antirenzismo” di maniera, un’incertezza sulle alleanze, una visione del partito vecchia scuola. Inoltre, ed è la cosa più grave, anche Martina continua a ripetere che il nemico è la “destra” e non il populismo sovranista che ingloba anche il M5S. Insomma uno “zingarettismo dal volto umano” poco convincente perché in politica le “copie” hanno sempre poca fortuna. Inoltre una candidatura senza effettiva offerta politica, perché senza l’alleanza con i 5S, il “martinismo” è senza proposta. Hanno ragione dunque quanti, da Cacciari in giù, ipotizzino un’alleanza tra i due cui ricostruire l’unità del Pd: ma di un Pd già fortemente connotato in senso antiformista, già  pienamente rinculato nel quale gli è riservato il ruolo dell’opposizione di sua maestà.

Mi spiace di non condividere la scelta di quanti di noi hanno deciso di sostenere Martina in quanto “male minore” o per “salvare il salvabile”: nonostante l’onestà degli intenti e la buona fede mi sembra una operazione dal fiato cortissimo perché l’opposizione alla restaurazione dalemian-zingarettiana non si fa mettendosi a cuccia nelle retrovie, sperando di condizionare un “front man” che non è un leader politico, non ha spessore strategico e al di la dell’evocazione delle periferie e dei circoli non ha messo in campo nessuna idea-forza in grado di definire una proposta alternativa: anche lui è un figlio di Bersani e li ritorna, inevitabilmente. Chi ha fatto questa scelta ha una sola effettiva via d’uscita: definire una piattaforma politica chiara e pubblica sulla base della quale vincolare quel sostegno, dal “sen fuggito”: se non compare in fretta l’operazione si configura come un operazione opaca, verticistica e destinata a non aver nessun esito.

Alla base di questo manifesto ci dovrebbe essere la delineazione dell’alternativa al progetto restauratorio che nel momento in cui esclude l’alleanza con i 5S, individua il suo baricentro nella creazione di un fronte progressista, riformista, liberalsocialista, di orizzonte europeo, che si proponga di aggregare un vasto campo di forze che vada da Bentivogli, Calenda, Bonino fino ai liberal-moderati che stanno in Forza Italia, ai membri del cosiddetto “partito del Pil”,  alle “madamine” torinesi tanto disprezzate da Zagrebelsky. Un fronte che faccia del riformismo dei governo Renzi-Gentiloni il perno per definire una strategia alternativa al populismo. Le Tesi di Libertàeguale sono già una canovaccio programmatico assai utile, se qualcuno decidesse dopo averlo elaborato di utilizzarlo politicamente. Ma Martina su tutto ciò non ha ancora detto nulla. Speriamo che chi ha deciso di sostenerlo lo aiuti a decidere per il meglio.

Liberi tutti

Quello è il progetto cui stanno lavorando Renzi e Calenda, ognuno dal suo punto di vista, che sta dentro e fuori il Pd, ma di cui dovrebbe costituire l’asse portante, se ovviamente non vince D’Alema; esso  costituisce il nucleo politico e ideale di una proposta progressista e democratica che va poi riempita di nuovi contenuti programmatici orientati alla scala effettiva su cui si gioca lo scontro politico anche in Italia, cioè l’Europa:  la vicenda dei gillet jaunes definisce le vere discriminanti su cui ridefinire ciò che è di destra e ciò che è di sinistra, ciò che appartiene al campo della democrazia liberale e ciò che appartiene a quello populista.

Dentro le dinamiche congressuali cosi definite, solo la candidatura di Giachetti-Ascani tiene desta effettivamente questa prospettiva. E’ poco; è un’operazione maturata in fretta, non è sorretta da un forte apparato di partito, ma è l’unica cosa che c’è per contrastare la restaurazione della “Ditta” – e neanche quella dei fasti bersaniani, ma una piccola  bottega antiriformista – e il ritorno dei suoi attempati demiurghi; e che si può in queste settimane rafforzare per trovare le ragioni per stare ancora nel Pd. Se prevale la “bottega”, liberi tutti.

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