Archivio mensile:giugno 2018

Ma finirà questa brutta stagione: quando i nodi verranno al pettine.

 

Finirà questa stagione

Risultati immagini per quando i nodi verranno al pettine.Finirà questa stagione che vede in primo piano un esecutivo annaspante tra le prese di posizioni spregiudicate di un ministro della paura (l’invasione dei migranti, il pericolo incombente rappresentato dagli zingari, la necessità di armarsi per la legittima difesa dalla delinquenza operante come non mai, la perdita della sovranità nazionale, la cattiveria europea nei confronti del nostro paese colpito dalla malasorte di avere le coste vulnerabili agli attacchi delle ONG….) e l’urgenza di mantenere le promesse elettorali – tradotte in programma di governo – ma aprendo alle riforme a costo zero, cioè allo specchietto per le allodole.

Lo spettro di una nuova crisi economica, intanto, si aggira nel paese, soprattutto nel Mezzogiorno, i cui problemi irrisolti rappresentano il male endemico della nazione. Non una parola, non una misura si prospetta che non sia un’azione di polizia a tempo indeterminato contro una organizzazione criminale che tiene in scacco da oltre un secolo il potere politico centrale. Un esercito di poliziotti, di guardie di finanza, di militari, di servizi segreti, di mezzi di indagine sofisticati e una magistratura che appare attenta e implacabile di fronte ai fenomeni di corruzione e di mala politica, tutto questo apparato non riesce a debellare la mafia, non è capace di eliminare una delle cause del degrado umano e territoriale del sud d’Italia, di scovare un latitante da oltre trent’anni come Matteo Messina Denaro.

Eppure sembra che l’interesse primario della gente del Sud sia la difesa dai pericolosi migranti (Salvini continua a riscuotere numerosi consensi) e che tanta parte degli elettori grillini aspettino il reddito di cittadinanza quale soluzione dei loro problemi. Si ripete l’abbaglio della Cassa del Mezzogiorno, con la quale la DC degli anni cinquanta alimentò la mafia e la corruzione, facendolo credere il mezzo per la rinascita del Sud.

Ma finirà questa brutta stagione: quando i nodi verranno al pettine.

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PD, NON MOLLARE Riforme contro populismo. E una squadra nuova o semi-nuova, diversa da quella di prima.

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Nelle aziende dove fanno i microchip, e dove ogni tot mesi devono farli di dimensioni dimezzate (così si fanno apparati più potenti), c’è una regola precisa: la squadra che ha appena dimezzato il chip viene sciolta e mandata a fare altro. La ragione è semplice: si ritiene che chi ha appena fatto lo sforzo intellettuale di dimezzare un chip non riesca a farne un secondo per dimezzarlo di nuovo. E così si manda in campo una seconda squadra. La prima esce di scena.

Il Pd, oggi, è un po’ nella stressa situazione: l’attuale gruppo dirigente ha dimezzato il partito (in termini di consenso elettorale). E, contrariamente a quello che pensano le ditte di microchip, avrebbe la miracolosa capacità intellettuale di dimezzare ancora una volta i consensi al partito.

E’ per questo che se ne devono andare, tutti. Senza nessuna eccezione. Nessuna.

Poi si può ripartire. Ma su basi molto diverse. Quella che nel primo Renzi (negli anni della conquista del partito) era stata quasi solo un’enunciazione, la sinistra liberal-democratica, deve diventare la base costituente. Le riforme, magari scritte un po’ meglio, l’asse portante. E con squadra nuova. Ferrara l’ha già individuata: Gentiloni, Minniti, Calenda. Minniti contro i populismi sugli immigrarti e Calenda contro .

Gente come Orlando e Emiliano va lasciata perdere, vadano con i pentaniente o dove diavolo vogliono. Il loro tempo è passato da decenni. Si azzerino le tessere e si riparta da zero.

La nuova formazione deve essere aperta a tutti coloro che ne condividono l’impostazione (non importa da dove provenienti). Se il nome Fronte Repubblicano non piace (e non piace), si può scegliere Italia libera o altro (bello anche il Non mollare di salveminiana memoria). L’importante è che sia una formazione anti-sovranista e anti-populista.

1- E che dica la verità. Non come faceva Renzi che decantava le meravigliose sorti progressive del paese. Il nostro è uno dei paesi più sgangherati d’Europa. In caso di crisi, con il nostro grandissimo debito pubblico, saremo i primi a affondare. Oggi cresciamo persino meno della Grecia. E siamo gli unici a non aver ancora recuperato i livelli di benessere pre-crisi.

2- E infatti siamo l’unico grande paese europeo con al governo i sovranisti: i malessere, quindi, c’è, e è grande. E non si può combattere, come vorrebbero Di Maio e Salvini, distribuendo altro debito pubblico. Questa è una follia, contro la quale bisogna gridare forte. Solo una lunga e intensa stagione di riforme può salvare questo paese: riforme contro populismi, senza un attimo di tregua o di ripensamento.

3- La gente non capirà? Perché aspetta il reddito di cittadinanza? Capirà quando non vedrà arrivare niente e quando vedrà che dalle pensioni d’oro si ricavano solo mille cause in tribunale e tre gelati per Di Maio. A Salvini va sbattuto in faccia che, grazie proprio a Minniti, non esiste in Italia un’emergenza migranti: la Spagna ne ha presi più di noi e non fa tutto quel casino.

4- L’ora delle frottole elettorali e della propaganda è finita. Adesso comincia l’ora della verità. E la verità è che senza riforme serie questo paese non ha alcuna speranza. Può solo deperire, correre verso un futuro di miseria.

Però, bisogna muoversi in fretta. E, mi spiace per tutti i suoi fan (fra i quali mi iscrivo), l’amato Renzi questa volta dovrebbe stare in seconda fila, ancora meglio in terza. Per poi scattare in prima fila al momento opportuno che non è lontanissimo.

Facciamo tenere a battesimo la nuova formazione da Macron, Sanchez e dalla signora Merkel. Facciamo vedere che in Europa non siamo soli.

En marche, ma in fretta ormai.

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Ciclo chiuso? SI SE SI APPLAUDE Gli avvoltoi che sono quelli che hanno preso per i fondelli il “popolo” credulone.

Non bastano semplici aggiustamenti o povere analisi di circostanza. È il momento del coraggio, per coinvolgere non solo il PD

Risultati immagini per Ciclo chiuso nel pd

State calmi, non vi agitate. “Vinceremodopo”. Se leggete un po’ di storia, il comunismo non esiste nemmeno in Russia, ma solo nella mente torpida di estremisti.Beh è chiaro che non sai cosa è il comunismo. Il fascismo è una modalità di governo-dittatura, rispetto all’altro che è una teoria sociale di analisi economica (giusto per ridurre ma ci sarebbe da dire molto altro). Difatti non a caso per i sovietismo e tanti altri regimi sedicenti comunisti nel mondo si è parlato di fascismo rosso.Ma voi ve n’è siete accorti che LeU, che ha fatto la scissione “per colpa” di Renzi, non ha avuto una gran fortuna? Voi siete proprio sicuri che il problema del PD sia Renzi, o solo Renzi? Se voi aveste ragione il PD perderebbe voti a vantaggio di LeU, o comunque della sinistra; vi risulta stia accadendo questo? Tra l’altro, mi sembra che i sondaggi non siano poi così catastrofici …https://www.termometropolitico.it/1308785_sondaggi…

Vi provo a tradurre i concetti in maniera da semplificarvi il compito, dandovi l’opportunità di rispondere con un Si o con un No:
1) LeU, che si è scisso dal PD a causa di Renzi, ha avuto fortuna elettorale (Si/No);
2) Il PD, avendo ancora Renzi in posizione preminente, perde voti a vantaggio di LeU e/o dei partiti di sinistra (Si/No);
3) Gli ultimi sondaggi danno il PD in caduta libera (Si/No).
Se si hanno argomenti da esibire, non dovrebbe essere difficile rispondere …

Attendo risposte nel frattempo buona continuazione anche a voi. Magari la prossima volta, però,mi fate omaggio di un vostro parere entrando nel contenuto di ciò che scrivo.

Se LeU e il resto della sinistra non hanno avuto fortuna, continuare a sostenere che la colpa del calo del PD è perchè Renzi “non è di sinistra” è quantomeno bizzarro. Stante i risultati delle urne, se non lo è Renzi, non lo è nessun altro dell’area di sinistra allora. Considerato poi che la sinistra ha poca fortuna anche nel resto d’Europa, addossare la colpa (o tutta la colpa) a Renzi non è solo bizzarro, è patetico.
Voi dite, giustamente, che il PD ha perso i voti a vantaggio di Lega e M5S. Non fa una piega. Ma la domanda che dovrebbe automaticamente scaturire sarebbe: ma perché, M5S e Lega sono di sinistra? Sui sondaggi mi trovate del tutto d’accordo. Non faccio ciecamente affidamento sui sondaggi ma, in mancanza di altro un po’ più attendibile,un sondaggio è sempre meglio del parere di chi scambia i desideri per realtà …è possibile che gente come voi non sa dialogare senza insultare? Piuttosto vi dovete preoccupare voi d’avere chiara la differenza tra destra e sinistra …
A Pisa, vecchio bastione della sx, il candidato di cdx ha vinto col 50,8% contro il 49,2% del csx. E ci si sono messi in due pesi massimi, cdx ed M5s, per fare quel “meraviglioso” risultato. capito?
A voi, se vi si toglie Renzi, restate privi di qualsiasi argomento spendibile. Un po’ poco direi ..

LORO:Ma è ancora fermo su queste posizioni ?

Certo, continuo imperterrito ad essere fermo sulla posizione di contestare chi è convinto che tutti i mali del PD, e della sinistra in generale, dipendano da Renzi. E pongo delle banalissime domande che, però, mettono a nudo l’inconsistenza di tale posizione, tra le quali (ma non solo …) quella se LeU abbia “capitalizzato” il fatto di aver voltato la spalle a Renzi …
Vengo quindi alle VOSTRE domande:
a) la sinistra, il centrosinistra, il riformismo, regge in questa situazione ? Assolutamente no.
b) che si fa? Ecco, su questo non so risponderle di getto. Il problema della “sinistra” è un problema europeo (almeno …) di ricerca di identità. Ci sono varie “anime perse” che vagano per l’Europa, con idee abbastanza differenti l’una dall’altra. Ed in Italia abbiamo addirittura una ingiustificata pletora di sinistre. Il modo migliore per cogliere questo aspetto è fornito, come spesso accade, da chi fa satira. Mi permettete di proporvi un gustoso sketch del grande Guzzanti che, oltre ad essere esilarante, fa anche riflettere …
https://www.youtube.com/watch?v=iubLuLhzoac&feature=youtu.be
c) per carità, lasci perdere le mance elettorali. Siccome da noi un mese si e l’altro pure ci sono elezioni, non trovando argomenti di merito su un dato provvedimento, il modo migliore che ha l’opposizione (qualsiasi essa sia) è di catalogarlo come mancia elettorale …

La “logica”, quindi, suggerirebbe che la crisi è proprio nel concetto di “sinistra” per cui, inevitabilmente, coinvolge LeU e tutti quelli che sostengono di essere la “vera” sinistra. Se il PD dovesse retrocedere al 5%, non sarà di certo perché “si ragiona su LeU e affini” …
Non vedo proprio dove sia “il ridicolo” nel negare che la maggiore responsabilità del disastro sia di Renzi. Quando nello stesso partito si brinda alla sconfitta del proprio segretario democraticamente eletto, quando non passa giorno che non ci sia un controcanto alle tesi approvate dagli organismi direttivi, quando ciascuno persegue un proprio disegno del tutto scollegato dal resto del partito, mi sembra che le responsabilità vadano quantomeno equamente distribuite.
Riguardo infine al “Titanic” non c’è dubbio che le prospettive siano poco esaltanti, anche se i sondaggi dipingono un elettorato abbastanza stabile, almeno per ora. Molto dipenderà da come sarà gestita la crisi attuale ma, se conosco i miei polli, c’è ben poco da sperare per il futuro. Si prospetta uno spettacolo per nulla esaltante dove, ci può scommettere, ci sarà il solito tiro al piccione al “capro espiatorio” … di cui non faccio il nome.

PS: Tutti si affannano a predicare “maggiore umiltà” e “molto ascolto del popolo”? Ebbene, mi permettete di assumere una posizione eterodossa, del tutto personale. “Ascoltare con umiltà il popolo” cosa significa per uno che si professa di sinistra? Respingere i migranti a cannonate? Chiudere le frontiere? Tornare al “sovranismo” e, magari, anche alla cara vecchia liretta? Ripudiare l’Europa? Ebbé, se voi ci pensa bene, quello che oggi sembrerebbe chiedere il “popolo” sia proprio questo. E allora? Addirittura, c’è M5S che sta perdendo terreno perché “non allineato” completamente al “volere del popolo”! E voi pensate seriamente che la sinistra debba rincorrere “il popolo” su questi argomenti? Guardate, glielo dico senza mezzi termini: al momento non vedo via d’uscita. Il pendolo della storia ha oscillato nel verso dell’egoismo, dell’ipersemplificazione, del disinteresse, della deresponsabilizzazione. La gente vuole sentirsi raccontare cose semplici ed immediate che non comportino sacrifici e responsabilità. L’economia non va? Usciamo dall’euro! E poco importa se dopo si piangerebbero lacrime amare. La narrativa populista oggi funziona: prima stavamo meglio, quindi meglio tornare alla lira …
Riguardo infine gli 80 euro, certamente la misura è stata imperfetta ma, mi permettete, non è vero che va a vantaggio di chi già ha. Forse voi dimenticate la polemica di chi ha dovuto restituirli perché ha superato il limite di reddito, e trascurate il fatto che questo governo lo vuole mantenere. Inoltre, che non sia stato fatto nulla per le classi meno abbienti non è assolutamente vero.
https://www.agi.it/…/reddito_dignita…/news/2018-06-16/
Certo, ci sarebbe da discutere se è poco o tanto ma, non dimentichiamolo, sono misure che sono state intraprese nel contesto della peggiore crisi economica da 80 anni a questa parte.Quando il PD ha preso in mano l’Italia nel 2012, il PIL era a -2,9%. Oggi siamo al +1,5%, circa 4,5 punti in più, ovvero un’escalation che pochissimi in Europa sono riusciti a fare …

 

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Invece di fronte a un simile precipizio, il primo atto pubblico della sinistra stessa, sicuramente da parte dei suoi testimoni apicali, dovrebbe contemplare lo scioglimento immediato dei partiti e dei movimenti che fino a oggi ne hanno, assai degnamente, rappresentato il lavorio infaticabile nella prospettiva della disfatta infine conseguita, raggiunta, come definitivo ammazzacaffè senza possibile ritorno, il Partito Democratico e magari, a seguire, anche il suo “beauty-case” ufficioso, Liberi e Uguali

Vuoto democratico: così il Pd è diventato il nulla politico (e i suoi leader figurine sbiadite). Dopo la disfatta della sinistra nelle roccaforti emiliane e toscane qualcuno dovrebbe prendersi la responsabilità di una tragedia simile. E invece che succede? Oliviero Toscani propone una bella foto di gruppo per ripartire dalle solite facce (ormai spazzate via dal tempo)

1496218233 Sergent PepperDiversamente da questa ipotesi iconica per anime già belle adesso bollite, in attesa dei frutti del bondage maggioritario, prospetterei semmai, proprio davanti allo strapiombo della sconfitta, una replica di marca Pd della leggendaria copertina di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles, che ovviamente comprenda tutti i divi dello recente sfacelo di quel partito, piazzati lì in posa come vera trionfale foto ricordo dell’ecatombe, di più, della Dopostoria, direbbe il poeta

 La Sinistra ha fatto “splash” o forse addirittura “crash”. È accaduto perfino nei luoghi dove il suo pervicace popolo di riferimento riteneva che il partito dovesse sempre e comunque reggere. Fiori, frutti, città, regioni dove in molti pensavano che il “radicamento” fosse ormai assoluto, dna culturale davvero incancellabile, inscalfibile, sangue del suo sangue, nervi dei suoi nervi, come nella canzone dei nuovi partigiani eroi, e invece…

Invece di fronte a un simile precipizio, il primo atto pubblico della sinistra stessa, sicuramente da parte dei suoi testimoni apicali, dovrebbe contemplare lo scioglimento immediato dei partiti e dei movimenti che fino a oggi ne hanno, assai degnamente, rappresentato il lavorio infaticabile nella prospettiva della disfatta infine conseguita, raggiunta, come definitivo ammazzacaffè senza possibile ritorno, il Partito Democratico e magari, a seguire, anche il suo “beauty-case” ufficioso, Liberi e Uguali. Che insomma si guardino tutti rispettivamente in faccia mentre compilano, a vicenda l’uno per l’altro, il proprio foglio di via politico obbligatorio, cui far seguire un doveroso, sebbene prosaico, “amen” per ciò che è stato.

Proprio così, se è vero che fino a qualche anno addietro ancora, paradossalmente, si parlava dei succedanei del Pci, – ossia Pds, Ds, Pd – come una sorta di “Lega Centro”, intoccabile, forte delle proprie rendite di posizione conquistate nei decenni, non c’era schermata post-elettorale da approfondimento di telegiornale, perfino nei momenti peggiori di tracollo nazionale, che non mostrasse lo stivale comunque pezzato di rosso nella sua Dorsale Appenninica, il colore televisivo-segnaletico, più che allegorico, del centro sinistra.

Di fronte a quel prospetto, il mite, il paziente, meglio, il Sisifo, il Giobbe, la Penelope di sinistra potevano comunque sospirare il sentimento della cosiddetta tenuta, ciò che verrà perfino detto “zoccolo duro”, certamente in senso di tradizione storica, tra memoria delle prime eroiche società di mutuo soccorso cooperativo e ricordo resistenziale, tra “Metello” di Vasco Pratolini e “Bube” di Carlo Cassola. Tutto questo adesso ha cessato d’avere luogo e perfino sogno nei sondaggi, anche le roccaforti storiche, l’Emilia e la Toscana, sono in mano ad altri, agli estranei, a chi detestava far la spesa alla Coop, e servirà poco parlare di “barbari”, raccontarsi che dopo di noi certamente il diluvio, la Esselunga.

Così lo stato esatto delle cose. E tuttavia, immagino già che da parte degli sconfitti, come accade sempre a sinistra in queste circostanze estreme, si stia lavorando a sollevare il dispositivo rassicurante psicologico che porta ad attribuire le responsabilità a un altrove cinico e baro e magari anche decisamente fascista, la paranoia del vecchio militante a far da colla in questo modo di travisare la realtà, le sue oscillazioni.

D’altronde, da una psicologia gregaria di sinistra che, sempre di recente, davanti all’avanzata sovranista e identitaria, ha dato l’idea che occorresse difendere, sì, la democrazia dall’orda salviniana degli analfabeti oggettivi, ma anche, e se non soprattutto, garantire la continuità dei contratti in Rai per i Fabio Fazio, e ancora per Concita De Gregorio, Corrado Augias, Bianca Berlinguer, e, perché no, Massimo Recalcati, apprezzato coiffeur lacaniano dei ceti medi riflessivi, ecc., da un simile orgoglioso modo di pensare ed elegantemente agire cosa aspettarsi?

Bene, per amor di lusso, assumo allora per intero sulla mia persona la responsabilità di questo estremo “gong!” elettorale regionale e cittadino, confesso che è solo colpa di chi si è mostrato incapace di mettere in atto la formula della “vocazione maggioritaria”, ossia credere che Veltroni sia davvero uno scrittore, già, ancora stamattina, a latte disastrosamente versato e compiuto, questa veniva evocata dai palafrenieri dem, e tuttavia, diversamente da ciò che suggeriva Oliviero Toscani, in questo suo generoso twitt: “Sono pronto a fare una foto di gruppo a @PaoloGentiloni, @grazianodelrio, @CarloCalenda, @maumartina, @giulianopisapia, @emmabonino (e altri?) per un grande manifesto di resistenza. Questa fotografia sarebbe l’occasione per discutere del grande futuro che ci aspetta. Ci state?”

Diversamente da questa ipotesi iconica per anime già belle adesso bollite, in attesa dei frutti del bondage maggioritario, prospetterei semmai, proprio davanti allo strapiombo della sconfitta, una replica di marca Pd della leggendaria copertina di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles, che ovviamente comprenda tutti i divi dello recente sfacelo di quel partito, piazzati lì in posa come vera trionfale foto ricordo dell’ecatombe, di più, della Dopostoria, direbbe il poeta.

Dunque, già che ci siamo, provo a indicare alcune possibili, imperdibili, sostituzioni, i primi che mi vengono in mente. Bene, per iniziare, vedrei lì bene in doppia versione, al posto del Grasso e del Magro, Napolitano-Ollio mentre, rivolto a Beppe Grillo, pronuncia: “L’unico boom che conosco è quello degli anni Sessanta”, e ancora sempre lui, Napolitano-Stanlio, che, da ministro degli Interni di un ormai remoto governo di centrosinistra, rassicura i Servizi: “Non siamo venuti qui a tirare fuori gli scheletri dagli armadi del Viminale”, e ancora Fassino-Edgar Allan Poe che, sempre a favore di Grillo, emette la sua sentenza: “Se vuole fondare un partito lo faccia, vediamo quanti voti prende”.

Immagino ancora Maria Elena Boschi nell’abito di Mae West davanti a un bancomat di Banca Etruria, e poco lontano Matteo Renzi trasfigurato in Tom Mix, e Veltroni come Fred Astaire, un Veltroni convinto che per mantenere il consenso in Chianti e magari in prospettiva all’Olgiata bastasse far doppiare i suoi cartoni animati da Jovanotti e Topo Gigio. Poi la Serracchiani come Shirley Temple, e Maurizio Martina come Johnny Weissmuller, Tarzan già in carrozzina, Tarzan dei suoi ultimi fotogrammi, e infine Carlo Calenda acconciato come Biancaneve in assenza dei sette nani, un bel Calenda di coccio, un Calenda da giardino di Monti Parioli o Collina Fleming, e Delrio come Marlene Dietrich, e Minniti che in assenza di Tom Mix già assegnato si deve consolare come Sonny Liston, e Zingaretti e Franceschini che intanto litigano su chi debba interpretare Stockausen, e Cuperlo che prova a camuffarsi nel basso tuba lì per terra a sinistra o da Lawrence d’Arabia, e Veltroni ancora che, in un momento di ripensamento, vorrebbe vestire gli abiti di tutti i “Fab Four” insieme e trova Emiliano-Einstein a bloccarlo nell’ingordigia, e infine Marcucci-Karl Marx in attesa di raggiungere le esequie dell’intero gruppo dirigente, Marcucci cui dobbiamo, al foto finish, il seguente twitt testualmente maiuscolo: “IL PD HA PERSO ANCHE SENZA MATTEO RENZI, ORA NON TORNARE A COLTIVARE VOCAZIONE MINORITARIA”. Come dire che si sente come Claretta rispetto al suo Ben. E tanti certamente ne dimentico, compresa la Boldrini e la Fedeli che pure loro volevano essere Shirley Temple, ma, come direbbe Bob Dylan, nel nostro caso sostituito dal geniale e insieme improbabile Rosato-Tyron Power, la risposta “è nel vento”. Lo stesso vento che, passando dal Tirreno all’Adriatico, li ha trascinati tutti via, più che cover dell’ellepì, fotoceramica di un tempo politico ormai trascorso.

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RENZI ! Aspetta solo qualche mese, quando gli analfabeti al governo avranno trasformato l’Italia in una grande Caritas… io già li vedo imprecare mentre fanno la fila per ritire un po’ di spesa

Matteo Renzi pensa a una sua trasmissione in tv.L’ex premier starebbe pensando a un format di taglio culturale, sulle bellezze dell’Italia.

Mentre i suoi compagni di partito discutono della batosta elettorale nei ballottaggi del 24 giugno e della data del congresso, l’ex segretario del Pd, Matteo Renzi, starebbe pensando a una sua trasmissione televisiva di taglio culturale. Lo riportano alcuni quotidiani, tra cui il Corriere della serail Fatto QuotidianoLa Verità e Libero.

Il Corriere scrive:

L’ex segretario, che è a Londra, lascia intendere ai suoi che per lui la data del congresso è «indifferente». Ed effettivamente Renzi sembra lontano da queste contese. Sta progettando di darsi alla tv. Di fare cioè un programma con il suo amico Lucio Presta sulle bellezze dell’Italia, probabilmente su Netflix.

Secondo il Fatto Quotidiano

Il progetto è mastodontico, riservato e pure in fase più che avanzata: una trasmissione di taglio culturale su Firenze e con l’ex premier in video, numerose puntate da girare subito per i palinsesti autunnali o al massimo del prossimo anno, produttore indipendente, emittente non individuata.

Sempre il Fatto ricorda che all’ex premier i precedenti illustri non mancano.

Renzi potrebbe imitare – è un tipo ambizioso – Walter Veltroni, Barack Obama o Al Gore, sfruttare la popolarità (residua) e le relazioni (solide) per diventare un personaggio tv e, in automatico, un ex politico.

Senza scordare che Renzi il mezzo televisivo lo conosce fin da giovanissimo, da quando partecipò da concorrente alla Ruota della Fortuna di Mike Bongiorno

IL POPOLINO non ha gli strumenti culturali e cognitivi per apprezzare il lavoro e le riforme che fece Renzi. Forma le sue opinioni su politica ed economia su facebook… non serve aggiungere altro. 

L’unico modo per capirlo rimane quindi l’esperienza reale, quotidiana: non tarderà molto ad arrivare, in autunno inizieremo il cammino verso la bancarotta, la crescita del PIL e degli occupati invertirà la rotta e per molti anni asseggeremo la Grecia. 

Gli elettori hanno votato come bambini ai quali si promette il gelato: beh, i fenomeni al governo hanno già fatto capire che non arriverà nulla di tutto ciò, erano solo promesse per prendere i voti degli allocchi. Al limite arriverà un condono fiscale di berlusconiana memoria. Buona Grecia a tutti

Perché ragazzi.Non è questione di sperare, è questione di avere gli strumenti per capire. Andiamo verso una nuova recessione se ci va bene, verso il disastro se ci va male. Ovviamente le promesse elettorali non saranno mantenute, questo lo capivano anche i bambini delle elementari… tranne gli elettori grillini e leghisti.E dico a questi ITALIANI non essiate troppo sicuri, non crediate che gli altri paghino i nostri debiti, ci riserveranno la Troika, piaccia a meno a Salvini, oppure gli presentano il conto, avete mai sentito parlare di Target 2, e il sistema che tiene insieme i debiti che abbiamo noi con la Germania e viceversa, ecco il disavanzo a nostro sfavore è di qualche centinaio di miliardi di euro, che dovremo rendere prioritariamente, altrimenti nemmeno le mutande ci salviamo….Quindi….A voi piacciono i partiti che truffano e si imboscano i rimborsi elettorali e prendono i voti della ‘ndrangheta… mica per nulla l’Italia è così… è abitata da questi italiani.

Io direi che l’Italia l’hanno distrutta gli Italiani e non Renzi. Continuare a criticarlo non serve a nulla. Adesso avete messo al governo degli incapaci populisti. Vedremo quanto ci metterà l’Italia a soccombere e a toccare fondi che ancora non aveva toccato. Quando il PD ha lasciato il governo gli indicatori economici erano tutti positivi. Vedremo cosa sapranno fare i figurini del cambiamento. Legge Fornero, Reddito di Cittadinanza, Flat tax al 15%, da quando si è insediato il nuovo governo hanno spostato l’attenzione solo sui migranti come se fosse il problema dei problemi. Chi vivrà vedrà.

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Calenda: meglio una fine spaventosa di uno spavento senza fine

 

Sette buoni motivi per uccidere il Partito Democratico

È il grande alibi di Lega e Cinque Stelle, è a vocazione maggioritaria in un mondo proporzionale, è nato per mediare, quando oggi servono visioni forti. Cari Dem, ecco perché hanno ragione Prodi e Calenda: meglio una fine spaventosa di uno spavento senza fine

Risultati immagini per Sette buoni motivi per uccidere il Partito DemocraticoSciogliere il Partito Democratico, dice il pragmatico Carlo Calenda. Andare oltre, ribadisce più etereo Romano Prodi. Sia quel che sia, improvvisamente, dopo una delle notti più nere della sinistra – e del centro-sinistra e del centro-centro-sinistra italiani – salta fuori un nuovo colpevole della disfatta: non questo o quel leader, non la maggioranza o la minoranza, non il segretario o chi l’ha preceduto, ma il sodalizio politico stresso. Ed è curioso, ma fino a un certo punto, che lo dica il pimpante ministro tecnico che si è iscritto al Pd l’altroieri e il vecchio fondatore, che la tessera invece non l’ha più rinnovata, qualche mese fa.

Sciogliere il Partito Democratico, dicevamo. E subito ci verrebbe da difenderlo il caro (quasi) vecchio (quasi) Pd, che di anni ne ha appena compiuti dieci. Un po’ perché la moda di cambiar nome alle cose, antico vizio della sinistra italiana, non ci è mai piaciuto granché. Un po’ perché prendersela con il simbolo rischia di esimere i leader vecchi e nuovi da una doverosissima autocritica. Soprattutto, perché ci dispiace che ce la si prenda con qualcuno che non può rispondere, o peggio ancora con una comunità politica di elettori e iscritti. Eppure no, non riusciamo a dare torto a Prodi e Calenda. Perché davvero, probabilmente, il Pd, come esperimento politico, ha più di qualche colpa. E perché sì, forse seppellirlo sei piedi di terra potrebbe essere l’unica prima mossa possibile per prefigurare una possibile rivincita domani contro lo strapotere gialloverde di Cinque Stelle e Lega.

E qui sta il primo motivo, molto contingente e tattico, che gioca a favore di una precoce eutanasia del Partito Democratico: perché la sua esistenza rappresenta oggi il principale collante che unisce Lega e Cinque Stelle. Il Pd, nell’immaginario dei suoi elettori, soprattutto è il moloch da abbattere, il cuore di tenebra della sinistra delle élite, neocentrista, responsabile di aver venduto l’anima al Capitale, consegnato il Paese alla crisi economia, le chiavi del governo alle tecnocrazie, italiane ed europee. Il PdMenoElle, per usare un’antica definizione di Beppe Grillo, che fu il primo in epoca di anti-berlusconismo militante, a rivolgere lo sguardo verso il falso oppositore del Cavaliere, la sinistra uguale alla destra. Vera o falsa che sia questa lettura – già il fatto che ci si ponga il problema non fa onore al Pd – rimane un’evidenza: che se a Lega e Cinque Stelle, togli un bersaglio facile contro cui sparano agevolmente – “E allora il Pd?” – per distrarre l’attenzione ogni volta che sono in difficoltà. Senza bersaglio, con un’opposizione che si ripensa radicalmente, è molto più difficile deviare lo sguardo altrui. E senza un nemico comune è molto più difficile stare insieme.

Anche il secondo motivo è molto pragmatico: semplicemente, perché un partito a vocazione maggioritaria non ha senso, in un sistema politico proporzionale. E il Pd, anche al suo misero nadir del 4 marzo scorso, è un partito figlio del maggioritario, che nasce per unire due culture politiche differenti – quella post comunista e quella post democristiana – che un tempo stavano insieme dentro un cartello elettorale chiamato Ulivo. E che si sono uniti per fare il grande partito all’americana che sognava Walter Veltroni. Bene, la stagione americana e bipolare è finita, kaputt. Il Popolo delle Libertà, nemesi sghemba, ma di comunque di maggior successo elettorale, è morta già da cinque anni. Lo stesso Pd di quelle due culture è ormai rappresentante a metà, visto che i vecchi mondi di sinistra l’hanno abbandonato da tempo. Oggi, forse, serve di più tornare a una coalizione di due, tre, quattro partiti dalle identità forti, che a un frullato di identità deboli.

In ultimo, per l’appunto: perché la fine del Pd lascerebbe finalmente spazio – si spera – a un po’ di radicalismo pure a sinistra, un po’ di visioni forti, idee forti, proposte forti. E non mediazioni al ribasso figlie del costitutivo “ma anche” veltroniano. Poteva funzionare alla vigilia della crisi, stagione 2007-2008, ma oggi non c’è più un universo dato da gestire. Oggi, di fronte, abbiamo solo terre ignote e una destra che lievita come la torta della nonna

Terzo motivo: perché è l’unico modo per muovere le acque e ricomporre le fratture.Fuor di metafora, per rompere lo stallo in cui è precipitata tutta l’area d’opposizione dopo il 4 marzo. Dentro, dove Renzi e chi gli si oppone stanno conducendo una guerra di trincea senza scopo e senza vincitori. E fuori, dove nell’attesa di sapere che ne sarà del Pd, si gioca alla scissione dell’atomo, alle faide da cortile e alla parcellizzazione ulteriore di un’area politica che sarebbe da estendere a dismisura, semmai. La fine del Pd, togliere acqua e aria a tutte queste inutili attività da vecchi dalemini annoiati. E senza più alibi e ostacoli, dopo, si vedrebbe chi ha carisma, visione, consenso e capacità di aggregare mondi diversi. Suggeriamo: non è detto che la risposta non sia “nessuno”. Ma perlomeno, finalmente, lo scopriremmo. Senza più alibi, né scuse.

Quattro: perché la fine del Pd scardinerebbe le rendite di posizione pregresse. Tabula rasa, tutti uguali. Niente più segretari, vicesegretari, signori delle tessere, ras locali. Niente più militanti e papi stranieri. Per qualche mese, provare a rendere tutto contenibile per vedere l’effetto che fa: magari non funziona, ma per caso ci fossero idee o leadership nuove non si troverebbero a fare i conti coi numeri e le mediazioni di questa o quella corrente sotterranea, con l’interposizione di una classe dirigente coi suoi elefantiaci organi decisionali, alternativamente plebiscitari o pilateschi, nel decidere di non decidere, mai davvero dialettici, ma feroci nel normalizzare ogni novità, ogni eterodossia, per stritolarla in un abbraccio mortale. Via tutto. Magari funziona.

Cinque, per l’appunto: perché la fine del Pd offrirebbe la possibilità di un foglio bianco su cui disegnare una nuova organizzazione, o più organizzazioni, che davvero abbiano l’obiettivo di essere funzionali alla situazione politica attuale. Anche in questo il Pd è stato sempre una specie di Frankenstein, che doveva tenere assieme il partito liquido e americano di Veltroni (e poi di Renzi) fondato sulle primarie e inesistente nelle sue ramificazioni territoriali e la vecchia ditta di Bersani e dei suoi, nei fatti una versione riveduta e corretta della vecchia organizzazione comunista, radicata sui territori, ma in cui le decisioni si prendono attorno a un caminetto, tra cinque o sei leader. Spoiler: nessuno dei due modelli ha funzionato. E anzi, la confusione tra i due – ci sono le correnti, ma non si vedono; si fanno le primarie, ma finte – ha prodotto un mostro che oltre a essere l’incubo di ogni buonanima che si occupa di marketing elettorale, è pure inefficace. Per dire, i giovani del partito si sono accorti da tempo che lo statuto fa schifo. I vecchi, ciao core.

A proposito di organizzazione: il sesto motivo, per appunto, riguarda i territori. Che erano il cuore, il vero vantaggio competitivo dei vecchi partiti di sinistra: che vincevano le amministrative e perdevano le politiche, ma che lì, sui territori, avevano prodotto la loro cultura di governo. Oggi che tutto frana, persino le vecchie roccaforti, forse è il momento di ridare ai leader e ai gruppi territoriali la loro centralità perduta. Un dibattito identitario e aperto, senza il Pd di mezzo, potrebbe essere l’occasione di ridare protagonismo alle tante leadership territoriali che ancora resistono, di aprire un vero e brutale dibattito tra differenti visioni del centrosinistra, incardinate su buone pratiche amministrative e visioni di sviluppo differenti. Dalla Milano senza muri alla Napoli ribelle, dalla Bologna motore d’innovazione sociale alla Firenze ultima ridotta del renzismo, sino alle eccezioni nell’apocalisse della Brescia di Delbono e dell’ancona di Mancinelli, e ai piccoli comuni delle aree interne e depresse, in cui ancora ci sono tracce di Pd che riescono a vincere e a convincere la popolazione.

In ultimo, per l’appunto: perché la fine del Pd lascerebbe finalmente spazio – si spera – a un po’ di radicalismo pure a sinistra, un po’ di visioni forti, idee forti, proposte forti. E non mediazioni al ribasso figlie del costitutivo “ma anche” veltroniano. Poteva funzionare alla vigilia della crisi, stagione 2007-2008, quando l’obiettivo era quello di mediare tra gli interessi particolari degli ulivi e delle unioni di cespugli. Oggi non funziona più così: oggi non c’è più un universo dato da gestire. Oggi, di fronte, abbiamo solo terre ignote e una destra che lievita come la torta della nonna. Oggi servono innovatori e visionari. Quelli che il Pd, scientificamente, voleva normalizzare. E che oggi, più di qualunque altra cosa, rendono dannoso il Pd.

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Il maggior problema dei pentastellati è da sempre quello di non riuscire a quadrare gli ordini di grandezza In realtà è un problema che accomuna la stragrande maggioranza degli italiani.

Davvero Di Maio può ottenere un miliardo di euro dal taglio delle “pensioni d’oro”? Basta fare un paio di conti per capire che è impossibile: secondo gli esperti la cifra è più vicina ai cento milioni di euro

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 Di Maio (o meglio il ventriloquo alla Casaleggio Associati) che muove il pupazzo al Ministero del Lavoro è costantemente in inseguimento e lavora al rilancio.
Salvini con una tattica da campagna permanente se lo sta mangiando un morso alla volta rubando l’1% di consenso praticamente ogni settimana dettando di fatto l’agenda di governo a forza di proclami, video e pagliacciate varie.
Casaleggio Jr ovviamente è svantaggiato, non riesce a prendere l’iniziativa perché ha contro perfino i tempi (oltre a non poter contare sulle capacità del burattino di Maio), deve recepire quello che dice la lega, elaborare una sorta di risposta più ambiziosa ed istruire i parlamentari in merito
per me tempo qualche mese e Salvini fa cascare la baracca e chiama elezioni anticipate

C’è un errore di fondo in articoli come questo, ovvero tutti sanno che quello che dice un politico, è “quello che dice un politico”. In questo caso i numeri, le cifre, contano fino a un certo punto. Tutti ultimamente sono “ossessionati” dai numeri, ma noi siamo “esseri umani” e quello che importa è la suggestione del messaggio. La strizzatina d’occhio, la pacca sulla spalla. Un “io ti penso”.

La gente si arrabbia (ma è tipico dell’Homo sapiens) se vai a peggiorare la loro condizione, il loro benessere. Ma finché la situazione economica rimane più o meno stabile e finché c’è una promessa più o meno velata di un futuro migliore, beh… crederci non costa nulla.E proprio perché a fare certe dichiarazioni è Di Maio

Ma non è oltremodo opportuno dare le dimensioni del provvedimento per ciò che rappresenta? Va bene, verremo comunque risucchiati nel buco nero super massiccio del debito davanti a fenomeni di questo genere non cambieranno il nostro destino a spirale, però almeno la soddisfazione del senso di equità.Cosa serve fare una propaganda iperbolica per ogni gesto, alieni il consenso di chi comunque apprezza lo sforzo.MA. Lo sappiamo che non servirà a portarci fuori dal baratro ma pensavano fosse giusto farlo fine. Ammesso si possa, ovviamente.

PS. Capisco anche l’odio settario, ma contestare il provvedimento anche in funzione delle minori entrate da contribuzione, è sullo stesso livello dei megalomani del miliardo risparmiato. Sono fabbricanti di cazzate in perenne campagna elettorale. Accusavano gli altri di essere scollati dalla realtà e questi nemmeno la realtà dei numeri sono disposti ad accettare. Taciamo poi delle più semplici regole del vivere civile e le conquiste sociali di cui godiamo oggi e su cui vogliono passare sopra la spugna con la scusa di proteggerle.

Ormai rido, rido sempre come un isterico, perché tanti anni fa ci eravamo ripromessi di non ricascarci più e invece sono bastati poco più di 70 anni per dimenticarci tutto.

Non ce l’ho nemmeno tanto con loro, ma con chi li ha eletti, persone con cui condivido le mie giornate e non riconosco più.

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Pesantemente sconfitto alle elezioni del 4 marzo, il Partito democratico resta alle prese con un problema ormai patologico di leadership. In attesa del prossimo congresso, il reggente della segreteria Maurizio Martina prova a tenere unite le fila. Ma il socio di maggioranza del partito resta, seppure dietro le quinte, Matteo Renzi, e il destino del partito si lega inevitabilmente al suo futuro. L’ex premier punta a guidare il Nazareno anche nei prossimi anni.

Debole e divisa, la maggior garanzia per i legastellati è l’inconsistenza dell’opposizione.I risultati dei ballottaggi dimostrano l’assenza di un’alternativa solida al governo Conte. Il centrodestra (FI-FdI) è un’opposizione di facciata, il Pd perde anche nelle roccaforti. A guadagnarne è Salvini, il cui iper-attivismo mediatico offusca persino l’alleato 5 Stelle.

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Debole e diviso, forse persino impreparato. Davanti all’avanzata del governo legastellato, il fronte antipopulista si scopre inadeguato alla sfida. Se c’è un dato che può rassicurare Matteo Salvini e Luigi Di Maio sul futuro dell’esecutivo è proprio l’inconsistenza delle opposizioni, come hanno fotografato anche gli esiti dei ballottaggi. Intanto il tandem di governo continua a crescere nei sondaggi. Stando alle stime più recenti il Carroccio e i Cinque Stelle ormai avrebbero raggiunto il 60 per cento, voto più voto meno. Un bel salto in avanti, per due partiti che il 4 marzo avevano conquistato, rispettivamente, il 32 e il 17 per cento. È una ascesa rapida, a tratti imprevista e, per il momento, non priva di conseguenze. La crescente popolarità del leader leghista Salvini ha iniziato a preoccupare i grillini. La Lega vicina al 30 per cento insidia il primato pentastellato (secondo alcuni istituti di ricerca il sorpasso sarebbe già avvenuto). Intanto l’altro vicepremier, Luigi Di Maio, è sempre più in difficoltà. Offuscato dalla bulimia mediatica dell’alleato e pressato dai suoi stessi parlamentari.

L’assicurazione sulla vita del governo, però, è rappresentata dalle opposizioni. Finché gli avversari di Lega e Cinque Stelle proseguono su questo spartito, a Palazzo Chigi possono stare tranquilli. Da destra a sinistra, la mappa delle minoranze è sorprendentemente impalpabile. Ogni partito paga i propri errori e le tante debolezze. L’opposizione meno interessata a fare l’opposizione è proprio il centrodestra che infatti ha vinto molti ballottaggi trainato dalla Lega. Dopo che per settimane Di Maio aveva posto un veto sulla presenza di Silvio Berlusconi, Forza Italia non ha votato la fiducia al governo di Giuseppe Conte. In questi mesi il Cavaliere è il leader che si è schierato più apertamente contro il Movimento 5 Stelle: accusando i grillini, non sempre a torto, di giustizialismo, pauperismo e di aver portato in Parlamento una classe politica ignorante. Eppure da qualche tempo l’ex premier sembra sparito dalla scena. Non potendo rompere con Salvini – che di fatto gli ha soffiato la leadership del centrodestra – e non potendosi permettere, da imprenditore, di avere dei nemici a Palazzo Chigi, il Cav ha preferito fare un passo indietro. I suoi parlamentari voteranno contro i provvedimenti che non condividono, ma alle Camere nessuno si attende barricate. Dopotutto sono in molti, tra i deputati e i senatori forzisti, a sperare che la legislatura si interrompa prima del tempo per andare a nuove elezioni. Sarebbe l’occasione perfetta per tornare al governo, con una coalizione di centrodestra a forte trazione salviniana. Berlusconi lo sa, e agisce di conseguenza. Uomo d’affari e politico navigato, è consapevole che la sua classe dirigente, in Parlamento e nelle amministrazioni locali, è pronta a trasferirsi armi e bagagli con la Lega. In questo momento dichiarare apertamente la guerra al Carroccio potrebbe mettere a rischio la stessa esistenza di Forza Italia.

E poi ci sono i Fratelli d’Italia. La linea nazionalista e sovranista imposta da Matteo Salvini ha già conquistato gran parte dell’elettorato di Giorgia Meloni. Eppure, quando si è tratto di votare la fiducia, l’ex ministra ha deciso di astenersi nei confronti del governo Conte. Ha scelto un’opposizione mediatica, che nei fatti assomiglia più a una benevola neutralità. Dopotutto i rapporti con il Carroccio restano buoni, nessuno sembra avere troppa voglia di marcare la distanze. Non a caso i leghisti hanno spinto per affidare la poltrona di vicepresidente della Camera – in sostituzione del ministro Lorenzo Fontana – al capogruppo di FdI, Fabio Rampelli. Né stupisce che da via Bellerio si voglia affidare a Fratelli d’Italia anche la presidenza del Copasir, la commissione sui servizi segreti che il Partito democratico considera di propria pertinenza come principale forza di opposizione al governo Conte.

Dal centrodestra al centrosinistra, lo scenario è ancora peggiore. Pesantemente sconfitto alle elezioni del 4 marzo, il Partito democratico resta alle prese con un problema ormai patologico di leadership. In attesa del prossimo congresso, il reggente della segreteria Maurizio Martina prova a tenere unite le fila. Ma il socio di maggioranza del partito resta, seppure dietro le quinte, Matteo Renzi, e il destino del partito si lega inevitabilmente al suo futuro. L’ex premier punta a guidare il Nazareno anche nei prossimi anni, ma sembra aver definitivamente perso la popolarità che nel giro di poco tempo lo ha portato a Palazzo Chigi. Intanto la guerra tra correnti che si era riaccesa negli ultimi mesi è finita nel congelatore. Davanti all’incredibile avanzata di Lega e Cinque Stelle, i toni delle polemiche interne sono stati leggermente abbassati di tono. Eppure le scelte sulla nuova linea politica continuano a dividere il gruppo dirigente. Martina ha chiesto ai parlamentari di incalzare il governo sui temi concreti.Proprio pochi giorni fa i dem hanno presentato una proposta di legge per incentivare il Reddito di inclusione introdotto dal governo Gentiloni. Una misura per combattere la povertà e denunciare le irrealizzabili promesse grilline sul reddito di cittadinanza.

Inutile dire, però, che l’iperpresenzialismo mediatico di Salvini sta mettendo in crisi anche il Pd. «L’opposizione sta cadendo nella trappola di Salvini commentando ogni fesseria (anche gravissima) che dice», ha detto Carlo Calenda, ex ministro e protagonista della nuova fase al Nazareno. «E siccome Salvini ne dice dieci al giorni, finisce che l’agenda la fanno loro. Lavorare su alternativa, idee e proposte subito e mobilitarsi seriamente. Chiacchiere a zero». Facile a dirsi, molto meno a realizzarsi. Le Amministrative hanno indebolito ancora di più il Pd che ha perso a favore del centrodestra (e quindi di Salvini) in quelle che erano considerate Regioni Rosse. Tre città su tutte: Pisa, Siena e Massa. Imola è andata invece al Movimento 5 Stelle. Risultato finale: 28 sfide vinte dal centrodestra, 20 dal centrosinistra, 5 dai 5 Stelle.

Opposizione debole e frammentata, dunque. In alcuni casi persino sparita. Dove è finita la quarta gamba del centrodestra, il polo centrista, che avrebbe dovuto bilanciare l’estremismo leghista? Pochissimi gli eletti, scomparsi i simboli. I capi corrente d’area sono praticamente usciti di scena. Maurizio Lupi è iscritto al gruppo Misto della Camera, Raffaele Fitto si è ritirato in un momentaneo silenzio, Lorenzo Cesa è uscito dai radar. Rispetto alle ambizioni della vigilia ha finito per perdere consistenza anche il progetto politico della sinistra. Dopo il tracollo elettorale, Liberi e Uguali ha iniziato a perdere pezzi. A breve inizierà il tesseramento in vista del congresso. Entro fine anno Mdp e Sinistra Italiana concluderanno il percorso verso il partito unitario. Intanto Possibile, il partito di Pippo Civati, ha già preso le distanze e sta studiando un progetto comune con il movimento transnazionale di Yanis Varoufakis. E così si va avanti, in ordine sparso. Le iniziative fioriscono una dopo l’altra. È il caso, ad esempio, di Futura, la rete organizzata da Laura Boldrini. Ulteriore progetto fondativo nel campo progressista, ennesimo tentativo di dare vita un nuovo fronte antipopulista.

 

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Ci stiamo alleando con i peggiori governi d’Europa, quelli che non vogliono nemmeno un migrante. E litighiamo con quelli disposti a aiutarci. Alta politica

Mai visto niente di più idiota.

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Non so come finirà la partita europea sugli emigranti, temo male per noi, ma staremo a vedere. Per ora mi limito a osservare con un certo fastidio che anche da sinistra spesso si sollevano critiche, e anche pesanti, verso Macron e la signora Merkel. Ma questo si chiama solo e soltanto non saper far politica.

La Germania ha già preso più migranti di qualunque altro. Certo, è stata svelta, si è mossa per prima e ha preso i migliori, quelli più istruiti, anche se adesso sta incontrando difficoltà politiche in casa propria. Macron, oltre ai nuovi arrivi, deve gestire anche tutto il residuato di potenza ex-coloniale, che non è poco.

In questa vicenda, nessuno si è comportato bene, tranne forse noi fino a quando è andata di moda la favola “accogliamo tutti, poi che si arrangino”, giustamente interrotta da Minniti.

Ma, per tornare all’attualità, bisogna cercare di tenere n po’ ferma la barra della linea politica. Oggi in Europa l’Italia può contare su tre alleati abbastanza sicuri: Macron, Merkel e Sanchez.  Abbastanza intelligenti da capire che non tutto il problema può essere scaricato sulle nostre spalle (e infatti ci ha già procurato i populisti al governo…). Tutti gli altri sono abbastanza indifferenti: problemi italiani? Se la sbrighi l’Italia.

In modo del tutto insensato però il nostro governo sta facendo alleanza con tutti i nostri nemici: Austria, la Baviera, i teppisti ex comunisti di Visigrad, l’Ungheria di Orban. Tutta gente che non ha mai preso un solo immigrato e che non intende prenderne.

Anzi, tutta gente che punta a chiudere le frontiere (facendo saltare Schengen) e trasformando quindi di fatto l’Italia in un immerso campo di migranti europeo: tutti qui.

Il nostro governo populista-sovranista sembra non aver capito quale è la legge che tiene in piedi governi simili al nostro, sovranisti: ognuno fa per proprio conto e gli altri che si arrangino. Sbarcano in Italia? Che se li tenga l‘Italia. Non li vogliono? Che li lascino in mare o che gli sparino. Noi, qui, sulla rive del Danubio e della Vistola non vogliamo nessuno, meno che mai dei neri.

Se non fosse una cosa tremendamente seria, verrebbe quasi da ridere: per ragioni di vicinanza politica, il nostro governo invece di allearsi con quelli disposti a ragionare, si allea con quelli che hanno già deciso che tutti i migranti che sbarcano in Italia ce li dobbiamo tenere, lasciando a noi l’onere di respingerli, con le buone o le cattive.

Mai visto niente di più idiota.

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SE L’EUROPA CI BUTTA FUORI … Matteo Salvini annuncia, e lo fa con il sorriso del gatto che sta per mangiarsi il topo, che entro un anno si deciderà se l’Europa dovrà esistere ancora oppure no.

SE L’EUROPA CI BUTTA FUORI … A giorni potrebbero essere chiuse, e sorvegliate, tutte le frontiere a nord dell’Italia. Isolati. Da soli davanti all’ondata migratoria. Matteo Salvini annuncia, e lo fa con il sorriso del gatto che sta per mangiarsi il topo, che entro un anno si deciderà se l’Europa dovrà esistere ancora oppure no.

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A giorni potrebbero essere chiuse, e sorvegliate, tutte le frontiere a nord dell’Italia. Isolati. Da soli davanti all’ondata migratoria.

In realtà è possibile che tutto avvenga molto più in fretta: da dieci giorni a sei mesi. Nel senso che saranno gli altri, probabilmente, a decidere di buttarci fuori da una comunità, l’Unione europea, per la quale stiamo dimostrando, con questo governo, di non essere adatti.

In termini più chiari, nel giro di pochi giorni tutte le frontiere a nord dell’Italia potrebbero essere chiuse: Francia, Baviera, Austria (e, ovviamente, Svizzera). Dopo di che l’Italia sarebbe trasformata in una specie di portaerei slanciata nel Mediterraneo. E lasciata sola a sbrigarsela con le navi delle Ong e con i barconi. Potrà decidere, come in parte ha già deciso, di non intervenire e di lasciare che tutti se la cavino per conto loro. Ma potrebbe essere denunciata per omissione di soccorso. E per altri reati di natura umanitaria. Ripararsi dietro la foglia di fico di Malta che non interviene sarà solo ridicolo: Malta è più piccola della più piccola provincia italiana. Cosa si pretende che faccia?

Se i rapporti fra l’Italia e il resto della Ue dovessero diventare ancora più tesi, come tutto lascia supporre, potrebbe essere presa la decisione di buttarci fuori da tutto, dopo averci isolati per la questione migranti. In fondo l’Unione, senza di noi, e senza il nostro immane debito e i nostri trucidi populisti, diventerebbe un posto migliore e assai più gradevole. E più efficiente.

Come alternativa benevola, l’Italia potrebbe andare a costituire il primo nucleo dell’Unione a due velocità: ovviamente noi nella seconda, quella più scadente.

In sostanza, Salvini, come al solito, dice una bugia e una cretinata: anche fra un anno l’Europa esisterà. Siamo noi italiani che forse non ci saremo più, sbattuti fuori e anche senza troppi rimpianti (e in fondo questo è l’obiettivo di Salvini).

Immagino già le danze di gioia e le feste in tutti i pub della Val Brembana e della val Camonica. A quel punto si potrà adottare il modello Venezuela (stampa di carta straccia spacciata per moneta), con Borghi Aquilini e Bagnai nelle vesti di gran sacerdoti, corna di bue in testa, e la corsa verso la miseria e l’emigrazione di massa avrà finalmente inizio. Non si sa verso dove perché le frontiere a Nord saranno tutte chiuse e sorvegliate. E Trump certo non ci vuole: a lui serviamo qui a rompere i coglioni, non in America.

Forse Putin, grazie ai buoni rapporti con mastro Salvini, ci darà un pezzo di terra nelle lande siberiane da dove ricominciare.

Preparare colbacchi e stivali foderati. Si parte.

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